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La
fuga della figlia del re
C’era una volta un
re che aveva sei figli maschi e una figlia femmina. Quest’unica figlia era
molto importante per il re, che la amava moltissimo ed era solito trascorrere
insieme a lei molto tempo.
Un giorno ebbero
una discussione.1
Il re si adirò con la figlia e gli scappò detto: “Che il male abbia il
sopravvento su di te!”. La notte la fanciulla si recò nella propria stanza e la
mattina nessuno sapeva dove fosse. Suo padre si intristì molto e andò a
cercarla ovunque.
Il vicerè, vedendo
che il re era molto dispiaciuto, chiese che gli affidassero un servo, un
cavallo e denaro contante e si mise a cercarla.
La cercò per molto
tempo, finchè non la trovò.
Vagò a lungo per
deserti, campi e foreste. Una volta, mentre camminava nel deserto, trovo' un
sentiero di lato e disse fra sé e sé: “ Visto che vago da così tanto tempo nel
deserto e non riesco a trovarla, mi incamminerò per questo sentiero e forse
raggiungerò un posto abitato” – e continuò a viaggiare a lungo.
Dopo un certo tempo
vide una fortezza, e diversi soldati che le stavano intorno di guardia. Era una
costruzione amena, ordinata e ben amministrata e temeva pertanto che i soldati
non lo avrebbero fatto entrare. Disse fra sé e sé: “Andrò avanti e proverò”.
Lasciò il cavallo e si incamminò verso la fortezza: lo lasciarono entrare e non
lo trattennero affatto. Andò di stanza in stanza senza essere disturbato,
finché giunse a un palazzo. Là stava seduto il re: la corona in testa e
soldati, suonatori e menestrelli che lo circondavano. Tutto era molto bello e
gradevole, e né il re né alcun altro fecero domande. Vide che c’erano ottimi
cibi e prelibatezze, pertanto si fermò a mangiare e poi si nascose in un angolo
per osservare cosa accadeva. In quel momento il re ordinò di condurre la
regina. Andarono a prenderla con gran gioia e fermento, e quando la condussero
i menestrelli cantavano e suonavano festosamente. Le dettero una sedia e la
misero a sedere accanto al re: era lei la figlia del re che era andata perduta.
Il vicerè la vide e la riconobbe.
Dando un rapido
sguardo in un angolo, anche la regina lo vide e lo riconobbe. Si alzò dalla sua
sedia e toccandolo gli chiese: “Forse tu mi conosci?”. Egli le rispose: “Si, ti
conosco. Tu sei la figlia del re che è si è smarrita. Come sei arrivata fin
qui?”. Lei disse: “Mio padre si fece sfuggire delle cattive parole: questo
posto è il ‘male’ che mi augurò”.
Il vicerè le
raccontò che suo padre era molto dispiaciuto e che la stava cercando già da
anni. Quindi le chiese: “Come posso portarti via di qui?” – “Non è possibile
condurmi via da qui. La condizione è che tu scelga un posto e tu stia lì un
anno intero. Tutto l’anno dovrai pensare solo a come portarmi via e in ogni
momento libero che avrai dovrai essere concentrato solo sulla speranza e
sull’aspettativa di riuscire nell’intento; dovrai digiunare e nell’ultimo
giorno dell’anno non dormire affatto”. Così egli fece.
Alla fine
dell’anno, l’ultimo giorno, digiunò, non si addormentò e si mise in cammino.
Vide un albero da frutto sul quale crescevano delle mele succulente. Ne ebbe
una grandissima voglia e ne mangiò: ma non appena ebbe mangiato la mela, cadde
rapito dal sonno – e dormì a lungo. Il suo servo provò a svegliarlo, ma non ci
riuscì. Passato un certo tempo, si destò e chiese al servo: “In quale parte del
mondo sono?”. Il servo glielo spiegò: “Hai dormito alcuni anni, mentre io mi
sono guadagnato da vivere con la frutta”. Il vicerè si rattristò molto e si
recò dalla figlia del re. Anch’essa si intristì molto e disse: “Se tu fossi
venuto in quello stesso giorno, mi avresti condotta via da qui. Ma per un sol
giorno hai fallito. Tuttavia, digiunare è una cosa molto difficile,
specialmente nell’ultimo giorno, quando la tendenza alle cattive azioni può
prendere il sopravvento. Torna dunque a sceglierti un posto e trattieniti lì
per un anno, come hai già fatto prima: nell’ultimo giorno potrai mangiare, ma
non potrai dormire né bere vino, in modo da non addormentarti – perchè la cosa
più importante è il sonno”.
E così egli fece.
L’ultimo giorno
vide una fonte, che aveva colore rosso e odor del vino. Chiese al servo: “Hai
visto, questa è una fonte e dovrebbe esservi acqua ma l’aspetto è rosso e
l’odore è quello del vino”. Sorseggiò dalla fonte e cadde addormentato per
diversi anni, per la precisione settant’anni.
Un giorno
sfilarono in quel luogo diverse unità di soldati con il loro equipaggiamento:
il servo si nascose in modo che essi non lo vedessero. Dopodichè passò un
cocchio seguito da alcuni carri, e lì sedeva la figlia del re. Essa si fermò in
quel punto, scese e si sedette proprio dove si trovava il vicerè – e lo
riconobbe. Lo scosse vigorosamente, ma egli non si svegliò. Si rattristò
amaramente nel constatare che si era impegnato così duramente, facendo enormi
sforzi per così tanti anni per portarla via di lì: ma proprio in quello stesso
giorno in cui avrebbe potuto salvarla, aveva perso l’opportunità. Era molto
addolorata: “Povero lui, e povera me che sono qui da tutto questo tempo senza
poter fuggire”. Prese quindi un fazzoletto e con le sue lacrime vi scrisse
sopra. Lo depose accanto a lui, si alzò e tornò a sedere nel suo carro – e andò
via da lì.
Quando il vicerè
si svegliò, chiese al servo in quale parte del mondo si trovasse. Il servo gli
raccontò tutta la storia: che erano passati di lì molti soldati e il carro, che
la figlia del re aveva pianto e gridato che provava compassione per se stessa e
per lui, per tutto quello che era accaduto. Il vicerè vide il fazzoletto
appoggiatogli accanto e chiese: “Da dove viene questo?”. Il servo rispose che
la figlia del re aveva scritto su di esso con le proprie lacrime. Ponendolo
controsole, il vicerè iniziò a scorgere le lettere che vi erano impresse sopra,
tutto ciò per cui lei si era addolorata e per cui aveva pianto. Lesse che non
si trovava più in quella fortezza: per trovarla adesso avrebbe dovuto cercare
una montagna d’oro e una fortezza di gemme preziose.
Congedò il servo e
si mise a cercarla da solo. Vagò per diversi anni, ma poiché conosceva la mappa
del mondo, pensò fra sé e sé che di sicuro nei posti abitati non avrebbe
trovato una montagna d’oro e una fortezza di gemme e che sarebbe stato quindi
opportuno recarsi nei deserti. Fu là che la cercò per diversi anni.
Dopo tanto vagare
incontrò un uomo enorme, la cui statura non era cosa umana. Egli sorreggeva
sulle spalle un grande albero, così grande che non poteva provenire da alcuno
dei posti abitati che conosceva. Il colosso gli chiese: “Chi sei?” – “Sono un
uomo”
Egli si stupì e
disse: “Sono da moltissimo tempo nel deserto e non ho mai visto un uomo”. Il
vicerè gli raccontò tutta la storia e lo informò che cercava una montagna d’oro
e una fortezza di gemme. Egli rispose: “Di sicuro non esiste” – spiegandogli
che con tutta probabilità gli avevano raccontato una sciocchezza, in quanto cose
del genere davvero non esistono. Il vicerè cominciò a piangere, affermando che
sicuramente da qualche parte doveva esistere una cosa del genere, ma il gigante
lo contraddisse sostenendo che l’avevano preso in giro. Ma poiché il vicerè
continuò ad insistere, il gigante gli disse: “A mio parere è una sciocchezza,
ma visto che sei ostinato e che io presiedo a tutti gli animali, farò qualcosa
per te: li chiamerò tutti a raccolta, affinché corrano per tutto il mondo.
Forse uno di loro conosce qualche montagna o fortezza del genere. Convocò
quindi tutte le specie, dalle più piccole alle più grandi e domandò loro se
avevano visto qualcosa di simile: risposero negativamente. Al che il gigante disse: “Vedi che ti hanno
detto una sciocchezza? Se vuoi seguire
il mio consiglio, torna indietro – perchè di sicuro non troverai niente del
genere in quanto non esiste al mondo”. Ma il vicerè era ostinato. Il gigante
allora disse: “Nel deserto c’è anche mio fratello. Egli sovrintende a tutti gli
uccelli: poiché essi si spiegano in volo dall’alto, forse hanno visto una
montagna e una fortezza del genere. Vai da lui e digli che ti ho mandato io”.
Impiegò alcuni
anni per cercarlo. Ad un certo punto vide un altro uomo molto grande, dello
stesso tipo che conosciamo: anche lui sorreggeva un albero e gli rivolse le
stesse domande. Gli raccontò tutta la storia, informandolo che era stato
mandato da suo fratello. Anche lui lo respinse dicendogli che era una
sciocchezza, convinto che una cosa del genere non esistesse. Ma poiché il vicerè lo implorò
insistentemente, il secondo gigante gli rispose: “Io presiedo a tutti gli
uccelli: li chiamerò e forse loro sapranno qualcosa”. Chiamò quindi a raccolta tutti i volatili e
li interrogò, dal più piccolo al più grande. Essi risposero che non sapevano
niente di una montagna e di una fortezza del genere. Al che egli disse: “Vedi,
di sicuro non esiste al mondo. Se vuoi darmi retta, torna sui tuoi passi perchè
non esiste”. Ma il vicerè lo implorò ancora dicendo che di sicuro esisteva una
cosa del genere.
Il gigante gli
disse: “Nel deserto c’è mio fratello, che sovrintende a tutti i venti. Essi
soffiano per tutto il mondo e forse sapranno qualcosa”. Impiegò diversi anni
nella ricerca, finché trovò un uomo grande come gli altri due, con un albero
sulle spalle. Anche a lui raccontò tutta la storia ma anche lui lo ricusò.
Il vicerè implorò
nuovamente e il gigante affermò che per lui avrebbe chiamato a raccolta tutti i
venti e avrebbe chiesto loro se sapevano qualcosa. Giunsero tutti, ma nessuno
sapeva dell’esistenza di una montagna e una fortezza del genere. Il terzo
gigante gli disse: “Dunque vedi che ti hanno raccontato una sciocchezza”. Il
vicerè pianse a lungo: “So di sicuro che esiste”. Nel frattempo sopraggiunse un
altro vento e il terzo gigante si adirò con lui: “Come mai sei arrivato in
ritardo? Avevo dato ordine che tutti i venti si presentassero. Perchè dunque
non sei venuto?”. Gli disse il vento: “Ho ritardato perchè dovevo condurre la
figlia del re a una montagna d’oro e una fortezza di gemme”. Il vicerè si
rallegrò molto. Il gigante chiese al vento: “Cosa c’è là di così prezioso?”.
Egli rispose che tutto là era estremamente prezioso. Il sovrintendente ai venti
disse al vicerè: “ Dal momento che è così tanto tempo che sei impegnato nella
tua ricerca e hai fatto così tanti sforzi, forse adesso sarai in difficoltà per
la mancanza di capitale. Ti consegnerò un vaso: quando ci metterai dentro la
mano, vi troverai denaro”.
Il gigante ordinò
al vento di condurre il vicerè nel luogo desiderato; il vento si fece tempesta
e lo trasportò fino a un cancello, di fronte al quale stavano di guardia dei
soldati che non gli permisero di entrare in città. Ma egli mise la mano nel
vaso e prese il denaro: così li corruppe e riuscì ad entrare in città. Si
trattava di una bella città. Si approvvigionò di cibo, poiché lì avrebbe dovuto
vivere e impegnarsi con intelligenza e astuzia per condurre la figlia del re
via da lì.
Non raccontò come
la portò via, ma alla fine ce la fece.
1
La
traduzzione dice che una volta stavano discutendo su un che qualche giorno
Il re e l’imperatore
C’erano una volta
un re e un imperatore che non avevano figli. L’imperatore cercava ovunque di
trovare un rimedio per riuscire finalmente a procreare. Anche il re cercava la
soluzione e un giorno, senza sapere l’uno dell’altro, giunsero entrambi a un
ostello. Quando lo vide, l’imperatore intuì che doveva essere un re – a causa
delle sue maniere principesche. Chiese conferma, e gli fu detto che
effettivamente si trattava di un re. Ma anche il sovrano intuì che l’altro era
un imperatore, e anche a lui fu data conferma di ciò. Si confessarono di essere
giunti in quel luogo per la questione dei figli. Strinsero un patto: se fossero
tornati a casa e le rispettive mogli avessero partorito un maschio e una
femmina li avrebbero congiunti in matrimonio. L’imperatore tornò a casa e gli
nacque una figlia, mentre al re nacque un figlio. Ma il patto fu dimenticato.
L’imperatore mandò sua figlia a studiare e così fece il re. I due giovani si
incontrarono presso lo stesso maestro, si innamorarono e decisero che si
sarebbero sposati. Il figlio del re prese un anello e lo pose sulla mano
dell’amata, e così furono uniti in matrimonio. Passato un certo tempo,
l’imperatore mandò un suo incaricato a prendere la figlia per riportarla a casa
e anche il re fece lo stesso. Si parlava di cercare un marito per la figlia
dell’imperatore, ma lei non voleva conoscere nessuno a causa del patto stretto
tempo prima. Il figlio del re sentiva enormemente la sua mancanza, e anche lei
era sempre triste. Per farle capire quanto lei fosse importante, suo padre le
aveva mostrato tutti i castelli e il palazzo che possedeva, ma non poteva
essere consolata. Il figlio del re, dal canto suo, era così addolorato per la
mancanza dell’amata che finì con l’ammalarsi: quando cercavano di capire quale
fosse il motivo del suo malessere, egli si rifiutava di parlarne e così il suo
servo personale fu incaricato di scoprirlo. Egli disse che conosceva bene il
motivo, poiché era stato in sua compagnia durante il periodo degli studi e così
raccontò loro tutta la storia. Fu allora che il re si ricordò del patto che
aveva stretto con l’imperatore. Gli scrisse di prepararsi al matrimonio, perchè
questo era l’accordo che avevano preso. L’imperatore non voleva rispettare gli
accordi, ma non aveva nemmeno il coraggio di rifiutare. Gli rispose
chiedendogli di inviare suo figlio presso di lui: l’avrebbe messo alla prova
nelle doti di governo e se si fosse dimostrato capace, gli avrebbe concesso sua
figlia in sposa. Dunque il re inviò suo figlio. L’imperatore lo sistemò in una
stanza e gli consegnò i documenti con le questioni statali, al fine di
verificare se egli sarebbe stato capace di regnare. Il giovane spasimava per
vedere l’amata, ma gli era proibito.
Un giorno si
imbatté in un muro di specchi attraverso i quali la vide e cadde privo di forze. La giovane
andò da lui e cercò di risvegliarlo: gli raccontò che non aveva accettato di
conoscere nessuno proprio a causa del legame che aveva con lui. Ma il figlio
del re rispose: “Cosa possiamo fare? Tuo padre non permette che ci sposiamo!” –
“Anche se lui non è d’accordo, lo faremo”.
Parlarono tra loro
e decisero che avrebbero salpato verso il mare aperto: così presero una barca e
si diressero verso il largo. Era loro intenzione avvicinarsi alla riva e quando
vi giunsero trovarono una foresta. Lì la figlia dell’imperatore consegnò il suo
anello al figlio del re e si coricò. Quando egli capì che stava per alzarsi,
pose l’anello nuovamente accanto a lei. Poi si incamminarono entrambi verso
casa, ma la giovane ricordò all’improvviso che l’anello era rimasto indietro e
inviò l’amato a cercarlo. Egli tornò sui suoi passi ma non riuscì a trovarlo in
alcun luogo: lo cercò a lungo, finché non si perse. Così non riuscì a tornare
dall’amata che a sua volta si mise in cerca dell’anello, finendo con il perdere
l’orientamento anch’essa. Il figlio del re vagò a lungo, finché non vide un
sentiero: da lì giunse a un luogo abitato. Non avendo altra occupazione,
divenne un servo. Dopo un lungo peregrinare, la figlia dell’imperatore decise
invece che si sarebbe sistemata sulla riva. Là trovò molti alberi da frutto:
durante il giorno camminava verso la riva con la speranza di scorgere dei
passanti e si guadagnava da vivere con la frutta. La notte, saliva su uno degli
alberi per essere al riparo dalle fiere.
C’era un
commerciante molto importante che concludeva affari in tutto il mondo. Aveva un
unico figlio ed era anziano. Un giorno il figlio disse al padre: “ Tu sei
vecchio, mentre io sono giovane: quelli che ti sono fedeli non si occupano di
me. Un giorno tu non ci sarai più e io rimarrò solo e non saprò come fare.
Dammi una barca con della merce: salperò per mare per apprendere il mestiere
del commercio”. Suo padre gli affidò una barca con della merce e il giovane si
recò in molti paesi dove vendette e comprò merce ed ebbe grande successo.
Durante una delle navigazioni, l’equipaggio notò gli alberi presso i quali
viveva la figlia dell’imperatore. Pensavano che fosse un luogo abitato ed era
quindi loro intenzione raggiungerlo. Ma quando si avvicinarono constatarono che
si trattava solo di alberi e risolsero quindi di ripartire. Tuttavia il
commerciante adocchiò un grande albero sul quale sembrava ci fosse una figura
umana: non era sicuro di aver visto bene quindi chiese anche agli altri di
guardare. Anch’essi guardarono e in effetti videro che si trattava di una
persona. Decisero di avvicinarsi e inviarono in avanscoperta uno degli uomini
in una piccola barca. Il resto dell’equipaggio lo indirizzava dal mare per
assicurarsi che non sbagliasse strada e che puntasse diritto verso l’albero in
questione. Egli vide che in effetti c’era qualcuno seduto sopra e disse loro:
“Si, si tratta di un uomo”. Il figlio del commerciante andò di persona, vide la
figlia dell’imperatore arrampicata e le disse di scendere. Lei rispose: “Non
salirò sulla tua nave a meno che tu mi prometta che non mi toccherai affatto
finché non saremo arrivati a casa tua e mi avrai sposata secondo la legge”.
Ottenne la sua parola e salì sulla nave. Il commerciante si accorse che suonava
diversi strumenti e che sapeva parlare molte lingue e si rallegrò di averla
incontrata. Mentre si avvicinavano a casa, la ragazza gli disse che sarebbe
stato opportuno annunciare il di lei arrivo a suo padre così come ai familiari
e conoscenti, in modo che tutti si presentassero ad accoglierla. Del resto lui
avrebbe presentato una donna molto importante: ma solo dopo gli avrebbe detto
chi era veramente.[1]
Egli convenne. Lei aggiunse: “Poiché conduci con te una donna quale sono io,
sarebbe opportuno anche offrire da bere a tutto l’equipaggio, così sapranno che
il commerciante si sposa con una donna del genere”. Essa prese del buon vino e
glielo diede e si ubriacarono pesantemente. Mentre il commerciante si incamminò
verso casa per fare l’annuncio, i marinai – completamente ubriachi – uscirono
dalla barca, e crollarono intorpiditi. Tutti si preparavano per accoglierla, ma
la figlia dell’imperatore sciolse gli ormeggi della nave, spiegò le vele e si
mise in navigazione. Una volta giunti al luogo dove si trovava l’imbarcazione,
non trovarono nulla e il padre del commerciante si adirò molto. Il figlio urlò:
“Credimi, ho condotto con me una barca con della merce!”. Ma non videro niente.
Insisté: “Chiedi ai marinai!”. Il padre chiese loro spiegazioni, ma essi erano
ubriachi e non potevano rispondere. Quando si svegliarono, si rivolse loro
nuovamente, ma risposero che non sapevano niente. Sapevano solo che avevano
portato una barca con la merce, ma ignoravano dove fosse. Il padre si adirò con
il figlio e lo cacciò via dalla sua casa, intimandogli di non farsi mai più
vedere. Egli iniziò a peregrinare, mentre la fanciulla salpava per mare.
C’era un re
impegnato nel costruire un palazzo sul mare: gli sembrava opportuno costruirlo
lì proprio per la buona aria cui era esposto. Naturalmente, molte barche
passavano nelle vicinanze. Anche lei, la figlia dell’imperatore, transitò di lì
e si avvicinò al palazzo. Il re notò una barca senza alcun equipaggio a bordo ed
era sicuro di ingannarsi, pertanto ordinò ai suoi di guardare: ma anche loro
videro la stessa cosa. Nel frattempo, la giovane piano piano si avvicinava.
Tuttavia pensò fra sé e sé: “Perchè avvicinarsi a questo palazzo?” e così
riprese il largo. Il re allora inviò qualcuno a prenderla e la condusse a casa
sua. Tale sovrano non aveva moglie: non poteva scegliere, in quanto coloro che
lui voleva lo rifiutavano e viceversa. Quando giunse la figlia dell’imperatore,
gli chiese di giurarle che non l’avrebbe toccata finché non fossero stati uniti
dal vincolo nuziale. Egli giurò. Lei aggiunse anche che non sarebbe stato
opportuno scaricare la sua nave, ma avrebbe dovuto lasciarla intatta in rada
fino al matrimonio. Così tutti avrebbero potuto vedere quante cose essa aveva
condotto con sé e non avrebbero potuto accusarlo di sposare una donna di poco
conto. E così egli promise. Il re diramò un comunicato per tutte le terre,
chiedendo a tutti di riunirsi per il matrimonio e le costruì un palazzo. La
fanciulla chiese che le fossero assegnate undici giovani, figlie di ministri,
che potessero stare con lei. Così ordinò
il re e le furono mandate undici figlie di ministri di alto livello, a ognuna
delle quali fu costruito un palazzo. Anche la figlia dell’imperatore aveva ottenuto
un palazzo speciale per lei e lì le fanciulle scherzavano e giocavano insieme.
Una volta chiese
alle compagne di salire assieme sulla sua imbarcazione: così essere fecero e in
mare si intrattenevano giocando e suonando. Disse loro che le avrebbe onorate
con del buon vino che aveva, e dopo che lo ebbe distribuito le giovani si
ubriacarono e caddero addormentate. A quel punto la figlia dell’imperatore
mollò gli ormeggi, spiegò le vele e scappò con la nave. Il re e i suoi sudditi
videro che la nave non c’era più e si spaventarono. Il re disse: “Facciamo
attenzione a non informarla all’improvviso: ella si intristirà molto visto che
la barca le era molto preziosa”. Avrebbe potuto pensare che il re avesse dato
questa barca a qualcuno e risolsero di mandare la più onorevole fra le sue
undici compagne per informarla con cautela. Ma nella prima stanza non trovarono
nessuno, così come nella seconda. Si recarono in tutte le undici stanze ma non
c’era traccia di anima viva. Decisero così di inviare nottetempo un’onorevole
anziana ma non trovarono nessuno e si spaventarono molto.
Inoltre, i padri
delle undici fanciulle erano abituati a ricevere ogni tanto delle missive dalle
figlie: si accorsero che non ricevevano più risposta alle loro lettere e dunque
andarono a cercare le figlie. Quando non le trovarono, si adirarono molto.
Poiché erano i ministri più stimabili del re e avevano questo potere,
ingiunsero che il re venisse mandato nel luogo riservato ai condannati a morte.
Tuttavia pensarono: “Che colpa ha il re, in fondo è successa una cosa sulla
quale non era in suo potere intervenire” – e decisero così di destituirlo
semplicemente dal suo incarico e mandarlo via. Così il re se ne andò.
La figlia
dell’imperatore nel frattempo aveva preso il largo. Quando le undici ancelle si
svegliarono, ripresero a giocare e scherzare ma dicevano anche: “Torniamo verso
casa!”. Al che lei rispondeva: “Aspettiamo ancora un pò”. All’improvviso venne
una tempesta e le fanciulle dissero a gran voce: “Torniamo adesso!”, ma lei
disse loro che la nave si era già allontanata troppo. “Perchè fai questo?”.
Essa rispose che temeva che la barca si sarebbe rotta a causa della tempesta e
per questo era stata costretta a scioglierla e spiegare le vele. Andarono
quindi per mare e suonavano. Non appena scorsero un palazzo, le undici giovani
dissero: “Andiamo in quella direzione!”, ma lei si rifiutò perchè diceva che si
era pentita di essersi avvicinata al primo palazzo in primo luogo. In seguito
videro un’isola: vi si avvicinarono e lì c’erano dodici ladri intenzionati ad
ucciderle. Lei chiese: “Chi è il più autorevole fra di voi?”, e le fu detto.
“Qual è la vostra occupazione?” – “Siamo ladri” – “Anche noi lo siamo. Solo che
voi usate la forza mentre noi la saggezza: conosciamo le lingue e sappiamo suonare
strumenti musicali. Per quale motivo dovreste volerci uccidere? Sarebbe meglio
che ci sposaste: otterreste così anche la nostra ricchezza.” Fece vedere loro
cosa c’era sulla barca ed essi convennero. Anche i ladri mostrarono loro la
ricchezza che possedevano e andarono con loro in luoghi segreti. Decisero che
non si sarebbe celebrato un solo matrimonio collettivo, ma piuttosto uno dopo
l’altro: così ognuno avrebbe potuto scegliere la sposa che voleva – il più
autorevole secondo la sua importanza e così via.
La figlia
dell’imperatore disse loro che li avrebbe onorati con del buon vino, un vino
eccezionale, che aveva nella nave e che non le bastava mai e che teneva
nascosto fino al giorno in cui il Signore benedetto le avrebbe fatto incontrare
la sua anima gemella. Distribuì loro il vino in dodici calici e disse a ognuno
di bere da ciascun calice. Essi bevvero, si ubriacarono e crollarono assopiti.
Ordinò alle sue compagne: “Andate e sgozzate, ognuna il proprio sposo
promesso”. Così fecero. Trovarono presso i ladri un’enorme ricchezza, che non
si poteva trovare presso alcun re. Decisero di non prendere con sé rame e
argento ma solo oro e pietre preziose. Scaricarono dalla loro barca tutto ciò
che non aveva grande importanza e riempirono la barca di oggetti preziosi, oro
e gemme che avevano trovato lì e decretarono che non sarebbero più andate in
giro con abiti femminili ma si sarebbero cucite vestiti da uomini, in stile
ashkenazita – e ripresero il largo.
C’era un vecchio
re che aveva un solo figlio: l’aveva fatto sposare e a lui aveva affidato il
suo regno. Un giorno il figlio del re disse che sarebbe andato per mare con sua
moglie, in modo che essa si abituasse all’aria di mare. Così, se - Dio non
voglia –un giorno avessero dovuto scappare per mare lei sarebbe stata già
abituata. Salpò con la moglie e con alcuni ministri del regno. Erano gioiosi e
si intrattenevano con giochi e scherzi. A un certo punto si svestirono tutti e
rimasero solo con la biancheria intima che li faceva apparire tutti uguali. Facevano
a gara a chi saliva sull’albero maestro e il figlio del re voleva sempre essere
il primo.
La figlia
dell’imperatore giunse con la sua imbarcazione e vide quella del figlio del re.
All’inizio aveva paura di avvicinarsi, ma poi vide che a bordo si intrattenevano
scherzando e comprese che non erano ladri – e così iniziarono ad accostarsi
sempre di più. La figlia dell’imperatore disse alle sue ancelle: “Posso far
cadere quel calvo in mare” – perchè il figlio del re era calvo, ovvero gli
mancavano i capelli in testa. Le dissero: “E come farai? Siamo lontane da
loro”. La giovane rispose che possedeva un vetro che ha il potere di bruciare e
con questo sarebbe riuscita a farlo cadere. Aggiunse che non l’avrebbe fatto
cadere finché non fosse salito sull’albero maestro, poiché se non aveva
raggiunto la sommità del palo sarebbe caduto dentro la barca, mentre invece,
una volta arrivato in cima, sarebbe andato a finire in mare. Attese finché egli
giunse sul vertice dell’albero, al che prese il vetro inceneritore e lo pose
controsole: lo diresse verso la testa del figlio del re finché non si ustionò
il cervello e cadde in acqua. Alla vista della sua caduta, l’equipaggio entrò
in grande agitazione: come sarebbero potuti tornare a casa? Il re sarebbe certo
morto di tristezza. Decisero di avvicinarsi all’imbarcazione che avevano visto,
perchè a bordo forse avrebbero trovato un dottore che avrebbe potuto aiutarli.
Si avvicinarono alla barca della figlia dell’imperatore e l’equipaggio del
figlio del re disse loro che non dovevano temere alcun male. Chiesero: “Forse
c’è tra voi un dottore che può darci un consiglio?”. Raccontarono loro tutto
quello che era successo e che il figlio del re era caduto in mare. La figlia
dell’imperatore disse loro di tirarlo fuori dall’acqua. Lo trovarono e lo
issarono a bordo: lei gli misurò il battito e convenne che il suo cervello era
bruciato. Aprirono la testa del giovane e videro che aveva ragione. Si
spaventarono. Le chiesero di andare a casa con loro: così sarebbe divenuta il
dottore del re e avrebbe ottenuto grandi riconoscimenti. Ma lei non voleva:
disse che non era un medico ma che aveva solamente intuito quello che era
successo.
L’equipaggio del
re non voleva tornare a casa e le due barche salparono insieme. A loro sembrava
bene che la loro regina sposasse il medico,[2] perchè
avevano visto quanto era saggio, e che lui divenisse il loro sovrano – mentre
avrebbero ucciso il loro vero re. Non si poteva dire alla regina che avrebbe
sposato un medico. Ma anche la regina pensava che fosse una buona idea sposare
il medico, anche se temeva le reazioni dei sudditi che forse non l’avrebbero
accettato come re. Decisero di organizzare un banchetto durante il quale,
nell’ora di festa, avrebbero potuto parlare di ciò. I banchetti si svolgevano a
turni a bordo di ciascuna delle navi. Quando giunse il giorno del banchetto
sulla nave del medico – ovvero la figlia dell’imperatore – egli dette loro lo
stesso famoso vino e tutti si ubriacarono. In tale ora di gioia i ministri
dissero: “Che bello sarebbe se il medico e la regina si sposassero!”. Al che il
medico disse: “Sarebbe molto bello, solo avreste dovuto dirlo da sobri e non da
ubriachi”. Anche la regina disse che sarebbe stato bello per lei sposare il
medico e che il paese l’avrebbe dovuto accettare. Egli rispose: “Sarebbe molto
bello, ma solo se lo dicessero non da ubriachi”.
Quando
l’ubriachezza passò, i ministri si ricordarono di quello che avevano detto e si
vergognarono di fronte alla regina per aver proferito una cosa del genere – ma
anche lei aveva detto cose simili e anche lei si era vergognata di fronte a
loro. Ne parlarono e si decise che avrebbe sposato il dottore. E così tornarono
al paese.
Quando i sudditi
videro che stavano tornando, si rallegrarono molto. Era molto che il figlio del
re era andato via e non sapevano dove fosse, e il vecchio re era già morto
prima del loro rientro. Ma presto videro che il figlio del re, il loro re, non
c’era più. Chiesero: “Dov’è il nostro sovrano?” – e fu raccontata loro tutta la
storia, come era morto e che avevano già accettato un altro re, quello che
avevano condotto con sé. I sudditi furono molto contenti della venuta di un
nuovo monarca.
Il re, cioè la
figlia dell’imperatore, ordinò di annunciare ovunque che tutti (stranieri,
ospiti, fuggitivi e esiliati) venissero al suo matrimonio. Nessuno avrebbe
dovuto mancare e avrebbero ricevuto enormi regali. Decretò che fossero
costruite intorno alla città fonti d’acqua in modo che chi era assetato avrebbe
potuto bere senza dover girovagare per dissetarsi. Ordinò anche che presso ogni
fonte fosse messo il suo ritratto: dei soldati sarebbero stati di guardia e se
si presentava qualcuno che, osservato il ritratto, avesse avuto una reazione
strana – l’avrebbero subito catturato. Così fu fatto. Giunsero quindi anche i tre
personaggi che conosciamo, ovvero: il figlio del primo re (che era il vero
sposo della figlia dell’imperatore), il figlio del commerciante (il cui padre
l’aveva cacciato quando lei era scappata con la merce) e il re (che era stato
destituito poiché lei era scappata con le undici ancelle). Ognuno dei tre la
riconobbe, si ricordò di lei e reagì in
modo inconsueto: così furono catturati.
Al momento del
matrimonio, il futuro re ordinò che i prigionieri fossero condotti presso di
lui: lei li riconobbe ma loro no, poiché era vestita da uomo. La figlia
dell’imperatore disse: “Tu, re, sei stato destituito a causa delle undici
figlie dei ministri. Eccole qui: torna al tuo paese e al tuo regno. Tu
commerciante, sei stato cacciato da tuo padre perchè ti sei fatto sfuggire
l’imbarcazione con la merce. Eccola qui, con tutta la merce, e in tutto il
tempo che non è stata in tuo possesso ti è stata moltiplicata la ricchezza
rispetto a quello che c’era.[3]
E tu, figlio del re (il suo vero sposo) andiamo”. Tornarono alle loro case.
Benedetto il Signore del mondo, amen, amen!
Lo
zoppo
C’era una volta un
saggio che prima di morire chiamò a raccolta la sua famiglia e i suoi figli e
ordinò loro che avessero cura nell’annaffiare gli alberi. “Potete anche fare altri
lavori, ma fate sempre attenzione a irrigare gli alberi”. Il saggio in seguito
morì. Egli aveva alcuni figli e fra di loro ve ne era uno che non poteva
camminare: poteva stare eretto, ma non riusciva a muovere alcun passo. I suoi
fratelli lo aiutavano a guadagnarsi da vivere e gli davano anche di più di
quello di cui aveva bisogno. Il ragazzo via via metteva da parte quello che gli
avanzava, finché non giunse a risparmiare una certa somma e pensò fra sé e sé:
“Perchè devo permettere che siano i miei fratelli a provvedere per me? Sarebbe
meglio che iniziassi ad occuparmi di commercio”. Anche se non poteva camminare,
pensò di prendere in affitto un carretto con qualcuno che lo conducesse e di
procurarsi un servo: con loro si sarebbe diretto verso Lipsia, una città
commerciale in Germania, dove avrebbe potuto occuparsi di attività commerciali
anche se non poteva camminare.
Quando i suoi
familiari appresero le sue intenzioni, approvarono e dissero: “Perchè dovremmo
continuare a provvedere per lui? Sarà bene che anche lui abbia il suo
guadagno”. Gli dettero altri soldi per
svolgere le sue attività commerciali e lui si procurò un carretto, un
vetturino, un servitore e partì. Giunti a un ostello, il servo disse che avrebbero
dormito lì, ma il padrone non voleva. Il servo e il vetturino insistettero ma
lui rifiutò e così ripresero il cammino. Nella foresta però persero
l’orientamento e furono assaliti dai ladri.
I ladri erano
divenuti tali perchè in passato c’era stata una carestia; in città era giunto
un personaggio che aveva annunciato a gran voce: “Chi vuole avere cibo, venga
da me!”. Diverse persone si presentarono e lui agì molto furbescamente.
Respingeva coloro di cui non aveva bisogno, mentre ad altri diceva: “Tu puoi
essere un manovale!” – “Tu puoi essere un
mugnaio!”. Scelse solo soggetti intelligenti e li condusse con sé nella
foresta informandoli che sarebbero diventati ladri: “Siccome da qui passano
tutti in direzione di Lipsia, di Bresla e altre città, e questa è una via di
passaggio per i commercianti, li potremo derubare e accumulare molto denaro”.
I ladri assalirono
dunque i nostri viaggiatori.
Il vetturino e il
servitore, che potevano darsela a gambe, lo fecero. Il giovane rimase invece
sul carretto. Giunsero i ladri, rubarono tutti i soldi e gli chiesero: “Perchè
rimani lì seduto?”. Lui rispose che non poteva camminare. Nel momento in cui i
ladri rubavano i soldi e i cavalli, lui non poté quindi far altro che rimanere
sul carretto; il servitore e il vetturino, dal canto loro, pensavano che siccome
avevano contratto diversi debiti presso gli usurai non conveniva loro tornare a
casa. Sarebbero certo finiti in manette! Era meglio per loro rimanere lì, nel
posto da cui erano fuggiti, ed essere lì un servo e un vetturino.
Per tutto il tempo
in cui gli bastò il cibo che aveva preso da casa – ovvero del pane secco che
aveva nel carretto – lo zoppo lo mangiò. Quando il cibo finì, e lui non aveva
più di che nutrirsi, decise di buttarsi giù dal carretto per mangiare l’erba.
Dormiva da solo nel campo, tutto intimorito, e non aveva più forze, nemmeno per
stare in piedi. Poteva solo strisciare. Mangiava tutta l’erba che riusciva a
raggiungere intorno a sé e quando era finita strisciava a fatica in un nuovo
punto nel quale iniziava di nuovo a cibarsi. Passo così un certo periodo di
tempo.
Un giorno assaggiò
un’erba che ancora non aveva mangiato, e gli piacque molto. Era tempo che si
nutriva di erbe, e ne conosceva i tipi diversi, ma non aveva mai assaggiato
questa e decise che l’avrebbe estirpata insieme alla sua radice. Sotto la
radice trovò una pietra preziosa. Tale pietra aveva forma quadrata e ogni suo
lato aveva un diverso potere. Su uno dei lati era scritto che colui che avesse
impugnato quello stesso lato, sarebbe giunto per grazia della pietra in un
luogo dove il giorno e la notte sono una cosa sola, ovvero dove si uniscono il
sole e la luna. Quando estirpò la radice con la pietra, il caso volle che
afferrasse proprio questo stesso lato e quindi fu trasportato fino a un luogo
dove il giorno e la notte erano la stessa cosa. Guardò e vide che si trovava
proprio in un luogo dove il sole e la luna sorgono nello stesso momento.
Sentì che il sole
e la luna parlavano fra loro e il sole si lamentava con la luna dell’esistenza
di un albero che ha molti rami, frutti e foglie: ognuna delle sue componenti
aveva un potere speciale. Uno era quello di far procreare lo sterile, un altro
portava guadagni, un altro guariva una certa malattia, un altro ne guariva
un’altra...ognuna di esse aveva una capacità specifica. Questo stesso albero
doveva essere sempre annaffiato. Se irrigato, aumentava di molto il suo potere.
Ma il sole disse: “Non solo io non lo annaffio, ma con il mio calore lo
secco!”.
La luna rispose:
“Tu hai altre preoccupazioni. Ti voglio dire qual è la mia: ho mille montagne e
intorno ad esse ci sono altre mille montagne. Là vi soggiornano molti spiriti
che hanno zampe di galline nelle quali non hanno forza: succhiano la forza
dalle mie gambe e per questo io mi ritrovo senza alcuna vitalità. Ho della
polvere, chiamata pul, che è una
medicina per le mie gambe ma il vento la porta via”.
Il sole rispose:
“Questa è la tua preoccupazione? Ti dirò qual è il rimedio: c’è una strada
dalla quale si ramificano altre strade minori. Una di esse è la via dei giusti.
Perfino se il giusto non si trova su quella stessa strada, gli viene seminata
sotto i piedi la polvere del sentiero dei giusti. In ogni passo che egli fa,
calpesta quella stessa polvere. C’è anche la strada degli epicurei. Persino se
un epicureo non si trova su quella strada, sotto i suoi piedi viene seminata la
polvere degli epicurei – e c’è anche la strada dei folli, ai quali viene
riservato lo stesso trattamento. Dunque, ci sono diverse strade. C’è
un’ulteriore strada sulla quale vanno i giusti che subiscono tormenti, i quali
sono tenuti in catene dagli usurai e non hanno forza nelle gambe. Sotto i loro
piedi viene sparsa la polvere della strada dei giusti e così loro acquistano
forza. Quindi, recati in quel luogo: lì c’è molta polvere e troverai un rimedio
per le tue gambe”.
Lo zoppo udì tutto
ciò.
Egli guardò la
pietra preziosa e vide che su un altro lato vi era scritto che chi l’avesse
tenuto in mano, per grazia della pietra sarebbe stato condotto sulla stessa
strada dalla quale si diramano tutte le altre strade. Toccò quel lato e giunse
alla strada dove la polvere è medicina per le gambe. Immediatamente fu curato.
Raccolse dunque la polvere dalle varie strade, la sistemò in mucchi separati e
prese tutto con sé. Decise di tornare alla foresta dove era stato derubato.
Scelse un albero alto, posizionato vicino alla via dalla quale i ladri uscivano
per rubare; prese la polvere dei giusti e quella degli stolti e le mescolò
insieme. Sparse la miscela sulla strada e salì sull’albero. Stava lì seduto per
vedere cosa accadeva, quando uscirono dei ladri inviati dal loro capo a rubare.
Quando essi giunsero su quel sentiero e calpestarono la polvere divennero
immediatamente dei giusti: iniziarono a inveire contro se stessi per aver
rubato e commesso omicidi. Ma poiché la polvere era mescolata con quella degli
stolti, divennero dei giusti pazzi, iniziando a litigare l’uno con l’altro. Uno
disse: “E’ colpa tua se abbiamo rubato!”, e l’altro: “E’ colpa tua se abbiamo
rubato!” – e si uccisero a vicenda. Il capo dei ladri inviò dunque altri gruppi
di briganti finché anch’essi non si uccisero a vicenda. Quando lo zoppo
comprese che erano tutti morti, tranne il capo e un altro furfante, scese
dall’albero, raccolse la polvere che aveva sparso e gettò sul sentiero solo la
polvere dei giusti – al che salì nuovamente sull’albero.
Il capo dei ladri
si stupì del fatto che aveva inviato tutti i suoi scagnozzi e che nessuno di
loro era tornato. Si mise quindi in cammino insieme a quello che era rimasto
con lui, ma quando giunse su quella stessa strada divenne un giusto e iniziò a
gridare al suo compare: “Quante persone ho ucciso! Quanto ho rubato! Ho persino
violato delle tombe!”. Dunque si pentì e si mise sul giusto cammino e poiché lo
zoppo dall’albero aveva osservato questo suo cambiamento, decise di scendere.
Il ladro, trovandosi di fronte a una persona, iniziò a gridare: “Povero me! Ho
commesso così tante brutte azioni! Me sventurato! Dammi una penitenza!”. Lo
zoppo gli rispose: “Restituiscimi i soldi che mi hai rubato”. Sapeva infatti
che su ogni cosa che rubavano i ladri annotavano quando avevano commesso
l’azione e a chi l’avevano sottratta. Il furfante rispose: “Te li renderò
subito, e ti darò persino tutte le cose che ho rubato finora: dammi solo una
penitenza!”. “La tua penitenza sarà quella
di arrivare in città e confessarti in pubblico. Dovrai dire: io sono l’autore
dell’annuncio grazie al quale molti divennero ladri, ho commesso molti omicidi!
Questa sarà la tua penitenza”. Il ladro gli consegnò quindi tutto ciò che
possedeva, andò con lui in città e così fece. La città risolse che, poiché
aveva ucciso più volte, avrebbe dovuto essere impiccato in pubblico.
In seguito, lo
zoppo decise di raggiungere le mille e mille montagne della luna e vedere cosa
accadeva lì. Quando giunse a destinazione, rimase in lontananza e vide che
c’erano centinaia di migliaia di famiglie di spiriti che si moltiplicano come
esseri umani. Vide il loro capo, che stava seduto su una sedia sulla quale
nessun essere umano potrebbe stare seduto e notò anche che scherzavano fra di
loro. Uno raccontava di aver arrecato danno a un neonato, uno a una mano, uno a
una gamba – insomma era tutto un burlarsi.
Osservando meglio,
vide un padre e una madre che piangevano. Gli spiriti chiesero loro: “Perchè
piangete?”. Essi risposero che avevano un figlio che stava lontano e in questo
periodo dell’anno era solito tornare a casa, ma adesso era passato molto tempo
e ancora non si era fatto vedere. Li condussero dal re, il quale decretò di
inviare degli emissari in giro per il mondo affinché trovassero il ragazzo. Il
padre e la madre sulla via del ritorno incontrarono qualcuno che in passato si
era accompagnato al loro figlio. Egli chiese loro: “Perchè piangete?” – e gli
raccontarono tutta la storia. Lui rispose: “Ve lo dico io dove si trova. C’era
un’isola in mezzo al mare che era diventata la nostra residenza ma in seguito
il re che possedeva quest’isola voleva costruirvi sopra dei palazzi e iniziò a
gettarne le fondamenta. Vostro figlio mi propose di andare da lui e rovinarlo;
così rubammo al re la forza. Il re si rivolse ai medici, ma non riuscirono ad
aiutarlo e così si rivolse agli stregoni. Uno di essi conosceva la famiglia di
vostro figlio, ma non la mia. Non poté quindi agire contro di me, ma siccome
conosceva la famiglia di vostro figlio, riuscì a prenderlo, lo torturò e lo
condusse davanti al re”.
Il tale raccontò
poi la sua storia anche al re degli spiriti. Il re disse: “Restituite la forza
a quel re cui è stata rubata!”, ma il tale rispose che avevano dato la forza
del re a uno dei loro compagni che era rimasto senza. Il re disse quindi:
“Prendete da lui la forza e venga restituita al re!”, ma al re fu detto che
questo stesso spirito era stato trasformato in una nuvola. Il re insisté:
chiese che gli si conducesse la nuvola e pertanto mandò un emissario a
cercarla. Lo zoppo disse: “Andrò a vedere cosa succede: come è possibile che
uno spirito sia diventato nuvola”. Seguì l’emissario e giunse a una città
coperta da una nuvola. Chiese quindi agli abitanti: “Come è possibile che nella
città sia nuvoloso da così tanto tempo?”. Gli risposero: “A dire il vero qui
non ci sono quasi mai nuvole, ce n’è solo una che sta qui da tanto tempo”.
L’emissario andò dalla nuvola e la chiamò a sé. Lo zoppo si allontanò da lì e
decise di seguirli per sentire cosa dicevano. Sentì che l’emissario le
chiedeva: “Come sei arrivata qui, nuvola?” – “Ti racconterò una storia. C’era
una volta un saggio: l’imperatore del paese dove viveva era un grande epicureo
e aveva reso tutto il paese un paese di edonisti. Il saggio chiamò a raccolta
tutti i suoi familiari e disse loro: sapete che l’imperatore è un grande
epicureo e così ha fatto diventare tutto il paese e anche una piccola parte
della nostra famiglia è diventata così. Perciò ci ritireremo nel deserto in modo
da continuare ad avere fede nel Signore benedetto. I membri della sua famiglia
furono d’accordo con lui. Il saggio pronunciò una formula e li condusse nel
deserto. Ma quello stesso deserto non gli piaceva e pronunciò quindi un’altra
formula che li condusse a un secondo deserto. Ma anche quello non andava bene e
pronunciò un’altra formula che li portò a un terzo deserto, il quale finalmente
piacque loro. Questo deserto si trovava vicino alle duemila montagne abitate
dagli spiriti. Il saggio creò un cerchio intorno alla sua famiglia in modo che
gli spiriti non si potessero avvicinare. Lì vi era anche un albero che, se
veniva annaffiato, avrebbe fatto scomparire tutti gli spiriti. Perciò giorno e
notte gli spiriti stavano di guardia e scavavano la terra intorno all’albero
per evitare che l’acqua arrivasse alle sue radici”. L’emissario chiese alla
nuvola: “Perchè stare di guardia giorno e notte? Non sarebbe bastato scavare
una volta sola per impedire all’acqua di arrivare alle radici?” – “Ci sono fra
di noi alcuni che si comportano come spie: essi creano conflitti tra un re e
l’altro e per questo provocano delle guerre, le quali comportano terremoti
sulla terra. Quando ci sono queste scosse, la terra che è intorno allo scavo
cade e ritorna dentro e così l’acqua riesce a raggiungere le radici
dell’albero. Per questo c’è bisogno di scavare tutto il tempo. Quando tra noi
eleggiamo un re, amiamo scherzare davanti a lui. Uno si vanta di come ha
rovinato un neonato la cui mamma adesso è in lutto, un altro parla di altre
cose buffe e via dicendo. Quando il re partecipa a questa gioia va a giro con i
suoi ministri e prova lui stesso a sradicare l’albero: se non esistesse questo
albero, sarebbe ottimo per noi, poiché se l’acqua malauguratamente dovesse
giungere all’albero sarebbe la nostra fine. Il re è determinato nelle sue
intenzioni ma quando giunge all’albero esso emette dei suoni spaventosi e il
re, intimorito, torna sui suoi passi. Una volta era stato eletto un nuovo re
degli spiriti. Si burlarono con lui di tutte le cose che avevano fatto. Egli
era molto allegro e si era fatto gran coraggio, tanto da voler sradicare
completamente l’albero. Si recò là con i suoi ministri. Era molto determinato e
si precipitò ad estirparlo ma, quando lo raggiunse ,l’albero emise un suono
stridente, al che il re si spaventò molto e tornò sui suoi passi in gran
collera. Poi, si incamminò nuovamente in direzione della pianta. Sul suo
cammino notò alcuni uomini che stavano seduti[4] e inviò
alcuni dei suoi emissari perchè facessero loro del male – come sono abituati a
fare gli spiriti. Quando videro questa famiglia di esseri umani, si
spaventarono, ma il vecchio disse loro di non aver paura. Gli spiriti non
potevano avvicinarsi alla famiglia a causa di quel cerchio che il vecchio aveva
creato e il re inviò quindi altri emissari i quali a loro volta non riuscirono
ad entrare. Si adirò molto e decise di recarsi in quel luogo di persona, ma
anche lui non poteva avvicinarsi. Il re chiese al vecchio che gli permettesse
di entrare. Il vecchio gli rispose: visto che me lo chiedi, ti lascerò passare.
E siccome non è bene che il re entri da solo, ti permetterò di portare con te
un altro spirito. Aprì loro un varco e essi entrarono, dopo di che richiuse il
circolo. Il re disse al vecchio: cosa ti è saltato in mente di sistemarti nel
nostro luogo? Rispose: chi ha detto che è il vostro luogo? Il posto è mio. Il
re disse: non hai paura di me? Rispose: No. – Non hai paura? E il re si fece
enorme, così grande da raggiungere il cielo, e aveva intenzione di divorarlo.
Il vecchio disse: nonostante ciò, non ho affatto paura. Ma se voglio, sarai tu
ad aver paura di me. Il vecchio si raccolse in preghiera e si trasformò in
un’enorme nuvola che produceva tuoni impetuosi: si sa che il tuono uccide gli
spiriti! Così tutti i delegati che erano giunti insieme al re furono uccisi e
non rimasero altro che il sovrano stesso e lo spirito che lo aveva accompagnato
dal vecchio. Il re chiese che i tuoni cessassero, e così fu. Il re disse: dal
momento che sei un uomo del genere, ti affiderò il libro di tutte le famiglie
degli spiriti che esistono; ci sono uomini importanti che conoscono più di una
famiglia, ma nessuno conosce le famiglie nella loro interezza. In questo libro
sono riportate tutte le famiglie perchè presso il re sono registrati tutti e
persino ogni nuovo nato viene iscritto. Mandò quindi il delegato che era
rimasto con lui a prendere il libro, e glielo consegnò. Il re aprì il libro e
vide che c’erano inscritte centinaia di migliaia delle loro famiglie e promise
che non avrebbero mai danneggiato il vecchio e la sua famiglia. Ordinò che gli
fossero portati tutti i ritratti dei familiari del vecchio e anche se fosse
nato un bimbo, immediatamente avrebbero dovuto portare il suo ritratto in modo
che nessun membro della sua famiglia fosse danneggiato. In seguito, quando per
il vecchio giunse il momento di morire, chiamò i suoi figli a raccolta e disse
loro: vi consegno questo libro. Avete visto che ho il potere di servirmene per
scopi benefici e nonostante ciò non ne faccio uso. Ho solo fiducia nel Signore
benedetto. Anche voi evitate di utilizzarlo,
e anche se dovesse esserci uno di voi che lo potrebbe usare per scopi
benefici – non usatelo e abbiate solo fede nel Signore benedetto. Il vecchio
saggio morì e il libro passo in eredità al figlio di suo figlio, il quale aveva
sì il potere di servirsene per scopi benefici ma aveva anche fede nel Signore
benedetto e quindi non lo utilizzava, così come aveva ordinato suo nonno. Egli
sentiva però delle voci che tentavano di sedurlo a usufruire del libro, con la
scusa che egli aveva figlie grandi ma non sufficiente denaro per mantenerle.
Lui non sapeva che si trattava di spiriti che tentavano di sedurlo e pensava
che fosse il suo stesso cuore a parlare. Si recò sulla tomba di suo nonno e gli
domandò: tu ci hai ordinato di non usare il libro, e di avere solo fede nel
Santo benedetto. Ma adesso il cuore mi incita ad usarlo. Il vecchio rispose:
nonostante tu abbia la forza di servirtene per scopi benefici, è meglio che tu
abbia fede nel Signore benedetto e che tu non lo adoperi. Il Signore ti
aiuterà. E così egli fece. Un giorno, il re del paese dove abitava si era
ammalato e i medici non potevano aiutarlo. A causa del clima caldo del paese,
la medicina non riusciva ad aiutarlo. Il re ordinò che il popolo di Israele
pregasse per lui. Il nostro re, il re degli spiriti, disse quindi: vedo che si
tratta del nipote del vecchio saggio, che ha il potere di servirsi del libro
per scopi benefici ma non lo fa. Gli faremo quindi un favore. E ordinò a me, la
nuvola, di sostare in quel paese in modo che il re guarisse e potesse anche
essere risparmiato da ulteriori malattie. Il nipote non sapeva niente di tutto
ciò, ma questo è il motivo per il quale io sono qui come nuvola”.[5]
Lo zoppo, che
aveva seguito la nuvola e l’emissario, aveva udito quanto si erano detti. La
nuvola fu condotta dal re, il quale ordinò che le fosse tolta la forza e che
fosse restituita all’altro re – e così fecero. Così il figlio dei due genitori
disperati poté tornare a casa, anche se aveva subito torture e aveva pochissima
forza. Egli si adirò molto contro lo stregone che l’aveva torturato così
duramente e ordinò ai suoi figli e alla sua famiglia che ci fosse sempre
qualcuno pronto a tendergli un’imboscata. Tra di loro ci furono però delle spie
che andarono dallo stregone e lo avvertirono di stare in guardia – poiché
imboscate erano sempre dietro l’angolo. Lo stregone mise in atto dei trucchi e
chiamò altri colleghi che conoscevano le famiglie di spiriti, in modo da
potersi difendere: il giovane e la sua famiglia si adirarono molto contro le
spie che avevano rivelato il segreto.
Una volta accadde
che la famiglia del giovane e le spie si trovarono nello stesso momento a
prestare servizio di guardia per il re. I familiari del giovane si inventarono
delle cose sul conto delle spie e il re ordinò che fossero uccise. Le spie che
si salvarono si adirarono molto e causarono uno scontro tra tutti i re. Tra gli
spiriti si sparsero quindi carestia, debolezza, conflitti e pestilenza e ci
furono guerre tra tutti i sovrani della terra. Grazie a ciò, si crearono dei
terremoti a causa dei quali la terra scavata intorno all’albero si riversò
tutta all’interno della fossa. L’albero che proteggeva dagli spiriti fu così
interamente annaffiato e non rimase alcuno spirito...era come se non ci fossero
mai stati. Amen!
Il
re e il decreto sulla conversione
C’era una volta un
re che deliberò un’ordinanza: coloro che volevano rimanere a vivere nel suo
paese si sarebbero dovuti convertire. Chi non era disposto a farlo, sarebbe
stato espulso. Ci furono quelli che si lasciarono dietro tutti i beni e le
ricchezze che avevano e andarono via di lì in estrema indigenza, e questo
perché volevano rimanere fedeli all’ebraismo. Ma per altri era un dispiacere
abbandonare le loro proprietà e le loro ricchezze: rimasero lì e divennero
marrani, ovvero mantennero le tradizioni ebraiche in privato mentre in pubblico
si comportavano diversamente.
Quando il re morì,
suo figlio prese il suo posto e iniziò a governare il paese con grande
temperanza. Conquistò diversi paesi ed era molto saggio e poiché teneva sotto
stretto controllo i ministri del regno, essi ordirono contro di lui una
cospirazione – che avrebbe portato all’uccisione di lui e dei suoi discendenti.
Tra i ministri vi era anche un marrano che pensò: “Perchè sono un marrano?
Perché non ebbi il coraggio di abbandonare i miei beni e la mia ricchezza.
Adesso che il paese rimarrà senza un re, gli uomini si inghiottiranno vivi a
vicenda perché non può esserci un paese senza sovrano”. Perciò decise di andare
dal monarca e svelargli il complotto che si stava preparando contro di lui,
senza che gli altri lo sapessero. Il re volle verificare se la denuncia era
vera e scoprì che egli non aveva mentito. Mise quindi delle guardie a sua
protezione. La stessa notte in cui il complotto avrebbe dovuto aver luogo, le
guardie catturarono i cospiranti e il re li giudicò uno per uno.
Il re disse al
ministro marrano: “Come posso onorarti per aver salvato me e i miei familiari?
Ti potrei fare ministro, ma lo sei già. Ti potrei dare denaro, ma ce l’hai già.
Dimmi come posso onorarti e io lo farò”. Il marrano rispose: “Farai proprio
tutto quello che chiederò?”. Il re disse: “Si”. – “Giura sulla tua corona e sul
tuo regno”, e così fece il re. Il marrano disse quindi: “L’onore che chiedo è
quello di poter essere ebreo alla luce del sole, e poter indossare il tallit e
i filatteri in pubblico”. Il re non gradì affatto questa richiesta poiché in
tutto il suo paese nessuno poteva essere ebreo in pubblico. Tuttavia, non aveva
scelta a causa del giuramento fatto. La mattina, il marrano iniziò a indossare
tallit e filatteri in pubblico. In seguito, questo re morì e suo figlio lo
successe. Egli decise di governare il suo paese con moderazione – dato che a
causa della troppa prepotenza avevano voluto uccidere suo padre –, conquistò
molti paesi ed era molto saggio e ordinò di convocare a raccolta tutti gli
astrologi affinché gli dicessero cosa poteva comportare un pericolo per la sua
discendenza, in maniera da potersi difendere. Essi dissero che la sua
discendenza non correva il rischio di essere annientata ma aggiunsero:
“Guardati solo dal toro e dal capretto”. Scrissero tutto ciò nel libro delle
memorie e il re ordinò ai suoi figli di governare il paese anch’essi con
moderazione. E morì.
Suo figlio divenne
re e iniziò a governare con dispotismo come aveva fatto suo nonno. Conquistò
molti paesi ed era un uomo saggio: ordinò di annunciare che non si doveva
trovare nel paese né toro né capretto in modo che la sua discendenza non fosse
in pericolo. Per questo, non aveva timore di niente. Governava in modo
dispotico e divenne molto saggio.
Ad un certo punto
ebbe l’idea di conquistare tutto il paese senza bisogno di muovere alcuna
guerra, poiché ci sono sette parti in cui il mondo è diviso e ci sono sette
pianeti ognuno dei quali illumina una parte del mondo e ci sono sette tipi di
metalli per mezzo dei quali ciascuno dei sette pianeti porta luce. Il re
raccolse tutti i sette metalli e ordinò che gli fossero portati tutti i
ritratti dei re fatti d’oro, che i sovrani tenevano appesi nei loro castelli, e
da questi creò una sembianza umana. La sua testa era d’oro, il suo corpo
d’argento e il resto fatto di metalli diversi e così egli conteneva tutti e
sette i tipi di metalli. Lo collocò su un’alta montagna e tutti i pianeti lo
illuminavano insieme. Quando qualcuno aveva bisogno di un consiglio per capire
se concludere o meno un affare, si poneva di fronte all’organo fatto del
metallo che corrispondeva alla parte del mondo da cui egli proveniva – e
chiedeva il da farsi. Se la risposta era affermativa, e l’affare doveva essere
concluso, l’organo in questione si illuminava. Altrimenti, l’organo diventava
scuro. Grazie a questo il re era riuscito a conquistare tutto il mondo e si era
molto arricchito.
Tale stessa
sembianza umana era in grado di dare risposte solo a condizione che il re fosse
in grado di far divenire modesti gli altezzosi e innalzare gli umili. Egli
convocò quindi tutti gli ufficiali di alto grado nell’esercito e tutti i
ministri che avevano incarichi di alto livello: si presentarono tutti e il
sovrano li fece divenire modesti e tolse loro ogni titolo – persino a quelli
che avevano servito sotto il nonno di suo nonno. Allo stesso tempo, elevò quanti
erano modesti e affidò loro vari compiti. Tra di loro c’era anche il ministro
marrano, al quale il re chiese: “Quali sono il tuo merito e il tuo titolo?” –
“Il mio merito è quello di poter essere ebreo in pubblico, grazie al favore che
feci a tuo nonno”. Gli ritirò il titolo e egli tornò ad essere un marrano.
Una volta il re
stava dormendo e vide in sogno un cielo cristallino e tutto lo zodiaco. Il toro
e il capricorno, che sono fra i dodici segni, si prendevano gioco di lui. Si
svegliò all’improvviso, incollerito e pieno di paura. Ordinò che fosse portato
il libro dei ricordi e vide che lì vi era scritto che a causa di un toro e un
capretto sarebbe perita la sua discendenza. Si spaventò molto e raccontò quanto
aveva sognato anche alla regina: anch’essa e i suoi figli si spaventarono
molto. In preda a grande agitazione, chiamò tutti gli interpreti di sogni.
Ognuno di loro dava la sua interpretazione ma lui non li ascoltava. Venne
infine da lui un saggio, il quale gli disse che sapeva qualcosa che gli aveva insegnato
suo padre: “Il sole fa 365 percorsi e c’è un luogo da dove essi originano
tutti. Lì si trova una verga di ferro: quando chi è spaventato giunge lì, egli
smette di temere”.
Ciò trovò grazia
agli occhi del re, che si incamminò con la moglie, i figli e la famiglia verso
quel luogo, insieme al saggio. Nel mezzo del cammino incontrarono l’angelo
responsabile dell’ira – poiché dall’ira origina l’angelo distruttore,
responsabile di tutti quelli che affliggono. Gli chiesero quale fosse la strada
da percorrere: ve ne era una opportuna, una piena di malta, una piena di
trappole e cavità e c’erano anche altre strade. E ve ne era una dove a un certo
punto si trovava del fuoco, che si estendeva su un raggio di 16 miglia. Egli
rispose che la strada da percorrere era quella del fuoco. E si incamminarono.
Il saggio guardava davanti a sé ogni volta per vedere se c’era del fuoco,
poiché suo padre gli aveva insegnato come riconoscerlo. A un certo punto vide
il fuoco, attraverso il quale passavano sovrani e ebrei che indossavano il
tallit e i filatteri: ciò era a causa del fatto che nei paesi di quegli stessi
sovrani abitavano in pace degli ebrei e quindi potevano passare tutti
attraverso il fuoco. Il saggio disse al re: “Quello che io so da mio padre è
che in un raggio di 16 miglia dal fuoco si viene bruciati, per cui io non
voglio proseguire oltre”. Il re disse: “Dal momento che ho visto alcuni re che
attraversano il fuoco, penso di poterci passare anche io”. Il saggio ripose:
“Questo è ciò che so da mio padre e perciò non intendo proseguire. Se tu vuoi
proseguire, fai pure”. Il re si incamminò insieme alla sua famiglia ma furono
tutti bruciati dal fuoco.
Quando il saggio
giunse a casa, i ministri lo accolsero con sorpresa. Il re era stato attento al
toro e al capretto – come era quindi potuto accadere che lui e i suoi
discendenti fossero stati annientati? Il marrano disse: “E’ stato annientato a
causa mia, in quanto gli astrologi avevano visto qualcosa ma non sapevano cosa
esattamente. Dalla pelle del toro si fanno i filatteri e dalla lana del
capretto si tessono gli tzitzit per il tallit. E’ stato annientato a causa
loro: quei sovrani nei cui paesi abitavano ebrei che indossavano tallit e
filatteri, riuscivano a passare attraverso il fuoco e non essere danneggiati.
Ma lui è stato annientato in quanto nel suo paese gli ebrei non possono
indossare tallit e filatteri e a causa di ciò il toro e il capricorno che
stavano nello zodiaco si prendevano gioco di lui: gli astrologi avevano visto
ma non sapevano cosa avessero visto. Così fu annientato lui e la sua
discendenza”.
Il principe di pietre preziose
C’era una volta un
re che non aveva figli. Si rivolse ai dottori affinché il suo regno non finisse
in mani straniere, ma non potevano aiutarlo. Il re ordinò che gli ebrei
pregassero per lui perchè gli nascessero figli: essi cercarono qualcuno che
potesse farlo e trovarono un giusto nascosto. Egli però rispose: “Non so come
fare”. Gli ebrei lo riferirono al re ed egli ordinò che il giusto fosse
condotto davanti a lui, e così fu. Il re iniziò a parlargli in tono gentile,
dicendo: “Tu sai che gli ebrei sono in mio potere e che io posso fare di loro
ciò che voglio. Quindi ti chiedo, per cortesia, di pregare affinché mi nascano
figli”. Il giusto gli promise che entro lo stesso anno avrebbe avuto un erede.
Egli tornò a casa e la regina partorì una figlia: la principessa era molto
bella e quando aveva quattro anni era già molto saggia, sapeva suonare
strumenti e conosceva tutte le lingue, e i re di tutti i paesi andavano a trovarla.
Il re era molto felice.
Ma il re spasimava
per avere un figlio, in modo che il suo regno non passasse in mani altrui e
ordinò di nuovo agli ebrei di pregare affinché gli nascesse un maschio. Essi
andarono in cerca dello stesso giusto ma non lo trovarono, perchè era già
morto. Cercarono ancora: ne trovarono un altro e gli chiesero che provvedesse
affinché al re nascesse un figlio maschio. Ma anch’egli disse che non sapeva
come fare. Lo riferirono al re e lui ripeté la stessa cosa che aveva detto
all’altro giusto tempo prima. Il saggio gli disse: “Potrai fare tutto quello
che io comanderò?”. Il re disse: “Si”. – “Ho bisogno che mi porti tutti i tipi
di pietre preziose, poiché ognuna di esse ha una qualità diversa – e so che
presso i re si trova un libro che contiene tutti i tipi di pietre preziose”.
Disse il re: “Sono pronto a rinunciare a metà del mio regno affinché mi nasca
un figlio maschio”. Gli portò quindi tutti i tipi di pietre preziose e il
saggio le prese e le ridusse in polvere. Prese poi un bicchiere di vino e lo
mescolò alla miscela fatta; ne dette la metà da bere al re e l’altra metà alla
regina. Disse loro che avrebbero avuto un figlio maschio, il quale sarebbe
stato fatto di gemme. In lui ci sarebbero state tutte le qualità. E se ne andò.
La regina partorì un maschio e il re si rallegrò molto. Ma il figlio che era
nato non era fatto di pietre preziose. Quando il principe aveva 4 anni era
molto bello, molto saggio, conosceva tutte le lingue e gli altri sovrani
andavano a trovarlo.
Quando la principessa
vide che non era più così importante, si ingelosì. Aveva una sola consolazione:
che lo stesso saggio aveva detto che quel figlio predestinato sarebbe stato
fatto di gemme. Era un bene che questo non lo fosse!
Una volta il
principe tagliava gli alberi e si ferì a un dito. La principessa voleva
fasciarglielo ma vide che dentro il dito era fatto di pietre preziose. Si
ingelosì molto e finse di essere ammalata. Vennero da lei alcuni dottori ma non
potevano guarirla e furono quindi chiamati gli stregoni. Ad uno solo di essi
raccontò la verità, ovvero che la sua malattia era tutta una finzione. Quindi
gli chiese: “Sei in grado di fare un incantesimo a un uomo in modo che gli
venga la lebbra?”. Egli rispose di si. Disse la principessa: “Forse però quando
sarà colpito dal male chiamerà un altro stregone che lo guarisca annullando
l’incantesimo” - “Se la mia magia verrà
gettata nell’acqua non potrà più essere annullata”. Così fece la principessa e
il principe si ammalò gravemente di lebbra. Aveva enormi piaghe sul naso, sul
volto e sul resto del corpo e il re convocò dottori e stregoni, ma non potevano
guarirlo.
Ordinò quindi agli
ebrei di pregare e di chiamare lo stesso giusto. Egli fu condotto davanti al
re. Pregava sempre il Signore benedetto in quanto aveva promesso che il
principe sarebbe stato fatto di pietre preziose ma così non era accaduto – e
diceva al Santo benedetto: “Ho fatto forse questo per il mio stesso onore? Non
l’ho fatto altro che in onore tuo, ma le cose non sono andate come avevo promesso!”.
Il giusto si recò dal re e pregava, ma non poteva aiutarlo. Al che gli dissero
che si trattava di un incantesimo.
Egli aveva però
potere su tutti gli incantesimi: spiegò al re che si trattava di una magia che
era stata gettata nell’acqua e non c’era modo di guarire il principe a meno che
lo stregone responsabile di quel sortilegio fosse gettato anch’esso nell’acqua.
Il re disse: “Ti farò portare tutti gli stregoni, purché mio figlio guarisca!”.
La principessa si spaventò molto e si precipitò a togliere l’incantesimo, in
quanto sapeva dove si trovava – ma cadde nell’acqua. Ci fu grande confusione
quando la figlia del re cadde. Il giusto disse loro che il principe sarebbe
guarito e così fu: le piaghe si asciugarono, la sua pelle si squamò e tutti
videro che era fatto di gemme come aveva detto il giusto, e di esse possedeva
tutte le qualità.
Il re e il saggio
C’era una volta un
re che aveva al suo fianco un sapiente consigliere. Disse il re al saggio: “C’è
un re che sostiene di essere un grande eroe, uomo onesto e umile. Che è un
prode lo so: il suo paese è circondato dal mare, ha navi con cannoni e soldati
che non permettono a nessuno di avvicinarsi. Tra il mare e l’entroterra c’è una
grande palude torbida e non vi è altro che un piccolo sentiero dove può passare
solo una persona alla volta: e anche lì sono posizionati dei cannoni, in modo
tale che se sopraggiungesse qualcuno con intenzioni bellicose gli verrebbe
sparato contro e certo da lì non ci si può avvicinare al paese. Ma per quanto
riguarda il suo essere un uomo umile e onesto – di ciò non ho prova. Vorrei che
mi portassi il ritratto di questo re”.
Il re aveva i
ritratti di tutti gli altri sovrani. Gli mancava solo quello del re che
sosteneva di essere umile e onesto poiché esso si teneva lontano dalle persone
e dai suoi sudditi, trascorrendo tutto il tempo sotto una tenda traforata.
Il sapiente si
incamminò verso il paese. Pensava fra sé e sé che doveva ottenere delle
informazioni specifiche su di esso.
Ma come le avrebbe
ottenute? Studiando il katovish –
ovvero l’umorismo – del paese. Cioè, tramite quelle risate che si chiamano katovish, perchè per conoscere una cosa
bisogna conscerne l’umorismo.
Infatti, ci sono
diversi tipi di spirito: ce n’è uno il cui scopo è danneggiare l’amico
attraverso le parole. Qualora l’amico facesse notare il suo disappunto, l’altro
gli risponderebbe “ma sto scherzando!” – e così è scritto: “Come chi
trastullandosi lancia dardi infuocati e provoca morte, così è chi inganna il
suo compagno e dice: ma non ho forse scherzato?” (Proverbi, 26,18-19). Ce n’è
un altro la cui vera intenzione è fare ironia, ma ciò nonostante finisce con
l’offendere un amico. E poi ci sono altri tipi di umorismo.
In tutti i paesi
ce n’è uno che li rappresenta tutti; e in esso c’è una città che rappresenta
tutte le città del paese che rappresenta tutti i paesi. In questa stessa città
c’è una casa che rappresenta tutte le case di tutta la città che rappresenta
tutte le città del paese che rappresenta tutti i paesi. In quella casa c’è un
uomo che rappresenta tutta la casa e così via. E lì, c’è qualcuno che
rappresenta tutta l’ironia e la satira del paese.
Il sapiente prese
con sé un’ingente somma e si mise in cammino verso quel territorio.
Vide che vi si
facevano diversi tipi di satira e umorismo. Proprio dal tipo di spirito capì
che tutto il paese era menzogna dall’inizio alla fine, poiché vide che si
folleggiava nel momento in cui le persone venivano torturate, ingannate e mal
consigliate nei commerci. Anche quando si presentò dalle autorità per essere
giudicato, trovò menzogna e corruzione. Persino presso le più alte autorità,
tutto era falsità. Tramite l’umorismo, rendevano tutto un gioco.
Il sapiente
comprese, attraverso quell’umorismo, che il paese era fraudolento e menzognero
e non offriva niente di vero. Intraprese delle attività commerciali e lasciò
che tutti lo prendessero in giro; si presentò per essere giudicato dalle
autorità. Tutti erano bugiardi e corrotti – oggi veniva data loro una tangente,
domani avrebbero fatto finta di niente. Andò dalle autorità più alte e anche lì
tutto era menzogna. Giunse di fronte al senato e lo trovò corrotto e bugiardo a
sua volta. Questo finché giunse davanti allo stesso re.
Allora disse il
sapiente: “Chi sono coloro che governi? Il paese è pieno di inganni dall’inizio
alla fine e non vi si trova alcuna forma di onestà.”
E iniziò a
raccontare tutte le falsità.
Quando il re sentì
le sue parole avvicinò le orecchie alla tenda, in quanto gli sembrava strano
che ci fosse una persona consapevole di tutte quelle malefatte.
I ministri del re,
nell’udire tali parole, si adirarono molto con il sapiente. Ma lui continuò a
riferire sulle bugie e gli inganni e disse: “Sarebbe stato opportuno dire che
anche il re è come loro: che ama la bugia come tutti gli altri. Però vedo che
sei un uomo onesto e per questo ti allontani da loro, poiché non puoi
sopportare tutte queste falsità”.
Iniziò a tessere
grandi lodi del re. Ma il re era molto umile e anzi la sua grandezza era
proprio l’umiltà, perchè questa è la caratteristica dell’umile: quando si
tessono le sue lodi, egli si fa più piccolo. Di fronte agli elogi del sapiente
il re reagì con umiltà e divenne piccolo piccolo, fino quasi a sparire del
tutto.
Non potendo
trattenersi, spostò la tenda di lato per vedere il sapiente: chi era colui che
sapeva e capiva tutto ciò?
Così scoprì il suo
volto.
Il sapiente lo
vide.
E portò il suo
ritratto al re.
La mosca e il ragno
C’era una volta un
re, il quale aveva condotto diverse importanti guerre, conquistato paesi e
fatto molti prigionieri. Ogni anno, nello stesso giorno in cui aveva vinto una
guerra, il re era solito indire un generoso banchetto. Ad esso prendevano parte
tutti i ministri del regno, secondo gli usi regali, i quali offrivano degli spettacoli
prendendosi gioco di tutte le nazioni – degli Ismaeliti così come di altri e
facevano burle sugli usi, i costumi e sul modo di governare di ogni nazione. E
parimenti, si prendevano gioco anche degli ebrei.
Il re ordinò che
gli fosse portato il libro nel quale vi erano scritti usi e costumi di tutte le
nazioni. In qualsiasi punto aprisse il volume, vedeva che erano descritti
proprio come li rappresentavano i commedianti, perchè evidentemente anch’essi
avevano letto il testo e sapevano come metterli in scena. Mentre il re leggeva,
vide un ragno strisciare sulla costola del libro e una mosca posata sul lato
opposto. Il ragno si avvicinava lentamente alla mosca, ma all’improvviso arrivò
un colpo di vento che sollevò la pagina – e dunque il ragno non riuscì a
raggiungere la sua esca. Il ragno retrocesse e, ingannevolmente, rimase
immobile come se non avesse più intenzione di raggiungere la mosca. Il foglio
tornò al suo posto ed egli riprese il suo cammino verso l’insetto. Ma di nuovo
un colpo di vento sollevò la pagina e gli impedì di proseguire – e così fu per
diverse volte di seguito.
Dopo un certo
tempo, il ragno si diresse di nuovo verso la mosca. Una sola zampa era posata
sul margine della pagina: essa si sollevò nuovamente e quando si posò il ragno
fu intrappolato tra due pagine e rimase lì finché non sparì.
Il re, che aveva
assistito a quella scena, rimase alquanto perplesso: comprese che non era un
caso che gli fosse successo tutto ciò ma che doveva trattarsi di un segno per
qualcosa. Iniziò a pensare a che significato potesse avere la scena – e si
assopì sul libro.
Sognò che teneva
in mano una pietra preziosa dalla quale uscivano un’infinità di persone, e la
gettò via. Come si sa, nel palazzo di ogni re sta appeso il ritratto del
sovrano incoronato: le persone che fuoriuscivano dalla pietra si impossessavano
del ritratto del nostro re e gli tagliavano la testa. Poi scagliavano la corona
nella sozzura e correvano verso di lui per ucciderlo. Egli quindi sollevò come
uno scudo la pagina del libro sulla quale si era appoggiato ed essi non
potevano nuocergli. I nemici, quindi, si allontanarono. In seguito il foglio
tornava al suo posto e di nuovo correvano verso di lui per ucciderlo – al che
il re sollevò di nuovo la pagina come scudo e così fece per alcune volte di
seguito.
Era molto curioso
di vedere quale pagina del libro era in grado di difenderlo: quali, tra gli usi
e costumi delle nazioni, vi erano narrati? Ma aveva timore di esaminarla e
iniziò a gridare: “Che sventura! Che sventura!”. Tutti i ministri lo udivano
strepitare e volevano svegliarlo: ma svegliare il re è cosa alquanto
inopportuna. Provarono quindi a fare rumori intorno a lui sperando che si
destasse, ma egli non udiva niente.
Durante il sonno
venne da lui un’alta montagna che gli chiese: “Come mai strilli così tanto? E’
da molto tempo che dormo e non mi aveva mai svegliato niente, proprio niente,
ma tu mi hai fatto destare!”. Le rispose il re: “Come posso non gridare? Si
sollevano contro di me per uccidermi e per fortuna questo foglio mi difende...!”.
La montagna rispose: “Se la pagina ti difende, non devi temere niente. Poiché
anche io ho molti nemici ma questo foglio mi protegge: vieni, ti farò vedere”.
E gli mostrò come
intorno al monte stavano accampate decine di migliaia di suoi nemici, impegnati
in banchetti e feste a suon di musica: tale gioia era dovuta al fatto che uno
di loro aveva avuto improvvisamente l’intuizione di come fosse possibile
scalare la montagna. Tutti si perdevano così in grandi festeggiamenti – solo
che quello stesso foglio che proteggeva la montagna era lo stesso che
proteggeva il re.
Sulla cima del
monte si trovava una lavagna, sulla quale era scritto a quale foglio, ovvero a
quale nazione, appartenevano gli usi e i costumi che proteggevano il re. Ma
poiché il monte era così alto, non era possibile leggere. Alle sue pendici,
tuttavia, c’era un piccolo cartello sul quale era scritto che colui che aveva
tutti i denti al loro posto poteva salire sul monte. Il Signore benedetto fece
sì che crescesse dell’erba proprio nel punto in cui si poteva accedere al
monte: colui che giungeva in quel punto, perdeva tutti i denti, sia che fosse
giunto a piedi, a cavallo o su carretto tirato da bestie da soma. Gli cadevano
tutti i denti. E lì, si potevano vedere intere montagne di denti.
In seguito, nel
sogno, quegli stessi nemici che volevano ucciderlo – tornarono: collocarono
nuovamente al suo posto il ritratto, ripulirono la corona e quando il re si
svegliò guardò subito la pagina che lo aveva difeso per vedere a quale nazione
appartenevano le tradizioni lì riportate. Vide che si trattava degli usi propri
degli ebrei e così comprese quale fosse la via della verità. Risolse che anche
lui sarebbe divenuto parte del popolo di Israele - ma come avrebbe potuto
trarre a sé anche gli altri e condurli alla verità?
Decise che sarebbe
andato a cercare un saggio in grado di spiegargli il sogno.
Prese quindi con
sé due persone e si mise in cammino, non come re ma come uomo semplice. Vagava
di città in città, di paese in paese e domandava come trovare un saggio che
avrebbe potuto interpretare il sogno. Gli fu detto che lo avrebbe trovato in un
certo luogo. Si recò lì e raccontò al sapiente tutta la verità, che era un re
che aveva vinto molte guerre e anche tutta la storia che era accaduta. Gli chiese
quindi di interpretare il sogno ma egli rispose: “Io da solo non sono in grado
di farlo. Solo in un certo giorno, in un certo mese, potrò aggregare insieme
tutti i tipi di incenso e farne una polvere da inalare: e chi vuole, potrà così
pensare a ciò che desidera sapere e saprà tutto”.
Il re pensò:
“Visto che ho già sprecato così tanto tempo per arrivare a una conclusione,
rimarrò qui e attenderò questo giorno cruciale”. Il saggio fece quello che
aveva promesso e fece respirare l’incenso al re. Egli iniziò a vedere ciò che
gli era successo perfino prima della nascita, nel tempo in cui era ancora
un’anima negli alti mondi. Vide che conducevano la sua anima attraverso tutti i
mondi e annunciavano: “Chi ha da proferire qualcosa contro questa anima, si faccia
pure avanti”. Ma non si poteva trovare nessuno che avesse qualcosa di male da
dire.
Giunse però uno di
corsa e gridò: “Signore del mondo, ascolta la mia preghiera! Se quest’anima
nascerà, cosa altro potrò fare? Perché mi hai creato?”.
Ad aver parlato era
il Satan, ma gli fu detto: “Questa anima deve raggiungere il mondo ad ogni
costo. Tu pensa a cosa puoi fare”. E così se ne andò.
Condussero l’anima
attraverso mondi diversi finché non giunsero al tribunale celeste per farle
fare il giuramento prima di scendere nel mondo. Ma il Satan ancora non era
giunto. Mandarono un emissario a cercarlo, il quale tornò portando con sé un
vecchio dal portamento curvo che il Satan già aveva conosciuto. Essa quindi
sorrise e disse: “Ho già pensato a qualcosa, può scendere nel mondo”. Così
permisero all’anima di discendere.
Il re aveva dunque
visto tutto quello che gli era successo: come era diventato re, le guerre che
aveva combattuto, i prigionieri che aveva condotto con sé. Di loro aveva fatto
parte anche una bella donna, la quale possedeva molte qualità della bellezza
che si trova nel mondo, e tuttavia le esternava solamente quando il re le
metteva al collo una pietra preziosa. Era solo per grazia della pietra che essa
sembrava essere così bella.
E su quello stesso
monte non può salire nessuno, solamente saggi, ricchi ed altri – non dirò oltre
ma ci sarebbe ancora molto...[6]
Il rabbino e il suo unico figlio
C’era una volta un
rabbino che non aveva figli. Gli nacque infine un bambino, che crebbe e fece
sposare; il ragazzo stava sempre nel sottotetto e studiava come si conviene
alle persone dotte. Studiava e pregava in continuazione, ma in fondo sentiva
che gli mancava qualcosa – non sapeva bene cosa, ma non trovava un senso ai
suoi studi e alle preghiere. Lo raccontò a due giovani i quali gli
consigliarono di rivolgersi a un certo saggio. Il figlio del rabbino compì una
buona azione, tale che divenne un piccolo luminare.
Raccontò a suo
padre che non trovava un senso in quello che faceva: sentiva che gli mancava
qualcosa ma non sapeva cosa fosse e quindi voleva recarsi da quel saggio che
gli era stato consigliato. Suo padre gli rispose: “Come puoi pensare di andare
là? Sei più dotto di lui e il tuo lignaggio è più nobile! Non è degno che tu ti
rivolga a lui, lascia perdere”. E gli impedì di partire. Il figlio tornò quindi
ai suoi studi ma di nuovo sentì che gli mancava qualcosa; si consigliò con gli
stessi compagni lo indirizzarono allo stesso saggio. Dunque egli tornò dal
padre, ma in risposta ricevette un nuovo divieto. E così avvenne per alcune
volte di seguito.
Nonostante tutto,
il figlio percepiva che gli mancava qualcosa e voleva a tutti i costi riempire
questo vuoto, per cui tornò a implorare suo padre – finché egli fu costretto a
partire con lui, dal momento che non voleva lasciarlo viaggiare da solo perchè
era il suo unico figlio.
Disse il padre:
“Vedrai, verrò con te e ti mostrerò che questo saggio non è niente di
speciale”. Prepararono quindi la carrozza e si misero in viaggio. Disse il
padre: “Faremo così: se il viaggio si svolgerà senza problemi, vuol dire che
esso è protetto dal cielo. Altrimenti, vuol dire che non lo è e sarà meglio per
noi tornare a casa”. Si misero in cammino e giunsero a un piccolo ponte: lì
cadde uno dei cavalli, la carrozza si ribaltò e per poco non affogarono. “Vedi
che questo viaggio non si svolge con la protezione del cielo!” disse il padre –
e tornarono a casa.
Il figlio si
rimise sui suoi libri, ma la mancanza non spariva. Nuovamente implorò il padre,
che per una seconda volta fu costretto a partire con il figlio. Prima di
mettersi in viaggio, il padre pose la stessa condizione della prima volta:
voleva vedere fossero protetto dal cielo. Una volta partiti, alla carrozza si
ruppero gli assi delle ruote e disse il padre: “Vedi che non è destino che ci
rechiamo lì! Ti sembra casuale che entrambi gli assi si siano rotti nello
stesso momento?”. Molte volte avevano viaggiato con quella carrozza ma non era
successo mai niente di simile, e quindi tornarono a casa.
Il figlio tornò
alla sua vita, ma la mancanza non spariva, i compagni lo consigliarono ancora e
ancora implorò il padre e lo convinse a mettersi in viaggio con lui una terza
volta. Disse il figlio: “Non porremo questa condizione al viaggio, poiché può
accadere che un cavallo cada o che dei componenti della carrozza si rompano.
Solo se succederà qualcosa di straordinario, torneremo sui nostri passi”.
Partirono e si fermarono a un ostello per la notte e lì vi trovarono un
commerciante con il quale iniziarono a parlare. Non gli rivelarono che
stavano andando a trovare quel saggio,
in quanto il rabbino si vergognava ad ammetterlo. Parlarono di affari finché,
tra una cosa e un’altra, non arrivarono a parlare di giusti: dove si trovano,
per esempio – e il commerciante spiegò loro dove dimoravano alcuni di quelli
che lui conosceva. Il padre e il figlio allora nominarono il saggio da cui si
stavano recando. Il commerciante li ascoltò perplesso: “Ma lui non è un grande
sapiente! Sono proprio sulla via del ritorno da lui e ero lì nel momento in cui
ha commesso un peccato”. Disse il padre: “Figlio mio, hai visto, figlio mio?
Cosa ci ha raccontato questo commerciante ingenuamente....e lui torna proprio
di lì”. E tornarono a casa.
Il figlio morì. Si
presentò in sogno a suo padre, il quale lo vide molto adirato e gli chiese:
“Come mai sei così incollerito?”. Gli rispose di recarsi dal saggio cui aveva
intenzione di andare e che lui gli avrebbe spiegato il motivo della sua ira. Il
padre si svegliò e non dette grande importanza al sogno. In seguito sognò la
stessa cosa, ma non gli dette importanza anche questa volta. Ma fece lo stesso
sogno per la terza volta e comprese che si trattava di qualcosa di serio.
Pertanto si mise in cammino verso il saggio in questione.
Incontrò per
strada lo stesso commerciante che aveva incontrato quando era in viaggio con il
figlio e lo riconobbe. Gli disse: “Tu sei quello che conobbi all’ostello!”. Il
commerciante aprì la bocca e disse: “Certo che sono quello che hai visto. Se
vuoi, posso ucciderti!”. “Cosa stai dicendo?” – “Ricordati di quando eri in
viaggio con tuo figlio: all’inizio ti cadde il cavallo dal ponte e tornasti a
casa; poi si ruppero gli assi della carrozza; poi incontrasti me. E ti dissi
che quel saggio non era poi così importante. E adesso, visto che ho già ucciso
tuo figlio, puoi recarti da quel saggio. Tuo figlio era un piccolo luminare
mentre quel saggio è un grande luminare e se si fossero incontrati sarebbe
venuto il messia. Dal momento che ho ucciso tuo figlio, tu puoi andare”. E
mentre parlava...sparì. Il rabbino rimase solo. Andò dal saggio e gridò: “Che
peccato! Che tristezza per coloro che abbiamo perso e che non sono più fra
noi!”.
Il Signore
benedetto riunirà presto i nostri dispersi, amen!
Quel commerciante
era infatti il Satan in persona, che si era travestito per deviarli: ma quando
incontrò il rabbino per la seconda volta lo prese in giro e gli ricordò che
aveva dato retta alla sua proposta. E si sa che questo è quello che fa.
Il Signore
benedetto ci salverà!
Il saggio e il semplice
In una città
vivevano due ricchissimi possidenti i quali avevano case molto grandi e un
figlio ciascuno. I ragazzi studiavano nello stesso collegio. Dei due figli uno
era arguto e l’altro semplice (non stupido, ma molto ingenuo) e si volevano
molto bene fra loro. Nonostante uno fosse arguto e l’altro semplice, erano
molto legati.
Con il tempo i due
possidenti iniziarono a perdere nei loro affari e caddero così in basso fino al
punto di divenire poveri: non rimase loro niente se non le case nelle quali
abitavano. I figli crebbero. I padri dissero ai figli: “Non possiamo
mantenervi. Dovete arrangiarvi da soli”. Il semplice divenne un calzolaio.
Il saggio, in
quanto era vispo, non voleva trovarsi un mestiere semplice come questo e decise
che prima sarebbe andato in giro per il mondo e in seguito avrebbe deciso cosa
fare. Girava per il mercato quando vide passare veloce una grande carrozza con
quattro cavalli. Si rivolse ai commercianti: “Di dove siete?” – “Di Varsavia” –
“Dove andate?” – “A Varsavia” – “Avete bisogno di aiutanti?”. Videro che era un
tipo sveglio, questo piacque loro e lo accolsero con sé. Si mise in viaggio con
loro e li aiutò molto durante il tragitto. Visto che si trattava di un ragazzo
astuto, quando arrivò a Varsavia decise che, visto che si trovava già lì, non
aveva molto senso rimanere con i commercianti e che forse avrebbe trovato
qualcosa di meglio. Sarebbe andato a giro a informarsi e poi avrebbe preso una
decisione. Si recò al mercato e iniziò a fare domande sulle persone che lo
avevano accompagnato, e se avrebbe potuto trovare qualcosa di meglio per
lavorare. Gli fu detto che quelle persone erano persone rispettabili e che
quindi valeva la pena rimanere con loro, anche se poteva essere difficile
perchè si occupavano di commercio sulle lunghe distanze.
Notò i lavoranti
di alcune piccole attività commerciali che giravano per il mercato come sono
usi fare: bei nastri sui cappelli, scarpe a punta e tutta quella serie di bei
modi di andare e di vestire. Proprio perchè era così sveglio, questa cosa gli
piacque molto – sia perchè era una cosa effettivamente piacevole sia perchè gli
ricordava come era cresciuto. Tornò dai commercianti con i quali era venuto e
portò loro dei regali, dicendo che non si sentiva a suo agio a rimanere da loro
e che comunque con il lavoro che aveva prestato loro lungo il tragitto si era
guadagnato il passaggio fino a Varsavia.
Si mise all’opera
presso un possidente. I servitori sono usi guadagnare poco facendo lavori
pesanti e poi, piano piano, arrivare con il tempo al livello dei servitori più
alti. Il signore lo impiegava per lavori pesanti e lo mandava presso varie
persone a portare la merce come fanno i servitori, che mettono un panno sulla
spalla sotto il carico per evitare che lo debbano portare i loro padroni. Ma questo
lavoro per lui era troppo pesante: a volte doveva camminare in salita con
questo enorme peso e gli rimaneva molto difficile. Pensò tra sé e sé, con il
suo intelligente filosofare: “Che ci faccio io con questo lavoro? La cosa
importante alla fine è lo scopo ultimo, quello di sposarsi e guadagnare. A
questo punto della vita non devo occuparmi di queste preoccupazioni, lo farò in
futuro. Al momento mi va bene girovagare per il paese, vedere posti e
soddisfare la mia voglia di conoscere il mondo”.
Andò al mercato,
dove vide alcuni commercianti in una grande carrozza e chiese loro: “Dove
andate?” – “A Livorno, una città al confine dell’Italia” – “Mi portereste con
voi?” “Si” – e lo accolsero. Da lì salpò per l’Italia e la Spagna. Passarono
così diversi anni e grazie a tutte queste esperienze fatte in molti paesi era
divenuto ancora più saggio: pensò che fosse giunto il momento di guardare
all’obiettivo ultimo della vita. Iniziò a pensare cosa fosse bene fare e la
cosa che gli sembrava migliore era quella di imparare il mestiere di orefice,
in quanto è una professione notabile e ragguardevole che richiede intelligenza
e, infine, permette anche di arricchirsi. Era molto sveglio, quindi non dovette
apprendere la professione per molti anni: ma nell’arco di tre mesi imparò il
mestiere e divenne un grande artista – superò addirittura il suo maestro.
Pensò: “Nonostante abbia acquisito questo mestiere, non sono ancora
soddisfatto. Oggi è importante, ma in un altro momento forse ci sarà qualcosa
di più importante”. Quindi si recò presso un lavoratore di pietre preziose e
grazie alla sua destrezza imparò anche questo mestiere in tre mesi. Rifletté:
“Anche se ho appreso questi due mestieri, potrebbe accadere che entrambi non mi
serviranno a molto. Voglio imparare un mestiere che possa essere importante per
l’eternità”. E si risolse quindi di studiare medicina, una cosa importante e
della quale c’è sempre bisogno. Per conoscere la medicina prima bisogna
studiare il latino, la scrittura e la filosofia ma siccome era astuto, anche
questo mestiere lo imparò in tre mesi. Si fece dunque un grande medico, un
filosofo e un rinomato sapiente.
Ma il mondo gli
sembrava essere una cosa da niente: a causa delle sue competenze di grande
artista, saggio e medico, tutte le altre persone gli sembravano niente in
confronto a lui. Decise quindi di guardare all’obiettivo di sposarsi. Disse:
“Se mi troverò moglie qui, chissà cosa ne sarà di me. Tornerò a casa mia in
modo che possano vedere cosa sono diventato – dal ragazzino che ero a quello che
sono oggi”. Tornò quindi al suo paese ma durante il cammino ebbe molte
tribolazioni poiché a causa della sua saggezza non aveva con chi parlare, non
trovava ostelli come li voleva e a causa di ciò soffriva molto.
Il semplice invece
apprese il mestiere di calzolaio. Poiché si trattava di un ragazzo
particolarmente ingenuo, gli ci volle molto tempo per imparare il mestiere e
ciò nonostante non divenne un gran professionista. Trovò moglie e si guadagnava
da vivere con il proprio mestiere, anche se con difficoltà proprio in quanto
non brillava per la sua capacità. Gli mancava perfino il tempo di mangiare
perché doveva sempre lavorare per riparare a quello che non sapeva. Solo mentre
lavorava, tra un foro con la lesina e l’estrarre il filo come fanno i calzolai,
dava un morso a un pezzo di pane e così mangiava.
Ma era essere
sempre contento e pieno di gioia. Aveva tutti i cibi, le bevande e il vestiario
di cui aveva bisogno. Diceva a sua moglie: “Moglie mia! Dammi da mangiare!”.
Lei gli porgeva un piccolo pezzo di pane, lo mangiava e diceva: “Dammi il sugo,
con i legumi!” – e lei gli dava un altro pezzettino di pane e mangiava. Lui
applaudiva e diceva: “Come è gustoso questo intingolo!”. Allo stesso modo
chiedeva che gli fossero date la carne e tutte le altre pietanze: per ogni cosa
che chiedeva, di fatto la moglie gli dava un pezzo di pane ma lui era molto
soddisfatto e decantava le lodi di quel piatto, quanto era fatto bene e
saporito – proprio come se mangiasse quello stesso cibo. E davvero, quando
mangiava il pane, sentiva il sapore dei cibi che desiderava – a causa della sua
semplicità e della sua perenne gioia. Allo stesso modo, diceva a sua moglie:
“Dammi una bevanda alcolica da bere!” – lei gli dava dell’acqua e lui encomiava
la bevanda, “Dammi del miele!”, “Dammi del vino!” e via di seguito. Lei gli
dava acqua, ma era contento e lodava quelle bevande come se le bevesse davvero.
Per quanto
riguarda il vestiario, lui e sua moglie avevano cose in comune: per entrambi
c’era un solo peltz.[7] Diceva: “Moglie mia, dammi il peltz!” – quando per esempio doveva
andare al mercato. E lei glielo dava. Quando aveva bisogno del tulip,[8] per
qualche occasione particolare, diceva: “Moglie mia, dammi il tulip!” – lei gli dava il peltz e lui si sentiva molto a suo agio
e esclamava: “Come è bello questo tulip!”.
Quando aveva bisogno di un kaptin[9]
diceva: “Moglie mia! Dammi il kaptin!”
– lei gli dava il peltz e lui lodava
la bellezza e la comodità del kaptin.
Quando doveva mettere la yuppa,[10] lei gli
dava il peltz e lui si sentiva a suo
agio: “Quanto è bella questa yuppa!”
– e così via. Era sempre gioioso e felice.
Quando finiva di
preparare le calzature, che a causa della sua poca competenza avevano solo tre
margini e non quattro, ne prendeva una in mano e – estremamente soddisfatto –
ne tesseva le lodi: “Moglie mia! Come è bella questa calzatura! E’ dolce come
se fosse fatta di miele e zucchero!”. Lei gli chiedeva: “Ma allora come mai il
resto dei calzolai guadagna tre monete d’oro per paio di scarpe mentre tu
chiedi la metà?” – “Che mi importa? Ognuno fa ciò che vuole!”, e aggiungeva:
“Perchè dobbiamo parlare degli altri? Quanto guadagno io da queste scarpe? La
pelle mi costa questo, la suola e i fili questo e il resto una certa somma. Il lapkis[11] viene questo. Supponiamo che io adesso
guadagni nel commercio dieci monete d’oro. Che mi importa?”. Era solo sempre
gioioso. Gli altri si prendevano gioco di lui e avevano trovato chi rispondeva
al loro bisogno di essere sarcastici – si rallegravano molto di ciò in quanto
il semplice sembrava proprio essere stolto. Alcune persone iniziavano con lui
una conversazione apposta per prenderlo in giro. E lui diceva: “Senza fare
scherzi però!” – al che subito gli rispondevano: “Certo! Nessuno scherzo!”
ascoltava le loro parole e iniziava a conversare con loro in quanto non
sospettava che essi scherzassero – proprio perchè era così sempliciotto. Ma
quando vedeva che la loro vera intenzione era essere sarcastici, diceva: “Che
sarà di te quando sarai più intelligente di me? Sarai uno sciocco! Cosa sono io
in fondo? Quando sarai più saggio di me rimarrai pur sempre uno sciocco!”.
Nel frattempo si
era sparsa la voce che l’altro era sulla via del ritorno, dopo che si era fatto
molto saggio e importante. Anche il semplice gli andò incontro con grande gioia.
Disse a sua moglie: “Dammi la yuppa!
Voglio andare a incontrare il mio vecchio amico!” Gli dette il peltz e corse da lui. Il saggio si
appressava in carrozza, con grande prestigio, il semplice gli andò incontro e
gli chiese come stava con grande felicità e affetto: “Mio amico fraterno! Come
stai? Benedetto il signore che ti ha fatto giungere fin qui e che ha dato a me
il privilegio di vederti!”. Figuriamoci il saggio, per il quale tutto il mondo
non contava niente, cosa avrebbe potuto pensare di uno così che sembrava pazzo.
Ma nonostante ciò, in virtù della grande amicizia che li aveva legati da
ragazzi, lo avvicinò a sé e andò con lui in città.
I padri dei due,
che erano stati proprietari di case, erano morti negli anni durante i quali il
saggio era andato in giro per il mondo, ma le loro case erano rimaste lì. Il
semplice, che aveva dimorato lì tutti quegli anni, era entrato nella casa del
padre e l’aveva ereditata. Ma siccome il saggio era stato a giro per il mondo,
non si era presentato nessuno per ereditare la casa: quindi perse la proprietà
del padre e adesso non aveva un posto dove andare. Trovò alloggio in una
locanda ma non si trovava bene in quanto niente soddisfaceva le sue
aspettative. Il semplice aveva adesso qualcos’altro di cui occuparsi e correva
da casa sua all’amico, con affetto e gioia, ma vedeva che soffriva nella sua
nuova sistemazione. Gli disse: “Fratello mio! Trasferisciti a casa mia e stai
con noi! Metterò tutto quello che ho in un angolo e libererò per te tutta la
mia casa”. Il saggio accettò. Entrò in casa del semplice e andò a vivere con
lui.
Il saggio aveva
sempre noie proprio perché si era fatto la reputazione di grande sapiente, di
artista e di medico famoso. Venne da lui un ministro a chiedergli che gli
facesse un anello d’oro: gli forgiò uno splendido monile, sul quale incise dei
motivi stravaganti e un piccolo, bellissimo, albero. Ma al ministro il lavoro
non piacque per niente e il saggio era molto triste a causa di ciò, poiché
sapeva che se avesse forgiato quell’anello con l’albero in Spagna, là sarebbe
stato considerato bello e importante.
Una volta venne
invece un importante ministro che portò con sé una pietra preziosa e costosa
che aveva ricevuto da luoghi lontani, insieme a un’altra pietra sulla quale era
inciso un disegno. Gli chiese di riportare lo stesso motivo sulla pietra
preziosa che aveva ricevuto. Egli fece lo stesso disegno ma commise un piccolo
errore: nessuno avrebbe potuto accorgersene, se non lui stesso. Quando il
ministro venne a ritirarla, fu molto contento del risultato. Ma il saggio era
triste a causa dell’errore che aveva commesso: “Come è possibile che io sia
così saggio e ciò nonostante ho commesso questo errore?”. Anche nel campo della
medicina aveva noie: quando si recava da un malato per guarirlo sapeva che se
c’era qualcosa che poteva aiutarlo era la medicina che lui intendeva dare,
poiché si trattava di una medicina ottima. Ma se il malato poi moriva, tutti
dicevano che era morto per causa sua ed egli pativa grandi pene. A volte
prescriveva una medicina al malato, il quale guariva: ma tutti dicevano che era
accaduto per caso. E soffriva sempre.
Avendo bisogno di
vestiario, chiamò un sarto al quale dovette spiegare a lungo come voleva che il
vestito fosse fatto e lo istruì in tal proposito. C’era solo un lato che non
era riuscito alla perfezione e il saggio era molto seccato poiché sapeva che
nonostante qui fosse considerato un bel vestito era perché nessuno se ne
intendeva. Se fosse stato in Spagna sarebbe stato preso in giro e giudicato
come un matto – e così soffriva sempre.
Il semplice si
recava sempre dal saggio con grande gioia, ma lo trovava sempre triste e
tediato. Gli chiese: “Come è possibile che uno saggio e ricco come te sia
sempre così triste? Io sono sempre contento!” – ma il saggio non lo prendeva
sul serio e lo riteneva un pazzo. Il semplice gli disse: “Le persone che mi
prendono in giro sono degli sciocchi in quanto se sono più saggi di me
rimangono pur sempre degli stolti. Pertanto anche un saggio come te – se sarà
più saggio di me, cosa sarà? Magari tu fossi come me!”. Il saggio rispose: “Può
darsi che io diventi come te, che –Dio non voglia – perda l’intelletto o che mi
ammali e che diventi uno stolto. Perché cosa sei tu, se non uno stolto? Ma che
tu possa raggiungere il mio livello – questo è impossibile: che tu divenga
saggio come me”. Rispose il semplice: “Il Signore benedetto può tutto, e può
succedere in un istante che io divenga come te” – e il saggio si beffava di
lui.
I due erano
conosciuti da tutti come ‘il semplice’ e ‘il saggio’. Nonostante ci siano
diversi semplici e diversi saggi nel mondo, in essi queste qualità erano
particolarmente manifeste: entrambi venivano dallo stesso luogo, avevano
studiato insieme ma uno di loro era diventato un grande sapiente mentre l’altro
era proprio ingenuo. Nel registro civile, dove ognuno è riportato secondo il
proprio cognome, accanto ai loro nomi c’era scritto ‘il saggio’ e ‘il
semplice’.
Una volta il re
guardò nel registro e vide che vi erano riportati i due – uno con l’appellativo
di ‘semplice’ e l’altro di ‘saggio’. Si meravigliò che entrambi fossero
soprannominati così e desiderava molto incontrarli.
Il re pensava: “Se
invierò presso di loro degli emissari affinché li conducano da me, certo si
spaventeranno enormemente. Il saggio non riuscirà più a pensare e il semplice
impazzirà a causa dello sgomento”. Decise quindi di inviare un saggio dal
saggio e un semplice dal semplice: ma come si poteva trovare un semplice nella
capitale? Nella capitale la maggior parte delle persone sono infatti sagge.
Tuttavia, il ministro del tesoro è una persona semplice, poiché non si vuol far
sì che una persona arguta ricopra questo incarico, in quanto proprio grazie
alla sua sagacia potrebbe sprecare la ricchezza comune. Pertanto, al ministero
del tesoro è bene che sieda una persona semplice.
Il re mandò quindi
a chiamare un individuo saggio e il ministro del tesoro in qualità di individuo
semplice e li inviò, insieme alle sue missive, da ognuno dei due. Dette loro
anche una missiva da consegnare al consiglio regionale sotto la cui autorità il
saggio e il semplice dimoravano. Ordinò al sovrintendente della regione di
mandare due comunicazioni ai due, nelle quali era scritto che non era un
obbligo – e non coercizione –, ma loro libera scelta presentarsi: però il
sovrano desiderava incontrarli.
I due emissari del
re consegnarono la missiva al sovrintendente della regione ed egli fece alcune
domande sui destinatari. Gli risposero che il saggio era in effetti molto
sapiente e molto ricco, mentre il semplice era assolutamente semplice:
indossava il peltz e vestiti di quel
tipo. Il sovrintendente pensò che non fosse appropriato presentarsi di fronte a
un sovrano indossando il peltz e
quindi gli fece preparare dei vestiti nuovi di zecca. Li mise nella carrozza
dell’emissario che doveva recarsi dal semplice, insieme alla missiva. Gli
emissari giunsero a destinazione e consegnarono le due missive del re al saggio
e al semplice, rispettivamente. Il semplice, nel momento in cui ricevette la
missiva, disse all’emissario che gliel’aveva portata: “Non so cosa c’è scritto
qui – leggimela per favore”. Gli rispose: “Ti racconterò a voce cosa c’è
scritto. Il re vuole che tu ti presenti da lui.” – “Senza scherzi!” – “Certo, è
la verità! Nessuno scherzo!”. Si rallegrò molto e corse dalla moglie: “Moglie
mia! Il re mi ha mandato a chiamare!” – “E perché mai?”, chiese la moglie. Ma
non ebbe nemmeno il tempo di risponderle e si affrettò subito a partire con
l’emissario. Entrò nella carrozza, dove trovò il nuovo vestiario, e si rallegrò
moltissimo.
Nello stesso
tempo, si erano sparse delle voci sul conto del sovrintendente della regione:
si diceva che commettesse grandissime ingiustizie e pertanto il re lo rimosse
dal suo incarico. Il sovrano era infatti persuaso che fosse un bene che il
sovrintendente fosse un uomo senza malizia, in grado di governare in modo
onesto e integro proprio in virtù della sua semplicità. Decise quindi di far
diventare il nostro semplice capo della regione e pubblicò un’ordinanza in tal
proposito. Durante il tragitto verso il sovrano, il semplice avrebbe dovuto
attraversare la città nella quale viveva anche il sovrintendente. Il re disse
quindi: “Attendete alla porta della città e non appena egli arriverà, fermatelo
e ponetelo all’incarico!”. E così fu fatto. Attesero alla porta della città e
non appena si presentò, lo fermarono e gli comunicarono che lui era il nuovo
sovrintendente. Egli disse: “Senza scherzi però!” – “Ovvio, non è uno
scherzo!”. Il semplice divenne quindi, con la piena autorità del re e dei sudditi,
capo della regione. Adesso, la sua sorte era cambiata: e la buona sorte porta
ad essere più scaltri, per cui iniziò a comprendere come andavano le cose. Ma
nonostante ciò, non fece uso della nuova avvedutezza e governò con la
semplicità che lo caratterizzava, in modo onesto e integro. Non sapeva cosa
fosse l’ingiustizia e in fondo per governare un paese non ci vuole grande
ingegno e grande abilità, ma onestà e semplicità. Se si presentavano di fronte
a lui due individui per essere giudicati, diceva loro: “Tu sei colpevole, tu
sei innocente” – secondo la sua vera semplicità, senza alcun inganno o
menzogna. Agiva sempre secondo onestà.
Era molto amato
nel paese. I suoi consiglieri lo apprezzavano veramente e un giorno, mosso
dall’affetto, uno di loro gli dette questo consiglio: “Ad un certo punto di
sicuro sarai convocato dal re, dato che già in passato ti voleva incontrare e
in ogni caso questa è la tradizione – che il capo della regione si presenti dal
re. Pertanto, anche se sei estremamente onesto e il sovrano vedrà che non hai
mai commesso ingiustizie nel governare il paese, il modo in cui il re agisce è
quello di diversificare l’argomento della conversazione, parlare con grande
intelletto e in lingue diverse. Sarebbe appropriato che tu potessi rispondergli,
perciò sarà bene che io ti insegni alcune discipline elevate così come le
lingue”. Il semplice concordò e disse: “Perchè non dovrei imparare dottrine
scolastiche e lingue straniere!”. Si ricordò subito che il suo amico saggio un
tempo gli aveva detto che non avrebbe mai potuto raggiungere il suo livello –
ed ecco che era già divenuto un grande saggio ma nonostante ciò governava solo
secondo la sua tipica semplicità.
In seguito il re
convocò il semplice, che era divenuto capo della regione, a palazzo. Egli si
mise in viaggio. Prima di tutto, il re conversò con il semplice sui modi con
cui è bene governare il paese e il sovrano fu molto soddisfatto di quello che
diceva, poiché comprese che si comportava in modo onesto e integro, senza
commettere alcuna ingiustizia o inganno. Il re poi parlò di discipline
scolastiche e in lingue straniere: il semplice gli rispose in modo opportuno e
il re fu molto soddisfatto. Disse il sovrano: “Vedo che è molto saggio, ma ciò
nonostante si comporta in modo semplice” – ed egli acquisì sempre più credito
agli occhi del re. Il sovrano lo nominò quindi ministro, a capo di tutti gli
altri. Gli assegnò un’abitazione
speciale e ordinò che vi fossero costruite intorno mura imperiose e magnifiche,
come era opportuno che fosse, e gli dette la sua approvazione personale. E così
fu: gli costruirono un palazzo nel luogo dove il re aveva ordinato, il semplice
si trasferì lì e accettò il suo nuovo incarico sancito dalla bolla regale.
Nel frattempo era
giunto dal saggio l’emissario del re con la convocazione. Disse il saggio:
“Aspetta, fermati qui a dormire. Ne parleremo domani e decideremo il da farsi”.
La sera organizzò per lui un grande banchetto, durante il quale, approfittando
della sua scaltrezza, disse: “Come mai un re così importante dovrebbe mandare a
chiamare qualcuno semplice come me? Chi sono io per ricevere l’onore di essere
chiamato dal re? Un sovrano con un regno così grande, mentre io sono meno di
niente di fronte a lui – come posso pensare che egli mandi a chiamare uno come
me? Se penso che sia per la mia saggezza, cosa sono io di fronte a lui... gli
mancano forse i sapienti? Lui stesso è certo un grande saggio! Perchè mandarmi
a chiamare?”. Era infatti molto perplesso da questa convocazione. Continuò:
“Questo è quello che ti propongo: mi pare che la cosa sia molto chiara. Non
esiste affatto un re e tutto il mondo sbaglia in tal proposito, pensando che
egli esista. Come può essere che tutti gli esseri umani si affidino a un solo
uomo, che è il sovrano? Di certo non esiste affatto!”.
Il saggio
emissario rispose: “Ma ti ho portato una missiva del re in persona!” – “Hai
ricevuto la missiva direttamente dal re?” – “No, me l’ha consegnata un altro in
suo nome” – “Puoi vedere con i tuoi occhi che quello che dico è vero – non c’è
alcun re! Tu vieni dalla capitale e hai sempre abitato lì: dimmi, dunque, hai
mai visto il re con i tuoi occhi?” – “No”[12] –
“Vedi, ciò che dico è vero: non c’è un sovrano. Nemmeno tu l’hai mai visto” –
“Ma se così fosse, allora chi governa il paese?” – “Te lo dico io. E’ ovvio che
a me tu lo chieda, in quanto io so come stanno le cose perchè ho viaggiato per
molti paesi e sono stato perfino in Italia. Così funziona là: ci sono settanta
ministri consiglieri i quali governano il paese per un certo periodo di tempo e
tale onore è condiviso a turno da tutti i sudditi”. Le sue parole convinsero
gradualmente l’emissario, finché non convennero che non esisteva alcun re.
Il saggio disse
all’emissario: “Attendi fino al mattino. Ti mostrerò una volta per tutte che non
esiste alcun sovrano”. L’indomani il saggio si alzò e svegliò l’emissario
dicendogli: “Vieni fuori con me e ti mostrerò come tutti si ingannano e in
verità non esiste alcun re”. Al mercato videro un soldato e gli chiesero: “Per
chi lavori?” – “Per il re” – “Hai mai visto il re in vita tua?” – “No”. Il
saggio disse quindi all’emissario: “Hai visto che sciocchezza?”. Andarono da un
altro soldato e conversarono con lui finché non gli chiesero: “Per chi lavori?”
– “Per il re” – “L’hai mai visto?” – “No”.
Disse il saggio all’amico emissario: “Vedi che è evidente: tutti si
sbagliano, non c’è alcun re”, e concordarono su tale conclusione.
Il saggio aggiunse
poi: “Andiamo a giro per il mondo e ti mostrerò che il mondo intero vive
nell’errore”. Si misero in viaggio e in ogni luogo in cui giunsero, scoprirono
che le persone si ingannavano. La storia del re divenne per loro un’allegoria.
In ogni luogo dove vedevano che le persone sbagliavano, utilizzavano la storia
del re come esempio: la ‘verità’ dell’esistenza del re poteva essere paragonata
a tante altre cose. Viaggiarono in giro per il mondo finché non dilapidarono
tutto quello che avevano: all’inizio vendettero un cavallo, poi un altro,
finché non li vendettero tutti e furono costretti ad andare a piedi. Continuavano
a girare il mondo e scoprire che le persone si sbagliavano. Divennero infine
poveri e persero tutta la loro importanza poiché nessuno prestava attenzione a
degli indigenti come loro.
Successe poi che
nel loro girovagare giunsero alla città dove governava il semplice. In quella
città egli si era conquistato grande reputazione ed era considerato molto
importante grazie alle cose meravigliose che aveva fatto. Perfino tra i
ministri godeva di grande considerazione. I due saggi giunsero in città e andarono
a giro finché non giunsero alla casa di un uomo prestigioso e videro che
sostava di fronte all’ingresso una cinquantina di carrozze, nelle quali erano
condotti dei malati. Il saggio pensò che fosse l’abitazione di un dottore e
voleva entrare a casa sua a conoscerlo in quanto lui stesso era un medico di
grande fama. Chiese: “Chi abita qui?” – “Una persona famosa, un maestro
spirituale”. Il saggio scoppiò a ridere e disse al suo amico, il saggio
emissario: “Questa è proprio una gran bugia e un errore! E’ una sciocchezza più
grande di quella del re! Amico mio, ti svelerò questo inganno per farti vedere
come il mondo cade in errore”.
Nel frattempo
erano affamati ed erano rimaste loro tre o quattro monete. Andarono a una
taverna dove potevano sfamarsi con la somma che avevano. Chiesero del cibo e fu
dato loro. Mentre mangiavano, ridevano e scherzavano sulla ‘falsa verità’ del
maestro spirituale. Il padrone della taverna udì le loro parole e si adirò
molto in quanto egli era considerato molto importante e disse loro: “Mangiate
quello che avete ordinato e andatevene via di qui!”. Giunse quindi il figlio
del maestro, ma persino di fronte a lui continuavano a fare burle. Il padrone
della taverna li riprese aspramente per il fatto che si prendevano gioco di un
padre di fronte al figlio, finché non vennero alle mani e li buttò fuori da
casa sua. I due si arrabbiarono molto e decisero di denunciarlo per quanto
aveva fatto. Tornarono al luogo dove si erano sistemati, per avere un consiglio
dal padrone di casa su come procedere con
un’azione legale. Egli chiese loro: “Di cosa avete bisogno?”. Gli
raccontarono quindi che il proprietario della taverna li aveva duramente
percossi, al che egli chiese: “ Per quale motivo?” – e gli raccontarono quanto
era accaduto. Egli disse:“Certo che non è cosa buona picchiare qualcuno, ma voi
non vi siete comportati affatto bene per aver parlato così di lui. Egli è
considerato molto importante qui”. Essi videro quindi che anche lui viveva
nell’inganno e andarono da un inserviente e gli raccontarono la storia delle
percosse. Chiese loro: “Perchè siete stati picchiati?”. Risposero che avevano
parlato male del maestro e l’inserviente stesso li malmenò e li cacciò da casa
sua.
Passarono quindi
da un responsabile all’altro, scalando la gerarchia, finché non giunsero al
ministro, che poi era il semplice in persona. E lì, davanti alla sua
abitazione, stavano delle guardie: gli dissero che qualcuno lo cercava e fu
ordinato che entrasse. Il saggio giunse davanti al ministro, il quale
immediatamente riconobbe il suo vecchio amico. Ma il saggio non lo riconobbe in
quanto l’altro aveva acquisito grande importanza. Il ministro gli disse: “Vedi
dove mi ha portato la mia semplicità, a un tale prestigio – e a cosa ti ha
portato la tua saggezza”.
Il saggio rispose
e disse: “Tu sei il mio amico semplice e di questo parleremo dopo. Adesso
voglio giustizia per il fatto di essere stato percosso”. Gli chiese il
semplice: “Perchè sei stato picchiato?” – “A causa del fatto che ho parlato di
quell’’uomo che gode di grande fama, e questa cosa è una menzogna!” – “Non hai
ancora messo da parte la tua presunta astuzia? Dicesti che saresti potuto
facilmente divenire come me, e che io non avrei mai potuto essere come te.
Eppure vedi che io sono divenuto come te mentre tu non hai mai raggiunto il mio
livello. Vedo che è più complesso per te raggiungere la mia semplicità”. Ciò
nonostante, in quanto il semplice prendeva atto dell’importanza dell’amico,
ordinò che gli fossero dati dei vestiti e che si sedesse a mangiare con lui.
Mentre mangiavano,
iniziarono a conversare. Il saggio intendeva dimostrargli che secondo lui non
esisteva alcun re, ma il semplice lo riprese dicendogli che lui aveva visto il
re in persona. Il saggio gli rispose ridendo: “Tu puoi dire con certezza che si
trattava del re? Conosci lui, e suo padre e suo nonno che furono re in passato?
Come sai che lui è il re? Ti è stato detto che lui è il re e ti hanno preso in
giro!”. Il semplice si adirò profondamente per quanto diceva sul sovrano, in
quanto ne negava l’esistenza.
Entrò
all’improvviso un suddito e disse: “Il diavolo vi sta cercando!”. Il semplice
rimase molto turbato e corse a raccontare alla moglie, con grande timore, che
il diavolo aveva mandato qualcuno a cercarli. La moglie gli consigliò di
convocare il maestro spirituale ed egli mandò emissari a prenderlo. Egli giunse
e consegnò al semplice degli oggetti di protezione, dicendogli di non temere
affatto. Il semplice aveva molta fede nel maestro. Continuando a parlare, il
saggio gli chiese: “Cosa ti ha spaventato così tanto?” – “Il diavolo che ci ha
mandato a cercare!”. Il saggio si prese gioco di lui e gli disse: “Credi
davvero che esista il diavolo?” – “Se non è lui, chi è allora che ci ha mandato
a cercare?”. Gli rispose il saggio: “Certamente si tratta di mio fratello, che
vuole vedermi e ha mandato qualcuno a cercarmi in modo ingannevole!”. Gli
chiese il semplice: “Se cosi fosse, come ha fatto a superare tutte le guardie?”
– “Certamente le ha corrotte e loro dicono, mentendo, che non lo hanno affatto visto”.
Sopraggiunse di
nuovo qualcuno a dire che il diavolo li stava cercando: ma il semplice questa
volta non si spaventò affatto, grazie alla protezione che aveva ricevuto. Disse
al saggio: “Adesso cosa hai da dire?” – “Dico che ho un fratello con il quale
sono in cattivi rapporti e che sta cercando di ingannarmi per spaventarmi”, e
chiese all’annunciatore qual era l’aspetto del ‘diavolo’ che li cercava: cosa
caratterizzava il suo volto, com’erano i suoi capelli e così via. Glielo
descrisse, al che il saggio rispose: “Questo è proprio l’aspetto di mio
fratello” – “Andrai con loro quindi?”. Gli rispose che sarebbe andato, ma
chiedeva che gli fossero assegnati dei soldati che lo proteggessero. Gli dette
quindi una squadra di soldati.
Il saggio, insieme
al suo amico emissario, andò con l’uomo che li aveva mandati a cercare – ma i
soldati tornarono soli. Il semplice chiese loro dove fossero finiti gli altri
due. Gli risposero: “Non sappiamo come, ma sono spariti!”.
Il diavolo li
aveva rapiti e li aveva condotti nella sozzura e nel fango, dove egli stava
seduto sul suo trono: i due saggi erano stati gettati lì dentro, in
quell’ammasso spesso e colloso che impediva loro di muoversi. Essi gridavano:
“Crudeli! Per cosa ci state torturando? C’è forse il diavolo nel mondo? Voi,
crudeli, ci torturate così senza senso”.[13]
Sprofondati nella sporcizia, si chiedevano cosa stesse succedendo. Pensavano:
“Non è niente, sono solo persone cattive con le quali evidentemente in passato
abbiamo avuto dei diverbi e adesso ci stanno torturando in questo modo”.
Rimasero lì nei tormenti per diversi anni.
Una volta, il
semplice passò di fronte alla casa del maestro e si ricordò del suo amico
saggio. Entrò da lui nel modo in cui si conviene ai ministri e gli chiese se
era in grado di vedere dove si trovava il suo amico e se lo poteva aiutare a
venir via di lì. Disse il semplice: “Vi ricordate del saggio? Che fu rapito dal
diavolo e che da quel giorno non ho più visto?” – “Si”. Il semplice gli chiese
di mostrargli dove si trovava e di farlo uscire di lì. Il maestro gli disse:
“Certamente ti posso far vedere dove si trova e portarlo via di lì, ma lì
possiamo recarci solamente io e te”. Si misero quindi insieme in cammino.
Il maestro operò
quindi una delle sue magie e giunsero nel luogo dove si trovava il saggio. Il
semplice vide che si trovavano nella sporcizia e quando il saggio riconobbe il
vecchio amico gli gridò: “Fratello mio! Queste persone crudeli mi picchiano e
mi torturano, così, senza alcun motivo!”. Il ministro lo riprese: “Mantieni
ancora le tue convinzioni e non credi a niente? E secondo te, quelle sono
persone? Guarda: lui è il famoso maestro del quale negavi l’esistenza, ed è in
suo potere togliervi di qui e farvi vedere la verità”. Il semplice chiese al
maestro di farli uscire e di mostrare loro che si trattava del diavolo e non di
persone qualsiasi. Egli operò ancora una delle sue magie e li estrasse dalla
sporcizia. Era sparito tutto. Coloro che li torturavano erano stati dispersi
come polvere nel mondo. Fu allora che il saggio fu costretto ad ammettere che
c’era un re e tutto il resto.
Il commerciante e il povero
C’era una volta un
bergher[14], il
quale era ricchissimo e aveva molte attività di successo in ogni parte del
mondo. Sotto casa sua abitava un povero, così indigente che era proprio il
contrario del ricco bergher. Entrambi
non avevano figli.
Una volta il
commerciante sognò che alcune persone erano venute a casa sua e imballavano
tutto ciò che possedeva. Chiese loro: “Cosa state facendo?” – gli risposero che
intendevano consegnare tutto al suo vicino povero. Si adirò molto per le loro
intenzioni ma non poteva mettersi contro di loro, in quanto erano numerosi.
Misero in scatole
tutto ciò che aveva, anche il suo denaro, e lo dettero al povero lasciando in
casa del commerciante solo le nude mura. Adirato, si svegliò all’improvviso e
si rese conto che era stato solo un sogno. Ma anche se comprese di aver solo
sognato, e grazie a Dio era ancora tutto in casa, il suo cuore era appesantito.
Il sogno lo aveva messo di cattivo umore e non riusciva a smettere di pensarci.
Per tutto ciò che
riguardava il povero e sua moglie, il commerciante era abituato a aiutarli e
fare loro ogni tanto una piccola offerta. Adesso – dopo il sogno che aveva
fatto – si impegnò più di quanto non avesse fatto prima. Ma ogni volta che
venivano a casa sua, il suo aspetto cambiava e era intimorito da quell’incubo.
Il povero e la
moglie erano abituati a andare in casa sua e ne entravano e uscivano a loro
piacimento. Una volta si presentò da lui la moglie del povero, il commerciante
le dette qualcosa, ma cambiò aspetto e rimase immobile per lo spavento. La
donna chiese: “Mi scusi: cosa le succede? Ogni volta che veniamo da lei, il suo
volto prende un altro aspetto”. Le raccontò tutta la storia, del sogno che
aveva fatto e che da quel giorno era molto angosciato. Gli rispose: “Ha fatto
il sogno in quella certa notte?” – “Si, ma cosa c’entra?” – “Quella stessa
notte, anche io sognai di essere diventata molto ricca. Vennero alcune persone
a casa mia e impacchettarono tutto ciò che avevo. Chiesi loro dove portavano
tutti i miei beni e mi risposero ‘al povero’ – che di fatto era lei, divenuto
indigente. Quindi perchè il sogno la preoccupa così tanto?”. Dopo aver udito il
sogno che aveva fatto la donna era ancora più perplesso di prima. Sembrava che
la sua ricchezza fosse stata data al povero e la povertà del suo vicino fosse
stata distribuita a lui. Era proprio intimorito.
Un giorno la
moglie del commerciante andò a fare un giro in carrozza, assieme a delle amiche
e alla moglie del povero. Passò un soldato, un ufficiale di alto grado, con il
suo battaglione e le donne gli sgombrarono la strada. Il battaglione vide che
si trattava di donne. L’ufficiale ordinò che facessero uscire dalla carrozza
una delle donne ed essi presero la moglie del povero. La rapirono con la
carrozza dorata dell’ufficiale e si allontanarono. Ovviamente non era possibile
riportarla indietro, in quanto i rapitori si erano già allontanati. In
particolare, trattandosi di un ufficiale di quel grado con i suoi soldati, era
proprio impraticabile! Egli la condusse al suo paese, ma la moglie del
commerciante era una donna molto religiosa: non voleva obbedirgli e piangeva
tutto il tempo. Tentavano di sedurla, ma essa rimaneva pia. Le altre donne
tornarono a casa dalla gita, ma senza la moglie del povero: egli si disperò,
pianse ed era in lutto per sua moglie.
Una volta il
commerciante passò dalla casa del povero e lo udì piangere disperato. Entrò e
gli chiese: “Come mai piangi così?” – “Come potrei non piangere? Cosa mi è
rimasto? Ci sono coloro ai quali rimangono ricchezza, o figli, ma io non ho più
niente e mi è stata presa persino mia moglie. Cosa mi è rimasto?”. Il
commerciante si impietosì del povero e lo compatì grandemente a causa della sua
sofferenza. Fece un gesto di grande impulso, che fu in effetti una vera e
propria follia: si informò su dove abitasse l’ufficiale e si recò da lui, a
casa sua. C’erano guardie ovunque, ma d’impulso si fece avanti e entrò dentro
senza dare alcuna relazione ai soldati. Le guardie stesse si spaventarono e
rimasero perplesse da quell’atteggiamento – poiché videro un uomo così
determinato del quale ebbero timore: come era arrivato fin lì?
In tutta la grande
confusione, i soldati lo lasciarono passare finché egli non giunse alla casa
dell’ufficiale, nello stesso luogo dove si trovava la donna. La svegliò e le
disse: “Vieni!”. Lei lo vide e si spaventò, ma lui insisté: “Vieni
immediatamente con me!”. La donna andò con lui e superarono di nuovo tutta la
fila dei soldati finché non riuscirono a fuggire.
Immediatamente
dopo, si rese conto di quello che aveva fatto e comprese che certamente ne
sarebbe seguito un gran scompiglio – e così fu. Immediatamente, nella casa
dell’ufficiale, si creò grande confusione. Il commerciante andò a nascondersi
in una fossa che conteneva acqua piovana, intendendo rimanere lì fino a che non
fosse passata l’agitazione. I due rimasero lì insieme nella fossa per un paio
di giorni e la donna poté constatare la prontezza d’animo che aveva avuto, e quello
che stava soffrendo a causa sua. Giurò al Signore benedetto che tutta la
fortuna che avrebbe potuto avere in futuro sarebbe dovuta passare al
commerciante. E se anche lui fosse stato benedetto con tutta la sua fortuna, e
questo voleva dire per lei rimanere povera come prima – sarebbe stata
d’accordo. Ma come era possibile trovare
in quel luogo qualcuno che facesse da testimone al giuramento? Decise che la
fossa stessa facesse da testimone. Dopo due giorni, uscirono di lì e si
allontanarono. Ma il commerciante presto comprese che li stavano cercando anche
nel luogo dove erano giunti. Proseguirono il cammino e si nascosero in un
mikve.[15] La
donna di nuovo prese atto della sua grandezza d’animo e rinnovò il giuramento
fatto prima. Il mikve fece questa volta da testimone. Anche lì rimasero per un
paio di giorni, poi uscirono. Così fu per un certo numero di volte. Si
nascosero insieme in posti diversi, in tutto in sette posti che contenevano
acqua (ovvero: una fossa, un mikve, alcuni laghi, sorgenti, torrenti, fiumi e
infine il mare). In ogni luogo dove si nascondevano essa prendeva atto della
premura dell’uomo, giurava e eleggeva ognuno dei posti dove erano nascosti come
testimone del giuramento. L’ultimo dei luoghi dove giunsero fu il mare. Egli –
essendo un grande commerciante – conosceva le vie che conducono lì e una volta
che lo raggiunsero andò diretto verso il suo paese finché non arrivò a casa con
la moglie del povero e la ricondusse al marito. La gioia fu immensa.
Il commerciante,
come compenso per aver compiuto questa impresa e non aver mai infastidito la
donna durante il viaggio, fu benedetto nello stesso anno dalla nascita di un
figlio maschio. Anche la moglie del povero, per aver superato con integrità
tutte quelle vicende, fu ricompensata – e le nacque una figlia femmina. La
giovane era bellissima d’aspetto e non aveva pari. Tra tutti gli esseri umani
non si poteva trovare una simile bellezza. Nel mondo dicevano: “Speriamo che
arrivi a crescere, poiché la sua bellezza e la sua grazia sono talmente straordinarie
da non poterne trovare di simili al mondo!”. La gente veniva a vederla ed era
stupita da quella bellezza e le portava sempre regali, mossa dal grande
affetto. Grazie a tutti quei doni, il povero si arricchì. Il commerciante
intendeva combinare un matrimonio tra suo figlio e la ragazza, perché la sua
bellezza era davvero qualcosa fuori dal comune. Disse fra sé e sé: “Può darsi
che quel sogno che feci parlasse di questo: che le mie cose andavano al povero
e le sue venivano a me, ovvero che i figli fossero insieme”.
Una volta la
moglie del povero andò dal commerciante e lui le espresse le sue intenzioni di
combinare un matrimonio tra i due giovani dicendo che forse, così, si sarebbe
realizzato il sogno che avevano fatto. Rispose la donna: “Anche io avevo avuto
lo stesso pensiero, ma non avevo il coraggio di proporvi un matrimonio. Se voi
volete, io sono pronta, e non vi deluderò poiché giurai che tutta la mia
fortuna sarebbe passata a voi”.
I due giovani
studiarono nello stesso luogo, lingue straniere e altre materie. Tutti venivano
a vedere la ragazza e quella sua bellezza fuori dal comune e continuava a
ricevere molti doni che arricchirono suo padre sempre di più. Si presentavano
persino dei ministri, i quali erano molto impressionati dalla bellezza
sovrumana della ragazza. Ciascuno di loro voleva in cuor suo combinare un
matrimonio tra la giovane e il proprio figlio. Uno di essi aveva un figlio e
voleva che si sposasse con lei: ma non era appropriato che il figlio di un
ministro si sposasse con una giovane del suo rango. Pertanto si sentirono
obbligati a tentare di elevare lo status del padre della ragazza e gli
trovarono lavoro presso l’imperatore. All’inizio fu nominato ufficiale e in
seguito salì di grado – in quanto volevano farlo progredire velocemente –
finché non divenne generale. I ministri volevano quindi combinare il
matrimonio. Ma erano in molti a volerlo, poiché molti di loro si erano occupati
del suo avanzamento di carriera. Tuttavia, nessun matrimonio poteva essere
combinato a causa del patto stretto dalla madre con il commerciante, con il
quale avevano già iniziato a prendere accordi per le nozze.
Il povero,
divenuto generale, si dimostrò molto capace. L’imperatore lo mandava a
combattere guerre e lui tornava sempre vittorioso. Lo fece avanzare sempre più
e ebbe enorme successo fino al momento in cui l’imperatore morì e i sudditi
vollero farlo regnante. Tutti i ministri si strinsero intorno a lui e furono
d’accordo che ricoprisse l’incarico. Divenne così imperatore. Condusse guerre e
vinse sempre. Conquistò paesi e combatteva vittoriosamente, finché tutti gli
altri paesi decisero di porsi sotto il suo comando, volontariamente, in quanto
constatarono i suoi trionfi – poiché presso di lui si trovavano tutta la
bellezza e la fortuna del mondo. Tutti i re si strinsero intorno a lui:
concordarono che sarebbe stato l’imperatore del mondo intero e gli consegnarono
un’autorizzazione scritta con lettere d’oro.
Fu allora che
l’imperatore rifiutò di combinare il matrimonio con il commerciante, perchè non
era adeguato che un imperatore facesse sposare la propria figlia con un
semplice commerciante. Sua moglie, divenuta imperatrice, però non intendeva
affatto rinunciare al matrimonio. L’imperatore vide che non avrebbe potuto
combinare altro matrimonio se non quello – proprio perché sua moglie era
inamovibile in proposito. Iniziò dunque a fare congetture sul commerciante.
All’inizio intendeva far sì che perdesse tutto quello che aveva e tentò di
farlo per mezzo di inganni – come se la cosa non venisse da lui, e certamente
l’imperatore poteva fare una cosa del genere. Gli causò danni nei commerci
finché non divenne completamente povero. L’imperatrice rimase però sempre al
suo fianco. In seguito l’imperatore si rese conto che tutto il tempo in cui il
figlio del commerciante fosse rimasto in vita non avrebbe potuto combinare
nessun altro matrimonio. Cercò quindi di fare in modo che morisse. Iniziò a
fare progetti su come eliminarlo, accusandolo di cose che non aveva mai
commesso: fece sì che venisse giudicato. I giudici compresero che la volontà
dell’imperatore era quella di eliminarlo e decisero di metterlo in un sacco e
gettarlo in mare. L’imperatrice era profondamente addolorata da questa vicenda,
ma nemmeno lei poteva fare niente contro l’imperatore. Decise quindi di andare
da coloro che erano responsabili di eseguire la condanna, si inginocchiò ai
loro piedi e li supplicò di lasciarlo andare, perchè non c’era ragione della
sua condanna a morte. Li implorò di prendere un altro prigioniero condannato a
morte, di gettare lui in mare e di lasciare andare il ragazzo. Riuscì nel suo
intento e le giurarono che lo avrebbero liberato. Così fecero: presero un altro
uomo, lo gettarono in mare e il giovane fu libero. Gli dissero: “Vattene!” – ed
egli si allontanò.
Il ragazzo si era
già fatto grande. Prima di questi avvenimenti, l’imperatrice aveva chiamato sua
figlia e le aveva detto: “Figlia mia, sappi che il figlio del commerciante sarà
tuo marito” – le raccontò tutto quello che aveva passato e come il commerciante
si era sacrificato per lei ed era stato con lei in sette posti diversi ed ella
gli aveva giurato sul Signore benedetto che di tutto quanto di bene lei avesse
avuto – lui ne avrebbe preso parte. Aveva scelto i sette luoghi come testimoni
– la fossa, il mikve e tutti gli altri. “Perciò, adesso, tu sei quanto di
meglio ho, la mia fortuna e il mio successo, e certamente tu sei sua e suo
figlio è il tuo sposo. Tuo padre, a causa della sua cattiveria, vuole ucciderlo
senza motivo. Ho già provato a aiutarlo e mi sono accertata che lo liberassero.
Dunque sappi che lui è il tuo promesso sposo e non acconsentire a sposare alcun
altro al mondo”.
La ragazza accettò
le parole della madre poiché anch’essa era timorata di Dio e rispose che
avrebbe sicuramente fatto così. Inviò quindi una lettera al figlio del
commerciante dove diceva che sapeva di essere stata promessa a lui e che egli
sarebbe stato il suo futuro marito. Gli inviò anche una mappa sulla quale
disegnò tutti i luoghi dove sua madre si era nascosta con suo padre e che erano
i sette luoghi testimoni del patto (la fossa, il mikve etc.). Lo avvertì che
avrebbe dovuto conservare questa lettera con attenzione e la firmò in basso.
Quello che
successe è quindi che un altro prigioniero fu mandato a morte al posto del figlio
del commerciante, il quale fu liberato. Una volta fuggito egli raggiunse il
mare, si imbarcò su una nave e salpò. All’improvviso si scatenò una grande
tempesta che scagliò la nave in un luogo deserto, rompendola interamente: ma
coloro che erano a bordo si salvarono e raggiunsero la terraferma.
Si trattava di una
zona deserta e ognuno prese la propria strada per trovare cibo, in quanto in
quello stesso luogo non passavano navi e nessuno di loro si aspettava certo che
alcuna imbarcazione passasse per caso. Si sparsero dunque nel deserto.
Il figlio del
commerciante proseguì finché non si distanziò dal luogo dove era inizialmente
approdato al punto che non riuscì più a tornare indietro: ogni volta che
cercava di tornare sui suoi passi si allontanava ancora di più, finché non
prese atto del fatto che non sarebbe potuto tornare indietro e decise di
proseguire. Vagò quindi nel deserto e aveva con sé un arco che lo aiutava a
difendersi dalle bestie feroci e così poteva procurarsi del cibo. Proseguì
finché non uscì dal deserto e raggiunse un luogo che una volta era stato
abitato ma che adesso era completamente abbandonato e dove trovò acqua e alberi
da frutto. Si cibava di frutta e aveva acqua a sua disposizione.
Decise di rimanere
lì per il resto della sua vita poiché in ogni caso gli sarebbe stato difficile
tornare indietro e dubitava che avrebbe raggiunto un altro posto del genere se
avesse lasciato questo. Decise quindi di trascorrere lì il resto della sua
vita, in quanto si trovava bene. Aveva frutta da mangiare e acqua da bere;
talvolta andava a caccia di cervi o lepri e così aveva anche carne da mangiare.
Pescava anche i pesci che si trovavano nell’acqua e gli piacque molto l’idea di
passare la propria vita in quel luogo.
L’imperatore, dopo
aver condannato il figlio del commerciante ed essersi liberato di lui, adesso
poteva preoccuparsi di trovare un marito per la figlia. Iniziarono a proporle
incontri con re di altri paesi e le fece costruire un gradevole cortile nel
quale lei trascorreva le giornate. La ragazza volle con sé delle compagne,
figlie di ministri, e si intratteneva in quel luogo suonando strumenti. Ogni
volta che parlavano con lei di matrimonio, rispondeva che non voleva perdersi
in parole ma che l’eventuale futuro sposo si presentasse di persona. Era una
grande esperta di poesia e organizzò intelligentemente un posto dove il
candidato sposo si sarebbe seduto di fronte a lei e avrebbe discusso di poesia
– poesie amorose, come è solito esprimersi un innamorato di fronte a colei che
ama.
Venivano molti re
interessati al matrimonio e ognuno di loro presentava i propri componimenti: ad
alcuni lei rispondeva tramite le sue ancelle in modo affettuoso e poetico e ad
altri – quelli che preferiva – rispondeva di persona e cantava con trasporto.
Ai pochi che davvero le sembravano validi, si mostrava in volto e li deliziava
con il suo canto. Ma nessuno di questi incontri portava ad alcuna conclusione e
a tutti rispondeva: “Non hai passato le sette acque” – e nessuno comprendeva
quali fossero le sue intenzioni. Quando mostrava il suo volto i pretendenti
crollavano a terra a causa della sua bellezza: alcuni rimanevano addirittura
senza forza, altri impazzivano per le malattie d’amore a causa di quella sua
bellezza così fuori dal comune e nonostante ciò continuavano a presentarsi i re
per combinare matrimoni. Ma a tutti rispondeva così.
Il figlio del
commerciante risiedeva nel luogo che aveva trovato: si era costruito un posto
dove stare, sapeva suonare e padroneggiava l’arte poetica. Si sceglieva degli
alberi dai quali era possibile ricavare strumenti musicali e dai tendini degli
animali si era fatto delle corde. Suonava e cantava per sé. A volte prendeva la
lettera della figlia dell’imperatore, componeva poesie, suonava e si ricordava
di tutto ciò che aveva passato, di suo padre il commerciante e del fatto che
adesso era giunto fino lì. Prese la lettera e fece un segno presso l’albero nel
quale la nascose.
Passò un certo
periodo di tempo.
Un giorno venne
una grande tempesta che spezzò tutti gli alberi. Il figlio del commerciante non
poté più riconoscere l’albero doveva aveva nascosto la lettera – poiché adesso
che erano caduti erano indistinguibili l’uno dall’altro. Non era possibile
tagliare tutti i tronchi per ritrovare la missiva, perchè ce n’erano troppi. Pianse
e si disperò per quello che aveva fatto. Si rese conto che se fosse rimasto lì
sarebbe impazzito dal dolore e decise che doveva andarsene ad ogni costo perché
sarebbe stato pericoloso rimanere lì e soffrire. Prese con sé della frutta e
della carne e si mise in cammino. Lasciò però nel posto che aveva abbandonato
alcuni segni della sua presenza.
Camminò finché non
giunse a un luogo abitato e chiese: “Di quale paese si tratta?”. Gli risposero
e domandò se avevano mai sentito parlare dell’imperatore. Gli fu detto di sì e
domandò se avevano sentito parlare anche della sua bellissima figlia. Gli
risposero di sì, ma che era impossibile sposarsi con lei. Decise che – dal
momento che non poteva andare là dove si trovava l’imperatore – si sarebbe
rivolto al sovrano di questo paese e gli avrebbe raccontato tutto quello che
aveva passato, che lui era lo sposo e che a causa sua lei non voleva sposarsi
con nessun altro. Poiché lui non poteva andare da lei, dette al re tutte le
indicazioni (quanto riguardava le sette acque etc.), in modo che lei lo avrebbe
accettato come sposo. Lui avrebbe ricevuto in cambio del denaro. Il re comprese
che parlava con sincerità, poiché era impossibile inventarsi una storia del
genere e acconsentì all’accordo che gli aveva proposto.
Ma il re pensò fra
sé e sé: “Se la condurrò al mio regno e lui sarà sempre qui, non mi pare cosa
buona. Ucciderlo, d’altra parte, non potrei: perché uccidere qualcuno che mi ha
fatto un favore?”. Perciò decise di mandarlo via, a una distanza di 800 miglia
dal suo regno. Il figlio del commerciante reagì molto male per il fatto che lo
allontanasse dopo che gli aveva fatto un favore. Dopo essersene andato, si
presentò dal re del prossimo paese che raggiunse e anche a lui raccontò tutta
la storia, fornendogli tutti gli indizi e persino uno in più, e gli disse che
avrebbe dovuto recarsi da lei in fretta per anticipare il primo re: “Perfino se
non riuscirai ad arrivare in tempo, avrai un indizio in più da offrire alla
giovane”.
Il secondo re
decise anche lui di allontanarlo dal suo regno e di nuovo il giovane se la
prese a male. Andò da un terzo re con il quale si ripeté la stessa storia.
Il primo re giunse
dalla figlia dell’imperatore e scrisse una poesia nella quale riportò – secondo
le leggi della poetica – tutti i sette luoghi che avevano fatto da testimone
alla promessa di sua madre: ma poiché lo fece in modo da far tornare le rime, i
luoghi non erano disposti nell’ordine giusto. Giunse da lei e decantò la
poesia. Nel momento in cui la ragazza sentì parlare di quei sette posti si
meravigliò molto e le sembrava che fosse lui il prescelto. Le era difficile
comprendere come mai non avesse messo i luoghi in ordine, ma pensò che li
avesse cambiati per rispettare le esigenze delle rime. Si convinse quindi che
lui fosse il suo sposo. Gli scrisse che accettava la sua proposta. Il fatto che
lei avesse trovato finalmente l’anima gemella fu molto festeggiato e iniziarono
i preparativi per le nozze.
Nello frattempo
però giunse anche il secondo re al quale dissero che la ragazza si era già
fidanzata: egli non si perse d’animo e disse che doveva comunicarle qualcosa
che le avrebbe sicuramente fatto cambiare idea. Declamò quindi la sua poesia,
mettendo tutti i luoghi nell’ordine giusto, e le fornì anche un altro indizio.
Lei gli chiese: “Come fa, allora, colui che è giunto per primo a sapere le cose
che ha detto?”. Egli non poteva certo dire la verità e ammise che non lo
sapeva. Ma a lei la cosa sembrava molto strana ed era molto perplessa in quanto
anche il primo le aveva raccontato dei sette luoghi: come poteva conoscere
qualcuno la storia dei sette luoghi?
Nonostante ciò,
adesso le sembrava che il secondo fosse il suo predestinato in quanto aveva
raccontato la storia nell’ordine giusto e pensò che il primo pretendente, dal
momento che aveva utilizzato le rime, avesse raccontato la storia dei sette
luoghi per puro caso. In ogni caso rimase ferma nella decisione di sposare il
primo pretendente.
Quando il re lo
aveva cacciato via, il figlio del commerciante era rimasto molto male, e si era
recato da un terzo re al quale aveva raccontato tutta la storia e dato altri
indizi che i primi due non avevano ricevuto. Al terzo aveva raccontato proprio
tutto, anche la storia della lettera che conteneva i luoghi disegnati. Gli
aveva proposto di ripetere quel disegno e recarsi con esso da lei. Ma anche il
terzo pensò che non fosse opportuno condurre la sua sposa con sé nel luogo dove
si trovava il giovane e così risolse di mandarlo via lontano.
Quando arrivò il
terzo pretendente gli dissero che ce n’erano già altri due e disse: “Nonostante
ciò, ho qualcosa di importante da dire che la convincerà senz’altro”. Nessuno
capiva come mai i primi due fossero stati accettati dalla giovane, che sembrava
non volere nessuno. Il terzo re riportò nella sua poesia segnali ancora più
chiari e le mostrò la lettera con il disegno dei luoghi. A quel punto la
ragazza si spaventò molto, ma non poteva fare niente perché sia il primo che il
secondo re sembravano essere proprio il suo sposo promesso. Disse: “Non crederò
a nessuno a meno che non mi venga portata la lettera che io stessa ho scritto”.
Il figlio del
commerciante si disse: “Fino a quando mi manderanno sempre più lontano?”.
Decise così che lui stesso sarebbe andato lì, dalla figlia dell’imperatore – e
forse sarebbe riuscito a convincerla. Si mise in viaggio finché non giunse a
destinazione dicendo che aveva qualcosa di speciale da raccontarle. Declamò la
sua poesia, le dette altri indizi e le ricordò che aveva studiato insieme a lei
nella stessa stanza, le disse che era stato lui a mandare gli altri re, che
aveva nascosto la lettera nell’albero e tutto ciò che aveva passato. Ma lei non
dette peso a quanto aveva da dirle.[16]
Riconoscerlo era impossibile poiché era passato molto tempo e non voleva più
considerare gli indizi finché non le avessero portato la lettera.
Il ragazzo decise
che non poteva rimanere lì e di tornare al posto dove aveva abitato nel
deserto: lì avrebbe concluso la sua vita. Riuscì a tornare alla sua vecchia
dimora. Erano nel frattempo passati diversi anni e il figlio del commerciante
aveva deciso che sarebbe rimasto nel deserto per il numero di anni che pensava
gli fossero rimasti da vivere.
In mare si trovava
anche un assassino. Egli aveva sentito che c’era una ragazza così bella e
voleva rapirla anche se in realtà il suo non era vero interesse in quanto era
un eunuco. Voleva rapirla per venderla a qualche re, così avrebbe potuto
ricevere una fortuna in compenso. Iniziò a progettare un piano: da buon
assassino era del tutto irriguardoso e decise che non aveva niente da perdere
per cui avrebbe tentato il tutto e per tutto. Comprò un quantitativo esagerato
di merce e scolpì degli uccelli d’oro, fatti così bene che sembrava fossero
veri. Forgiò anche delle spighe d’oro sulle quali erano posati gli uccelli e
tal cosa pareva una cosa speciale, in quanto le spighe non si rompevano sotto
il peso dei volatili, che pure erano molto grandi. Mise in atto dei trucchi
grazie ai quali sembrava che cinguettassero: uno emetteva suoni con la lingua,
l’altro cinguettava e uno canticchiava, ma il tutto era frutto di inganni.
C’erano alcune persone, nascoste nella stessa stanza, che imitavano il verso
degli uccelli in modo da farlo sembrare vero. E sembrava che fossero proprio
gli uccelli a produrre suoni, perché erano fatti con grande perizia e con fili
di ferro.
L’assassino si
mise in viaggio verso il paese della figlia dell’imperatore. Giunse alla città
dove abitava, gettò l’ancora e sistemò la nave in rada facendo finta di essere
un grande commerciante. Venivano da lui a comprare merce e cose preziose.
Rimase lì per oltre tre mesi e la gente tornava con le cose splendide che aveva
comprato da lui. Anche la figlia dell’imperatore voleva fare acquisti e gli
chiese di portare la sua merce a palazzo in modo che lei la potesse vedere. Le
rispose che non era uso portare la merce a casa del cliente, persino se si
trattava della figlia dell’imperatore. Chi aveva bisogno di fare acquisti,
doveva venire da lui, perché lui non aveva padroni e non prendeva ordini da
nessuno.
La figlia
dell’imperatore decise che sarebbe andata da lui. Era sua abitudine, quando
passava per il mercato, coprirsi il volto in modo che la gente non la
osservasse, poiché le persone potevano svenire a causa della sua bellezza.
Procedeva quindi a volto coperto insieme alle sue ancelle e una piccola scorta:
giunse dal commerciante, acquistò diversa merce e andò via. Il commerciante le
disse: “Se tornerai ancora, ti farò vedere cose ancora più meravigliose” – e
tornò a casa. Altre volte tornò a fare acquisti presso di lui e il commerciante
rimase lì un certo periodo di tempo, nel quale lei si abituò a venire da lui.
Una volta le aprì
la stanza dove conservava gli uccelli d’oro e lei vide che si trattava di una
cosa assolutamente nuova. Anche la sua scorta voleva entrare ma lui disse: “No,
questo io non lo faccio vedere a nessun altro, ma solo a te perché sei la
figlia dell’imperatore. Ad altri non lo voglio mostrare”. La ragazza entrò
quindi da sola e lui la seguì chiudendo la porta a chiave dietro di sé: prese un
sacco e la gettò dentro, la svestì, mise i suoi abiti a uno dei suoi marinai e
lo spinse fuori dicendogli di andarsene. Il marinaio non comprese cosa accadeva
ma immediatamente, appena uscì con il volto coperto, le guardie – non sapendo
che non si trattava della giovane – lo accompagnarono a casa. Il marinaio non
sapeva dove si trovava finché non giunse alla dimora della figlia
dell’imperatore, quando gli tolsero la copertura dagli occhi e videro che si
trattava solo di un marinaio. Si scatenò subito un grande trambusto e il
marinaio fu duramente percosso. Però si limitarono a cacciarlo via in quanto
non sapeva niente di quanto era veramente accaduto.
L’assassino prese
con sé la figlia dell’imperatore e sapeva che di sicuro l’avrebbero inseguito:
si allontanò dalla nave e si nascose con lei in una fossa di acqua piovana
finché non fosse passata la confusione. Ordinò all’equipaggio della nave di
mollare l’ancora e fuggire poiché sicuramente li avrebbero inseguiti: tuttavia,
non avrebbero sparato alla nave poiché pensavano che la figlia dell’imperatore
fosse a bordo. Se li avessero presi, poca importanza – così come è tipico degli
assassini, non era molto preoccupato del fatto. E così fu: li inseguirono, ma
non trovarono la ragazza.
L’assassino si
nascose con lei nella fossa e rimasero lì un certo periodo di tempo. Le intimò
di non strillare in modo che nessuno la sentisse e le disse: “Ho dato l’anima
per acciuffarti – se ti perdessi la mia vita non varrebbe niente. Dal momento
che sei già in mano mia, se tornassi e ti perdessi nuovamente, la mia vita
comunque non varrebbe niente, pertanto – se ti metterai a strillare – ti
strangolerò: può succedermi qualsiasi cosa, tanto non ho niente da perdere”. La
ragazza si spaventò molto. In seguito uscirono di lì e attraversarono la città.
Giunsero a un altro luogo e comprese che anche lì li stavano cercando e si
nascosero in un mikve. Poi uscirono di lì e si nascosero in un altro luogo – e
così passarono tutti i sette luoghi nei quali il commerciante a suo tempo si
era nascosto con la madre della ragazza. Infine giunsero al mare. Lì cercò una
piccola barca da pescatori per salpare con lei. La trovò e portò con sé la
figlia dell’imperatore, che non le serviva a niente (in quanto era un eunuco)
ma che voleva vendere a qualche re: perciò temeva di perderla. La vestì con
vestiti da marinaio in modo da farla sembrare un maschio. E andò con lui in mare.[17]
All’improvviso una tempesta sbatté la barca in un certo posto e la ruppe, e i
due arrivarono nello stesso luogo dove era giunto un tempo il figlio del
commerciante, nel deserto. Il criminale conosceva il mondo e sapeva che si
trattava di un luogo deserto dove le navi non potevano arrivare, pertanto non
temeva di fare brutti incontri. La lasciò andare e si divisero per cercare cibo.
Lei si allontanò dal criminale, che aveva preso la sua strada e che
all’improvviso si accorse di averla perduta. Iniziò a chiamarla ad alta voce ma
lei decise che non gli avrebbe risposto poiché così ragionava: “In ogni caso
lui mi venderà, per cui perché dovrei tornare da lui? Se mi troverà, gli dirò
che non l’avevo sentito – tanto non vuole uccidermi ma solo vendermi” – e non
gli rispose continuando sul suo cammino. Il criminale cercò ovunque, senza
trovarla, e si disse: “Probabilmente è stata mangiata da delle bestie feroci”.
Lei intanto
girovagò, trovando ogni tanto qualcosa da mangiare, finché non giunse nel luogo
dove dimorava il figlio del commerciante. Le erano allungati i capelli ed era
vestita come un marinaio, per cui non si riconobbero. Appena giunse lui fu
molto lieto di vedere un altro essere umano e gli chiese: “Da dove sei giunto?”
– lei rispose: “Ero con un commerciante nel mare. Tu di dove sei venuto
invece?” – “Anche io mi trovavo con un commerciante” – e rimasero lì insieme.
Dopo che la figlia
dell’imperatore era stata portata via, l’imperatrice piangeva senza sosta:
dalla disperazione per aver perso sua figlia sbatteva la testa nel muro e
inaspriva il marito accusandolo di aver perduto prima il figlio del
commerciante e poi la loro unica figlia proprio a causa della sua cattiveria.
“Lei era tutta la nostra buona sorta e la nostra fortuna e l’abbiamo perduta, e
cosa mi è rimasto adesso?” – e lo intristiva molto. Certamente anche lui
stesso era infelice per aver perso la figlia e inoltre l’imperatrice lo
deprimeva molto, per cui iniziarono a litigare duramente fra loro. Lei gli
diceva cose crudeli finché non lo fece adirare al punto che lui la cacciò via.
Fece chiamare dei giudici e fu deliberato che lei se ne sarebbe dovuta andare.
In seguito,
l’imperatore andò in guerra ma non riusciva mai a riportare vittorie e incolpò
dei suoi insuccessi uno dei generali, per la strategia che aveva messo in atto
– finché non lo cacciò via. Nella guerra successiva, dove perse di nuovo,
cacciò altri generali e così anche in quelle che seguirono. I sudditi videro
che l’imperatore commetteva azioni strane. All’inizio aveva cacciato la moglie,
poi i suoi fedeli generali. E pensarono: “Si potrebbe fare il contrario: andare
a cercare la moglie dell’imperatore e mandare via lui, in modo che sia lei a
governare il paese!”. Così fecero: mandarono via l’imperatore e fecero tornare
la moglie, la quale prese le redini del paese. L’imperatrice inviò subito
emissari per far tornare il commerciante e sua moglie e li accomodò al
castello. L’imperatore – dopo essere stato cacciato – chiese a coloro che
l’avevano preso di liberarlo e lasciarlo andare, perché in fondo era stato il
loro governante e di sicuro aveva fatto loro del bene: “Abbiate pietà di me e
lasciatemi andare poiché di certo non tornerò nel paese finché mi resta da
vivere e non avete di che temere”. E così fecero. Egli se ne andò e passò un
certo numero di anni girovagando in mare, fin quando giunse una tempesta che lo
portò nello stesso luogo dove dimoravano il figlio del commerciante e sua
figlia travestita da maschio. Non si riconobbero l’un l’altro perché
l’imperatore aveva adesso i capelli lunghi ed erano trascorsi molti anni e così
era anche per gli altri due. Gli chiesero: “Come sei giunto fin qui?” – “Con un
commerciante” – e anche loro dissero la stessa cosa. Rimasero lì insieme,
mangiando, bevendo e suonando strumenti musicali poiché tutti sapevano suonare.
Il figlio del
commerciante era esperto del luogo, poiché era rimasto lì più a lungo di tutti:
portava loro carne da mangiare e bruciavano degli alberi che un tempo valevano
più dell’oro quando il luogo era abitato e mostrò loro che qui era il posto
migliore dove trascorrere il resto della loro vita. Gli chiesero: “Come puoi
dire che questo è il posto migliore di tutti? In quali altri posti sei stato?”.
Raccontò loro tutto quello che aveva passato, da quando era solo il figlio di
un commerciante fino a quando era giunto lì: “Allora avevo tutto quello che
desideravo, e ce l’ho anche qui”. Dimostrò loro che era davvero il posto
migliore dove rimanere. L’imperatore gli chiese: “Hai sentito qualcosa su
questo imperatore?”– “Si, ne ho sentito parlare”, rispose il figlio del
commerciante. “E della sua bella figlia hai sentito parlare?” – “Si”, ma nello
stesso momento il figlio del commerciante si adirò e disse che l’imperatore era
un assassino. “Perchè lo chiami assassino?”, chiese l’imperatore – “E’ a causa della sua crudeltà che io sono
qui” – “Cosa vorresti dire?” – ed egli decise che non aveva di che temere e
raccontò tutta la storia nella sua interezza. L’imperatore gli chiese: “Se
l’imperatore si presentasse adesso da te, ti vendicheresti di lui?” – “No” –
perché era compassionevole – “e mi preoccuperei di lui come mi preoccupo di
te”.
L’imperatore
sospirò e disse: “Che vecchiaia triste attende quell’imperatore! Ha perso la
sua bella figlia ed è stato cacciato dal suo paese!” Il figlio del commerciante
disse: “E’ a causa della sua cattiveria e della sua mania di grandezza che ha
perso sua figlia e la sua casa, e per lo stesso motivo io sono finito qui!” –
“Ma quindi se adesso venisse da te ti vendicheresti di lui?” – “No, anzi, lo
aiuterei proprio come faccio con te”. A quel punto l’imperatore rivelò la sua
vera identità e raccontò tutto quello che aveva passato. Il figlio del
commerciante lo abbracciò e lo baciò. La figlia, nel frattempo, aveva udito
tutto quello che avevano raccontato.
Il figlio del
commerciante aveva l’abitudine ogni giorno di fare un segno su tre alberi, tra
i mille che c’erano, nei quali aveva cercato la lettera. Così non avrebbe
dovuto tornare a cercare in quegli stessi alberi. Tutto ciò perché pensava che
forse un giorno avrebbe ritrovato la lettera. Quando tornava dal suo giro tra
gli alberi, aveva gli occhi pieni di lacrime per aver cercato la lettera senza
successo. I due compagni gli chiesero: “Cosa cerchi in quegli alberi, che ti fa
tornare sempre in lacrime?” – raccontò loro tutta la storia, che la figlia
dell’imperatore gli aveva mandato quella lettera, che l’aveva nascosta in un
albero ma che era giunta una tempesta e adesso la cercava nella speranza di
ritrovarla. Gli dissero: “Domani quando vai a cercarla verremo con te e forse
la troveremo” – e così fu. Andarono con lui e fu proprio la figlia
dell’imperatore a trovare la lettera nascosta nell’albero. L’aprì, riconobbe la
sua scrittura e pensò: “Se gli dirò subito che si tratta proprio di quella
lettera, quando tornerò, mi spoglierò dei miei vestiti e gli mostrerò la mia
bellezza, di certo lui potrebbe morire per la sorpresa. Voglio che le cose
avvengano come devono accadere” – gli restituì la lettera e gli disse che
l’aveva trovata. Il figlio del commerciante svenne. Ma riuscirono a rianimarlo
e furono molto lieti.
Disse quindi il
figlio del commerciante: “A cosa mi serve questa lettera? Dove la potrò
trovare? Di certo lei si trova presso qualche re e cosa potrò fare? Rimarrò qui
fino alla fine della mia vita”. Le consegnò la lettera e le disse: “Prendi
questa lettera, vai tu e cerca di sposarti con lei”. La figlia dell’imperatore,
che era sempre vestita con abiti maschili e non aveva svelato la sua identità,
accettò il consiglio ma gli chiese di accompagnarla, dicendogli che di sicuro
l’avrebbe trovata e si sarebbe sposato con lei – al che lui avrebbe condiviso
il bene che gliene sarebbe venuto. Il figlio del commerciante vide che si
trattava di un uomo astuto e che sicuramente sarebbe riuscito a trovare la
figlia dell’imperatore e sposarla e decise di andare con lui. L’imperatore
sarebbe quindi rimasto solo poiché temeva di tornare al suo paese ma gli
chiesero di andare con loro, in quanto se lui si fosse sposato con la bella
donna anche l’imperatore sarebbe potuto tornare senza timori.
Tutti e tre
insieme presero in affitto una barca e giunsero al paese dove governava
l’imperatrice, nella sua città, e si fermarono lì. La figlia dell’imperatore
pensò che se avesse detto a sua madre improvvisamente della sua venuta, essa
sarebbe potuta morire per la sorpresa e le inviò un messaggio dicendole che
c’era qualcuno che conosceva la sorte di sua figlia. Quindi andò di persona
dall’imperatrice e le raccontò tutto quello che la figlia aveva trascorso e
tutto il viaggio compiuto. Alla fine le disse: “Anche tua figlia si trova qui”.
In seguito poi le raccontò la verità: “Sono io tua figlia”. La informò che
anche suo genero, il figlio del commerciante, si trovava lì e le pose una
condizione: chiese che rimettessero suo padre al suo posto e gli dessero
nuovamente il suo incarico, ma la madre non era affatto contenta di questa
proposta perché era molto adirata con lui, unico responsabile di tutta questa
sventura. Ma, nonostante ciò, fu costretta a soddisfare la richiesta della
figlia. Cercavano quindi l’imperatore per rimetterlo al suo incarico: lo
cercarono ma non lo trovarono e allora sua figlia disse che anche lui si
trovava lì.
Si svolse il
matrimonio in piena gioia, la coppia ricevette il regno e l’autorità e
governarono su tutto il paese.
Il figlio del re e il figlio della schiava
C’era una volta un
re presso la cui corte dimorava una serva che era disposizione della regina. La
regina doveva partorire e nello stesso momento anche la sua schiava dette alla
luce a un figlio. L’ostetrica scambiò i due neonati con l’intenzione di vedere
come sarebbero andate le cose: pose quindi il principe presso la schiava e il
figlio della schiava presso la regina.
In seguito, i due
bambini crebbero e il principe (ovvero quello che crebbe presso il re)
ricevette un’educazione di primo livello, finché non divenne lesto e affermato.
Anche il figlio della schiava (ovvero il figlio naturale del re che era
cresciuto presso di lei) crebbe nella sua casa e entrambi i fanciulli
studiarono nello stesso luogo. Il vero figlio del re, che chiameremo il figlio
della schiava, aveva modi naturalmente regali ma crebbe in casa di servitù. Al
contrario, il figlio della schiava, che chiameremo il figlio del re, si
comportava naturalmente in modo non principesco ma crebbe in casa del re e
pertanto era obbligato a comportarsi secondo i codici del sovrano, poiché così
era stato cresciuto.
L’ostetrica, nel
modo delle donne che si comportano con leggerezza, raccontò la storia a
qualcuno – di come aveva scambiato i due ragazzi: la storia passò di bocca in
bocca finché il segreto non fu svelato e la gente iniziò a parlare di come
avevano scambiato il figlio del re. Ma doveva rimanere un segreto poiché era
vietato che il re lo sapesse: come avrebbe reagito, infatti, se l’avesse
scoperto? Non si poteva certo riparare all’errore – e inoltre si poteva pensare
che fosse una menzogna e comunque tornare indietro nel tempo e riparare allo
scambio era impossibile. Pertanto era vietato che il re lo scoprisse. Solo il
popolo ne parlava.
Un giorno qualcuno
rivelò il segreto al figlio del re, dicendogli che era stato scambiato appena dopo
il parto: “Ma non potrai verificare se è vero o meno. Primo di tutto perché non
è opportuno che tu ti immischi in cose simili e poi perché in ogni caso non
potrai avere una risposta certa. Ma io te l’ho detto, poiché un giorno forse ci
sarà una cospirazione contro il regno e potranno rinforzare l’opposizione
portando alla luce questa storia, dicendo che prenderanno il figlio del re come
re – ovvero, colui del quale diranno che è il vero figlio del re. Perciò tu
devi iniziare a preoccuparti di come far sparire il tuo rivale”. Il figlio del
re andò[18] e
iniziò a creare problemi al padre del figlio della schiava (che di fatto era il
suo vero padre) e ogni volta che poteva complicargli la vita, lo faceva sempre
e di continuo in modo che potesse giungere al punto in cui se ne sarebbe andato
insieme a suo figlio. Finché il re fu in vita, il principe non aveva alcun
potere – ma ciò nonostante riusciva a danneggiarlo. In seguito il re invecchiò
e morì e il regno passò al principe che creò ancora più problemi al suo rivale,
uno dopo l’altro. Faceva il tutto ingannevolmente in modo che nessuno sapesse
che era lui a creare problemi, in quanto non era certo appropriato, ma di
nascosto gli nuoceva continuamente.
Il padre del
figlio della schiava comprese che il principe gli creava tutti questi disagi a
causa della storia dello scambio e raccontò a suo figlio tutta la storia. Gli
disse: “Provo grande compassione per te, perché in fondo – cosa vuol dire tutto
questo? Se sei veramente mio figlio, non posso che compatirti. E se sei davvero
il figlio del re, allora sì che bisogna compatirti davvero – perchè lui vuole
eliminarti, Dio non voglia, e perciò è bene che tu te ne vada di qui!”. Suo
figlio si risentì molto per questa storia. Ma il re lo colpiva sempre con
cattiveria, fino al punto in cui il figlio della schiava decise di andarsene.
Suo padre gli dette diverso denaro e con quello si mise in cammino. Ma era
molto adirato per il fatto che aveva dovuto abbandonare il suo paese senza
essere colpevole di niente, e pensava: “Perché devo essere stato cacciato via?
Se sono il figlio del re, certamente è una grande ingiustizia. E se non sono il
figlio del re, non ha comunque senso che io venga allontanato senza motivo!
Qual è il mio peccato?”. Soffriva molto e iniziò a bere e frequentare case di
prostituzione. Voleva trascorrere così il resto della sua vita, ubriacandosi e
seguendo quello che aveva voglia di fare nello stesso momento.
Il re governava
con dispotismo e quando sentiva che c’erano persone che parlavano di quello
scambio le puniva e si vendicava di loro duramente.
Un giorno, il re e
i suoi ministri uscirono a caccia e giunsero in un luogo molto bello dove c’era
un ruscello. Si fermarono lì e andarono a giro; il re si stese per riposarsi e
pensò a tutto ciò che aveva fatto, che aveva mandato via il suo rivale senza
motivo – in fondo qual era stata la sua colpa? Disse a sè stesso: “Valutiamo un
attimo la situazione: se è figlio del re, non ha già sofferto abbastanza per il
fatto che l’hanno scambiato da piccolo? Perché bisognerebbe in aggiunta anche
esiliarlo? E se non è figlio del re, non ha commesso alcuna colpa che
giustifichi il fatto di averlo esiliato”. Il re si pentì quindi delle sue
ignominiose azioni ma non sapeva prendere una decisione. Non poteva
consigliarsi con alcuno e si intristì molto. Disse ai ministri che sarebbero
tornati indietro poiché non aveva più voglia di andare a giro. Così
rientrarono. Quando tornò a palazzo, il re ovviamente dovette occuparsi degli
affari di corte e così, preso da questi impegni, si dimenticò delle cose sulle
quali aveva riflettuto.
Il figlio della
schiava, dopo che era stato esiliato e aveva compiuto tutte quelle azioni
riprovevoli, aveva sprecato tutto ciò che gli aveva dato il padre. Un giorno si
stese a riposarsi e pensò a tutto quello che aveva passato: “Cosa mi ha fatto
il Signore? Se sono il figlio del re, certo non mi merito questo trattamento. E
se non sono il figlio del re – certo non mi merito di vivere come un fuggitivo!
Però, se il Signore può far sì che avvenga una scambio tra due neonati e
permettere che avvenga tutto quello che è avvenuto, io mi sono comportato
proprio in modo vergognoso, con tutto quello che ho fatto!” – e si pentì
amaramente del modo in cui aveva agito fino ad allora. In seguito tornò ad
ubriacarsi, ma siccome aveva già iniziato a pentirsi delle sue azioni le sue
ansie ogni tanto lo portavano a pensare che sbagliava nel comportarsi così.
Una volta si
coricò e sognò che in un certo posto, un certo giorno, c’era una fiera e che lui vi doveva prendere parte. Una volta
lì, avrebbe accettato il primo lavoro che si sarebbe presentato, anche se non
era dignitoso. E si svegliò. Questo sogno non gli dette pace: talvolta ci si
dimentica dei sogni appena si fanno, ma questo rimaneva saldo nella sua mente.
Nonostante ciò, gli era molto difficile fare quello che aveva sognato e iniziò
a bere ancora di più. Il sogno però continuava a ripetersi e lo metteva in uno
stato di grande confusione.
Una volta, in
sogno, gli fu detto: “Se vuoi aiutare te stesso, allora fallo” – e così si
sentì costretto a prendere atto di quanto aveva sognato. Dette il poco denaro
che gli era rimasto all’ostello dove risiedeva e il resto lo pagò con i bei
vestiti che aveva. Prese con sé un vestito semplice da commerciante e andò nel
luogo dove si teneva la fiera.
Si svegliò presto
e alla fiera incontrò un commerciante, il quale gli disse: “Vuoi lavorare e
guadagnare qualcosa?” – “Si” – “Io devo trasportare alcune bestie. Vorresti
lavorare per me?”. Egli non ebbe possibilità di rifiutare in virtù del sogno
che aveva fatto e pertanto disse subito di sì. Il commerciante lo impiegò nello
stesso momento. Gli dava ordini come un padrone è solito fare con i suoi servi.
Il figlio della schiava pensava che un lavoro del genere non fosse per lui in
quanto era un uomo esile e adesso doveva trasportare bestie, costretto ad
andare a piedi tutto il tempo. Ma non poteva tornare indietro sui suoi passi.
Il commerciante gli dava ordini proprio come un padrone. Il figlio della
schiava chiese un giorno al commerciante: “Come andrò da solo con le bestie?” –
“Ci sono altri pastori che trasportano le bestie per mio conto, potrai unirti a
loro”. Consegnò quindi sotto la sua responsabilità alcune bestie ed egli le
condusse fuori dalla città. Là, si unirono ad altre mandrie e si misero in
cammino insieme. Il commerciante procedeva a cavallo e si comportava in modo
crudele. Era particolarmente duro con il figlio della schiava, che aveva grande
timore di lui in quanto vedeva quanto astio aveva nei suoi confronti: aveva paura
che l’avrebbe colpito con un bastone e immediatamente ucciso, a causa della sua
gracilità. Il commerciante procedeva insieme a lui e alle bestie. Giunsero in
un certo luogo, presero il sacco del pane dei pastori e il commerciante dette
loro da mangiare – e anch’egli mangiò. In seguito pervennero a un bosco molto
fitto e due delle bestie condotte dal figlio della schiava si persero. Il
commerciante sbraitò contro di lui e immediatamente il figlio della schiava si
mise a correre dietro di loro, ma a ogni passo si allontanavano sempre di più.
Poiché il bosco era così fitto, sparì dalla vista dei suoi compagni e seguitò a
rincorrere gli animali, che scappavano sempre più lontano. Li rincorse finché
non giunse nella profondità del bosco e pensò: “Morirò in ogni caso: se
tornassi senza le bestie, il commerciante mi ucciderebbe” – a causa del timore
che aveva nei suoi confronti era sicuro infatti che l’avrebbe ucciso
all’istante – “Se rimarrò qui, le bestie feroci della foresta mi sbraneranno.
Perché dovrei quindi tornare dal commerciante? Come potrei tornare senza le
bestie?”. Continuò a rincorrerle, ma scappavano sempre più lontano. Nel
frattempo, si fece notte. Una cosa del genere non gli era mai successa: dover
dormire di notte da solo in un bosco così. Sentiva tutti i versi delle bestie,
che ululavano a loro modo. Decise di salire su un albero e riposare lì, anche
se continuava a sentire i loro suoni minacciosi.
La mattina vide
che le bestie che gli erano scappate erano proprio sotto l’albero sul quale si
era rifugiato. Scese con l’intenzione di prenderle ma esse fuggirono. Le
rincorse, ma scappavano di nuovo sempre più lontano. Ogni tanto le bestie
trovavano un posto dove mangiare e si fermavano, ma quando lui le raggiungeva
con l’intenzione di afferrarle, gli scappavano di nuovo. Questa continua
rincorsa durò a lungo, finché il figlio della schiava non giunse ancora più in
fondo al bosco in un luogo dove c’erano bestie che non temevano l’uomo, perché
erano lontane dai luoghi abitati. Si fece di nuovo notte e udiva i versi di
questi animali scosso da grande timore.
Vide che c’era un albero molto alto e decise di arrampicarsi su di esso.
Una volta arrivato in cima, vide che c’era un uomo sdraiato e si spaventò
molto. Nonostante ciò lo tranquillizzò il fatto che ci fosse lì un’altra
presenza umana. Si chiesero l’un l’altro: “Chi sei tu?!” – “Chi sei tu e di
dove sei venuto?!”. Il figlio della schiava non aveva intenzione di raccontare
tutto quello che aveva passato e gli disse che era arrivato lì perchè stava rincorrendo
le bestie che gli erano sfuggite. Chiese all’uomo che aveva incontrato: “Tu
come hai fatto a arrivare fin qui?” – “Sono arrivato qui a causa del mio
cavallo: ero in sella e volevo riposare, ma la bestia si avventurò nel bosco,
lo rincorsi, scappò, lo rincorsi di nuovo finché non mi sono ritrovato qui”.
Decisero di formare una squadra e che anche quando sarebbero tornati in città
sarebbero rimasti insieme. Dormirono entrambi sull’albero e udirono gli ululati
delle fiere.
All’alba, il
figlio della schiava sentì una risata chiassosa che si spandeva per tutto il
bosco, al punto da far ondeggiare l’albero. Era completamente atterrito e il
suo compagno gli disse: “Io non ho più paura! Dormo qui da diverse notti e ogni
notte all’alba si sente questa risata finché tutti gli alberi sono scossi da
essa”, ma egli, intimorito, gli rispose: “Direi che è un luogo abitato da
spiriti, perchè in città non si sente questa risata in grado di spandersi per
tutto il mondo!”.
Immediatamente
divenne giorno e notarono le loro bestie sotto l’albero. Scesero e iniziarono a
inseguirle: uno dietro al suo cavallo e l’altro dietro agli altri animali. Così
le loro strade si divisero e si persero di vista.
Nel frattempo il
figlio della schiava trovò un sacco con del pane, cosa molto preziosa in un
luogo disabitato. Lo prese in spalla e continuò a inseguire le bestie. Incontrò
anche un altro uomo e si spaventò, ma fu allietato dal fatto di aver incontrato
un’altra presenza umana. L’uomo gli chiese: “Come sei giunto fin qui?” – “Come sei
giunto tu fin qui?!” – “Io, mio padre e i padri di mio padre siamo cresciuti
qui. Ma tu come hai fatto a raggiungere questo posto? Perché qui non viene mai
nessun uomo dalla città!”. Era costernato, poiché aveva compreso che non era un
essere umano a parlare: aveva detto che i suoi antenati erano cresciuti qui e
che nessuno era mai giunto lì dalla città, e aveva concluso che doveva
trattarsi di un essere non umano. Ma ciò nonostante non gli fece niente di male
e fu gentile con lui. Gli chiese: “Cosa fai qui?” e il figlio della schiava
rispose che stava inseguendo le sue bestie. “Smetti di rincorrere i peccati,
perché ciò che conduci non sono bestie, ma sono i tuoi peccati a condurre te.
Smetti, sei già stato punito, e puoi interrompere la ricerca. Vieni con me così
potrai conseguire ciò che ti spetta” – e il figlio della schiava andò con lui.
Aveva paura di parlargli e fargli domande perché temeva che potesse aprire
bocca e mangiarlo, quindi lo seguiva in silenzio.
Nel frattempo,
incontrò il suo compagno che stava rincorrendo il suo cavallo e non appena lo
vide gli sussurrò all’orecchio: “Sappi che non si tratta di un essere
umano...non avere a che fare con lui!”. Il suo compagno lo scrutò, vide che
portava un sacco di pane sulle spalle e lo pregò: “Sono diversi giorni che non
mangio, dammi del pane!” – “Qui in un luogo disabitato non ci sono regole: la
mia vita viene prima e io ho bisogno del pane per sopravvivere”. L’altro lo
pregò molto e gli disse: “Ti darò tutto quello che ho!” – “Cosa potresti darmi
in cambio di pane in un luogo così deserto?” – “Ti darò me stesso: venderò me
stesso a te per questo pane”. Il figlio della schiava decise di comprare un
uomo con del pane, per tenerlo come schiavo per l’eternità. Il compagno gli
giurò che avrebbe avuto un servitore anche quando sarebbero tornati in città e
che in cambio lui gli avrebbe dato del pane da mangiare e se ne sarebbero
cibati insieme finché non fosse finito.
Si incamminarono
insieme con l’uomo della foresta. Il servitore lo seguiva e questo facilitava
il figlio della schiava: quando c’era necessità di sollevare qualche peso
oppure qualsiasi altro compito da svolgere, ordinava al suo servo di
occuparsene. Giunsero in un luogo dove c’erano serpenti e scorpioni e il figlio
della schiava era terrorizzato. Chiese all’uomo della foresta come avrebbero
attraversato quel luogo nefasto. Gli rispose: “E’ una buona domanda. Ma come
pensi allora che entrerai in casa mia?” – e gli mostrò la sua dimora, sospesa
per aria. Riuscirono a passare indenni da quel luogo, entrarono nella casa
sospesa dove ricevettero da bere e da mangiare e quindi l’uomo della foresta si
allontanò.
Il figlio della
schiava utilizzava il suo servo per ogni cosa di cui aveva bisogno, ed egli era
molto risentito per il fatto di essere stato comprato come schiavo per un’ora
soltanto nella quale aveva avuto bisogno di pane. Adesso avevano di che cibarsi
e solo per un’ora di fame sarebbe stato schiavo per sempre. Sospirava
intensamente e si domandava come aveva potuto fare a finire in una tale condizione.
Il suo padrone gli chiese: “Cosa hai lasciato di così prezioso che ti lamenti
tanto di essere divenuto schiavo?”. Gli raccontò che era un sovrano ma che
raccontavano storie su di lui, dicendo che era stato scambiato da neonato
(perché quest’uomo che aveva perso il cavallo era proprio il re di cui si
parlava all’inizio della storia, ovvero il figlio della schiava fatto re), che
aveva cacciato il suo amico d’infanzia e un giorno realizzò che non aveva
compiuto una buona azione. Si era pentito amaramente per l’enorme peccato che
aveva commesso nei confronti del suo amico.
Una volta sognò
che il suo riscatto sarebbe stato quello di rinunciare al regno e recarsi nel luogo dove i suoi occhi
l’avrebbero condotto e con questo avrebbe espiato il peccato commesso. Non
voleva farlo ma i sogni che faceva lo confondevano così tanto e lo spingevano
in quella direzione, finché non decise che così avrebbe agito: rinunciò al
regno e girovagò finché non era giunto in quel luogo. E adesso sarebbe stato
schiavo per sempre. Il figlio della schiava ascoltò e rimase in silenzio. Disse
fra sé e sé: “Starò a vedere e deciderò come comportarmi”.
Di notte l’uomo
della foresta rientrò e dette loro da mangiare e da bere e poi andarono a
dormire. All’alba udirono di nuovo la risata chiassosa che fece tremare tutti
gli alberi. Il servitore convinse il suo padrone (che era il vero figlio del
re) a chiedere all’uomo della foresta cosa fosse quella risata. Gli chiese:
“Cos’è questo sghignazzo che si sente sempre all’alba?” – “Si tratta del giorno
che si prende gioco della notte: la notte chiede al giorno ‘Perchè quando tu
giungi non ho più un nome?’, e il giorno così si beffa della notte e poi sorge
il sole. Questo è ciò che udite”. Apprezzò molto la risposta, poiché è certo un
miracolo che il giorno scherzi sulla notte.
Di mattina l’uomo
della foresta se ne andò di nuovo e i due rimasero a casa a bere e mangiare; di
notte tornò, mangiarono, bevvero e dormirono insieme. Di notte udirono tutte le
fiere, e tutti gli uccelli, ululare e emettere i loro suoni: il leone ruggiva,
e così il leoncello, gli uccelli cinguettavano e gorgheggiavano – ognuno con il
proprio verso. All’inizio ebbero grande timore e non udivano i rumori degli
animali a causa dello spavento, ma in seguito iniziarono ad ascoltare e
sentirono che si trattava di una melodia canora splendida e terribile allo
stesso tempo. Ascoltarono ancora meglio e udirono una melodia davvero
bellissima, così piacevole e potente da percepire. Tutti i piaceri del mondo
non valevano niente in confronto ad essa. Concordarono di rimanere lì poiché
avevano da bere e da mangiare e erano allietati da questo grande piacere in
grado di annullare tutti gli altri che avrebbero potuto trovare nel mondo.
Il servitore
convinse di nuovo il suo padrone (ovvero, il vero figlio del re) a chiedere
all’uomo della foresta cosa fosse il suono che emettevano gli animali, e così
fece. Rispose: “Si tratta del modo in cui il sole ha fatto un vestito alla
luna. Tutte le bestie del bosco dissero: ‘La luna ci fa grandi favori poiché la
maggior parte delle nostre azioni si svolge di notte: a volte dobbiamo
avvicinarci alla città e di giorno non possiamo. Quindi poiché essa ci illumina
il cammino, vogliamo fare un canto in onore della luna’. Questa è quindi la
melodia che udite”. Quando compresero che si trattava di una melodia di questo
tipo, si misero in ascolto ancora più attentamente e realizzarono che era in
effetti bellissima e gradevole. L’uomo della foresta disse loro: “Davvero vi
suona nuova questa cosa? Io ho uno strumento, che ho ricevuto dai miei
antenati, i quali a loro volta lo ricevettero dai loro, che è composto di
foglie e fiori e quando lo si appoggia su una bestia o su un volatile
immediatamente esso inizia a ripetere questa melodia”.
Di nuovo sentirono
la risata e si fece giorno. L’uomo della foresta se ne andò e il vero figlio
del re si mise in cerca dello strumento. Lo cercò in ogni stanza ma non lo
trovò e in parte aveva anche paura di cercarlo. I due, il padrone e il
servitore, temevano di chiedere all’uomo della foresta di condurli in città.
Quando egli tornò disse loro che li avrebbe accompagnati in città, e così fece.
Prese con sé lo strumento e lo dette in regalo al vero figlio del re,
dicendogli: “Ti consegno questo strumento e, insieme al tuo servitore, saprai
come utilizzarlo”. Gli chiesero: “Dove andremo?” – “Cercate il paese che si
chiama il paese stupido e il re saggio”
– “In che direzione possiamo iniziare a cercare questo paese?”. L’uomo della
foresta indicò loro la direzione e disse al vero figlio del re: “Vai lì e
troverai la tua realizzazione”.
Così si misero in
cammino. Era loro grande desiderio incontrare un animale per provare lo
strumento che avevano ricevuto, ma non ne videro alcuno sul loro percorso.
Giunsero in città e ne trovarono finalmente uno: appoggiarono su di esso lo
strumento, che iniziò a riproporre la melodia. Girovagarono finché non giunsero
al paese che stavano cercando. Alte mura circondavano il paese e potevano
entrare solo attraverso una porta per raggiungere la quale dovettero camminare
molto. Percorsero tutte le mura finché non giunsero alla porta. Una volta
giunti lì, non volevano farli entrare perché il re era morto ed era rimasto
solo il principe. Il re aveva lasciato il suo testamento: “Poiché fino ad
adesso hanno chiamato questo paese il
paese stupido e il re saggio, da adesso lo chiameranno il contrario: il paese saggio e il re stupido. Colui
che si prenderà la responsabilità di far sì che il paese sia conosciuto di
nuovo con il suo vecchio nome (ovvero paese
stupido e re saggio), egli sarà re”. Perciò non permettevano a nessuno di
attraversare la porta, ma solo a colui il quale avrebbe accettato tale compito.
Chiesero al vero figlio del re: “Te la senti di prenderti in carica il compito
di riportare il paese al suo vecchio nome?”. Ovviamente non poteva
ingarbugliarsi con un tal incarico e quindi non entrarono. Il suo servitore
provò a convincerlo a tornare a casa ma egli non intendeva farlo, in quanto
l’uomo della foresta gli aveva detto che in quel paese avrebbe trovato la sua
realizzazione.
Nel frattempo
giunse anche un altro uomo a cavallo, che intendeva entrare in città. Ma anche
a lui, per lo stesso motivo, fu impedito l’ingresso. Il vero figlio del re vide
il cavallo e posò su di esso lo strumento: iniziò a suonare la bellissima
melodia e il cavaliere lo pregò di vendergli lo strumento– ma egli rifiutò. Gli
disse: “Cosa potresti darmi in cambio di un tale oggetto?”. Il cavaliere
rispose: “Cosa te ne fai, di questo strumento? L’unica cosa è farci degli spettacolini
e guadagnare un po’ di denaro. Ma io ho una competenza che è molto meglio di
questo oggetto: l’ho ricevuta dai miei antenati e mi dà capacità e
intelligenza. So che grazie ad essa posso dedurre il significato delle cose e
ancora non l’ho mai svelato a nessuno al mondo. Ti insegnerò quello che so, e
tu mi darai in cambio questo oggetto”. Il vero figlio del re si convinse che la
capacità di deduzione fosse davvero una cosa meravigliosa e così gli dette lo
strumento che aveva e il cavaliere gli insegnò la tecnica che conosceva.
Il vero figlio del
re, acquisita tale grande capacità, si presentò alla porta della città e
comprese che poteva prendersi la responsabilità di riportare il paese al suo
vecchio nome. Persino se ancora non sapeva come farlo, la sua nuova perspicacia
gli dava la forza di assumersi questo incarico. Decise che avrebbe ordinato che
lo facessero entrare e avrebbe portato avanti la sua missione. Cosa aveva da
perdere, in fondo? Così fece e lo lasciarono entrare.
Le guardie
informarono i ministri che avevano incontrato un uomo disposto a riportare al
paese il suo vecchio nome e lo condussero da loro. I ministri gli dissero:
“Sappi che noi non siamo sciocchi, tutt’altro: ma il re che avevamo era
talmente saggio e in confronto a lui tutti sembravamo stolti. Perciò il paese
si chiamava paese stupido e re saggio.
Quando morì il re, rimase il principe: anche lui è saggio, ma in confronto a
noi non vale granché e per questo adesso il paese si chiama paese saggio e re stupido. Il re ha
lasciato un testamento nel quale si dice che se troveremo qualcuno talmente
saggio in grado da riportare il paese al suo vecchio nome, lui sarà re. E ha
ordinato a suo figlio che, quando si troverà un tale uomo, lui dovrà
allontanarsi dal regno e quell’uomo diverrà sovrano. Ovvero, quando troveremo
un tal saggio, di fronte al quale tutti sembreranno stupidi, egli sarà re
poiché quest’uomo potrà riportare il paese alle sue origini, dove tutti saranno
niente in confronto a lui – perciò è bene che tu sappia a cosa vai incontro”.
Gli dissero
inoltre: “Se sei così saggio, la tua prova sarà questa: c’è qui un giardino che
apparteneva al defunto re, il grande saggio. Esso è meraviglioso: vi crescono
oggetti di ferro, d’argento e d’oro ed è bello e terribile al tempo stesso. Ma
non si può entrare in questo giardino, poiché chi che vi entra immediatamente
viene inseguito, ed strilla ignorando chi siano i suoi inseguitori. Viene
rincorso finché non scappa via. Se riuscirai a entrare in quel giardino,
vedremo se sei davvero saggio”. Il vero figlio del re chiese se colui che
entrava veniva picchiato. Gli risposero che la vera difficoltà era quella di
non sapere chi fossero gli inseguitori: questo era quello che avevano
raccontato coloro che avevano provato ad entrare.
Giunse così al giardino
e notò che un muro lo circondava, mentre il cancello era aperto. Non c’erano
guardie, perché ovviamente non c’era bisogno di guardie per un tal giardino:
vide che appena fuori da esso stava la statua di un uomo. Guardò e vide che
sopra quest’uomo c’era un foglio sul quale era scritto che quest’uomo era stato
il re diverse centinaia di anni fa e sotto il suo regno vi era stata pace. Fino
al suo regno c’era stata una grande stagione di guerre e così era stato anche
sotto il governo dei successivi sovrani. Ma sotto di lui, c’era stato un lungo
periodo di tranquillità.
Egli comprese,
grazie alla sua nuova avvedutezza, che tutto dipendeva da quella figura d’uomo.
Se entrando nel giardino qualcuno lo avesse rincorso, non avrebbe dovuto
fuggire ma solo mettersi accanto alla figura d’uomo ed essa lo avrebbe salvato.
Inoltre, se avesse preso quell’uomo e l’avesse sistemato in mezzo al giardino,
tutti sarebbero potuti entrare. Entrò quindi dentro e immediatamente, non
appena iniziarono a rincorrerlo andò, a rifugiarsi presso la figura d’uomo e
grazie a questa azione non gli accadde niente di male. Quelli che erano entrati
nel giardino prima di lui, e che erano stati rincorsi, scappavano via
terrorizzati e venivano percossi. Lui invece ne uscì senza alcun danno proprio
perchè si era rifugiato presso quella figura.
I ministri si
meravigliarono del fatto che era riuscito a uscire dal giardino senza problemi.
Il figlio del re ordinò che la statua dell’uomo fosse posta al centro del
giardino: così fecero e i ministri poterono entrare a loro volta.
Gli dissero:
“Nonostante tu sia riuscito in questa impresa, non possiamo – in virtù di una
sola prova – consegnare il regno nelle tue mani. Ti sottoporremo a un’altra
prova. C’è una sedia che apparteneva al vecchio re. E’ molto alta e su di essa
sono scolpiti, nel legno, animali di ogni genere. Davanti alla sedia sta un
letto, accanto al quale sta un tavolo: su di esso c’è una lampada. Dalla sedia
si ramificano delle strade, fatte di mura: esse si estendono in ogni direzione e
nessuno sa quale sia il legame fra quella sedia e le strade, le quali si
sviluppano in distanza. Là vi è un leone d’oro e se un uomo provasse ad
avvicinarsi ad esso, la bestia lo sbranerà. La strada prosegue dopo il leone e
anche sul resto delle strade sta di guardia una fiera, come ad esempio un
felino fatto di diversi tipi di metallo. Anche ad esso non ci si può avvicinare
e la strada continua dopo di lui – e così su tutte le strade, che raggiungono
tutti i luoghi del paese. Nessuno sa quale sia il legame tra la sedia, le cose
che le stanno davanti e queste strade. Perciò ti sottoporremo a questa prova:
dovrai comprendere quale sia questo legame”.
Gli mostrarono la
sedia e vide che era in effetti molto alta. Si avvicinò ad essa e vide che era
fatta dello stesso legno con cui era fatto lo strumento che gli aveva dato
l’uomo della foresta. Notò che in cima alla sedia mancava una piccola rosa, che
se fosse stata rimessa al suo posto avrebbe dato alla sedia le stesse facoltà
che aveva lo strumento. Ad uno sguardo più approfondito vide inoltre che la
rosa che mancava si trovava in basso nella sedia: si doveva rimetterla al suo
posto e così la sedia avrebbe avuto quel potere. Il defunto re aveva fatto ogni
cosa con saggezza, in modo che nessuno avrebbe capito di cosa si trattava, ma
solo una persona particolarmente saggia che avrebbe potuto cambiare e rimettere
le cose a posto come dovevano essere.
Comprese anche
quale fosse il significato del letto: bisognava spostarlo leggermente dal posto
dove era collocato e così anche per il tavolo e la lampada, che andava staccata
e spostata. E persino le bestie e i volatili dovevano essere rimessi al loro
posto – ogni uccello dove era preposto e così tutti gli altri. Il re aveva
fatto il tutto con astuzia e intelligenza, in modo che nessun uomo avrebbe
compreso il significato della disposizione: solo un grande saggio avrebbe
potuto farlo. Così il leone che stava all’inizio della strada doveva essere
spostato, e via dicendo.
Ordinò di mettere
tutte le cose in ordine: la rosa in alto invece che in basso, così come tutte
le altre cose. Esse iniziarono a diffondere una bellissima melodia e tutte le
componenti fecero quello che era loro compito fare – così gli fu consegnato il
regno. Il vero figlio del re, che era stato appena proclamato sovrano, disse
così al figlio della schiava: “Adesso comprendo che io sono il vero figlio del
re, mentre tu sei in realtà il figlio della schiava”.
Il cantore
C’era una volta un
cantore che dedicava sempre preghiere, canti e lodi al Signore benedetto. Stava
fuori città ma era abituato ad andare e venire da essa. Ogni tanto si recava da
qualcuno (ovviamente una persona semplice) e iniziava a discorrere con lui sul
significato del mondo – dal momento che non aveva altro obiettivo se non quello
di supplicare il Signore tutti i giorni della sua vita e trascorrere il tempo
assorto in preghiere e lodi. Si prodigava molto in queste discussioni che erano
in grado di svegliare l’anima, finché non riusciva a convincere il suo
ascoltatore ed egli si univa a lui nel suo operato. Non appena esso accettava,
lo portava con sé nel luogo dove dimorava, fuori città. Tale luogo era situato
di fronte a un fiume e sulla riva c’erano alberi da frutto, dai quali si
cibavano; e non si preoccupavano affatto di come erano vestiti.
Il cantore era
abituato così, a entrare in città e tentare di convincere gli uomini a servire
il Signore benedetto, seguire il suo cammino e dedicarsi alla preghiera: coloro
che accettavano di unirsi a lui venivano condotti nel luogo dove abitava fuori
città. Là si riunivano in preghiera e lodi, si confessavano, digiunavano e
stavano in penitenza. Il cantore consegnava loro degli scritti che aveva
sull’argomento di preghiere, lodi e confessioni e di questo si occupavano
finché non li avevano così interiorizzati in modo tale da fare quello che
faceva il cantore – essere in grado di avvicinare le persone al Signore
benedetto – e uno di essi riceveva da lui il permesso di entrare e uscire dalla
città per condurre sulla via della fede altre persone.
In tal modo il
cantore si occupava sempre di questo e ogni volta avvicinava persone e le
portava fuori dalla città finché la notizia del suo operato non iniziò a
diffondersi quando le persone progressivamente sparivano e non si sapeva dove
andassero a finire. Accadde quindi che il figlio di qualcuno sparì e non
sapevano dove fosse finché non lo ritrovarono. Si scoprì che il cantore
allettava le persone con la fede nel Signore benedetto, ma non si poteva
scoprire chi fosse o raggiungerlo poiché si comportava in modo astuto e si
presentava sempre in modo diverso a coloro che incontrava: ad uno si presentava
come povero, ad un altro come commerciante, a un altro in modo diverso etc.
Anche quando arrivava a parlare con qualcuno, che vedeva che non sarebbe
riuscito a convincere, parlava di altre cose finché non lo confondeva e
l’ascoltatore non capiva per quale motivo fosse davvero giunto e, di sicuro,
non pensava che fosse per avvicinarlo al Signore. Non si poteva capire che
questa era la sua vera intenzione, nonostante egli avvicinasse le persone solo
per questo motivo. Quando comprendeva che non avrebbe avuto successo con una
determinata persona, la ingannava per distoglierla dalle sue vere intenzioni.
Il cantore fece questo finché non divenne famoso al mondo: volevano
acciuffarlo, ma non era possibile.
Il cantore stava
quindi fuori città con i suoi compagni e erano assorti in preghiere e lodi al
Signore benedetto ed egli era in grado di provvedere per ciascuno di loro. Se
capiva che uno dei suoi compagni aveva bisogno, per onorare opportunamente il
Signore, di andare vestito con abiti d’oro – il cantore si preoccupava di
fornirglieli. E così anche il contrario: a volte avvicinava a sé un ricco. Lo
conduceva fuori città e comprendeva che egli aveva necessità di avere vestiti
rotti e di poco conto, e allora lo vestiva così. Intuiva i bisogni di ciascuno dei suoi
compagni, e provvedeva per ognuno di essi. Per i suoi discepoli, un digiuno o
una penitenza erano la cosa più piacevole del mondo, perché provavano piacere
per essi più che per ogni altra cosa al mondo.
C’era un paese
molto ricco, ma i modi delle persone che vi risiedevano e il loro governo erano
molto strani poiché tutto era fatto dipendere dal livello di ricchezza: il
valore di ognuno era valutato secondo quanto denaro egli aveva. Chi possedeva
molto, era molto considerato – e così via. Il modo in cui le persone erano
classificate era quindi secondo i loro possedimenti. E sovrano veniva eletto
colui che era il più ricco di tutti.
Il paese aveva delle
bandiere: chi aveva una certa quantità di denaro veniva raffigurato da una
certa bandiera, la quale aveva una certa qualità. Chi aveva un’altra quantità
di denaro era quindi rappresentato da un’altra bandiera, la quale a sua volta
aveva una certa qualità etc. Veniva calcolato quanto denaro aveva ciascuno, il
quale veniva rappresentato dalla sua bandiera, così il livello e la qualità di
ognuno erano unicamente legati alla somma dei beni che aveva.
Chi aveva un certo
numero di beni era una persona semplice: se aveva meno di quello, era una
bestia, o un volatile, etc. E presso di loro c’erano bestie cattive e volatili
– ovvero, chi aveva solo una certa somma di denaro veniva chiamato ‘leone
umano’. E così era anche per il resto degli animali: chi possedeva pochissimo
era solo una bestia o un volatile perchè tutto quello che contava per essi era
solamente il denaro e ognuno era giudicato secondo tal criterio.
Si sparse la voce
che esisteva un tale paese e il cantore sospirava e diceva: “Chissà fino a
quando possono continuare a percorrere una via così errata!” – e alcuni dei
suoi compagni, senza chiedergli cosa ne pensava, si incamminarono verso quel
paese per riportarlo sulla retta via. Provavano grande pietà per i suoi
abitanti, perché avevano questo concetto così errato del denaro, e in
particolare perché il cantore aveva detto che avrebbero continuato ad errare
sempre più. Dunque si recarono lì con la speranza di far cambiare loro idea.
Giunsero al paese
e andarono da uno – una bestia, ovviamente (ovvero un uomo che aveva così pochi
beni da essere considerato un animale) e iniziarono a parlare con lui come
erano consueti fare, dicendo che questo non era certo l’obiettivo mentre il
vero fine nella vita doveva essere servire il Signore benedetto etc., ma egli
non li ascoltava affatto poiché era già radicato negli abitanti del paese il
valore assoluto che attribuivano al denaro. Allo stesso modo iniziarono a
parlare con un altro, ma anch’esso non li ascoltò. Uno dei compagni del cantore
provò a insistere ma il suo ascoltatore gli rispose: “Oltre tutto, non ho
nemmeno tempo di parlare con te!” – “Perché?” – “Perché siamo tutti pronti ad
andarcene da questo paese, verso un altro: abbiamo visto che la cosa più
importante al mondo sono i possedimenti e in virtù di ciò abbiamo deciso di
recarci in un posto dove possiamo aumentare i nostri guadagni. Là c’è della
polvere dalla quale si possono ricavare oro e argento e pertanto dobbiamo
metterci immediatamente tutti in viaggio e andare lì”.
Decisero anche che
volevano avere stelle e segni zodiacali – ovvero, che chi aveva una certa,
elevata, somma di denaro sarebbe stato una stella in quanto la quantità di
denaro che aveva gli dava la forza di quella certa stella, la quale era
responsabile di convertire la polvere in oro. Infatti, è grazie alla stella che
in quel certo luogo si trova la polvere che diviene oro. E quindi, siccome
l’oro è attirato dalle stelle e chi ha tanto oro possiede la forza della stella
– è in sé stesso una stella. Inoltre volevano che ci fossero presso di loro i
segni zodiacali: se qualcuno possedeva una certa somma (che avevano fissato),
egli sarebbe stato un segno zodiacale. Perciò si fecero degli angeli, tutto
secondo la quantità di denaro, finché non concordarono fra di loro che
avrebbero avuto anche una divinità: chi aveva moltissimo denaro, come avevano
deciso, lui sarebbe stato il Dio: dal momento che Dio ha così tanta ricchezza,
allora doveva essere egli stesso un Dio. E così fecero.
Dissero anche che
non sembrava loro opportuno rimanere in questo mondo e immischiarsi con le
persone comuni, in modo che non li contaminassero poiché il resto del mondo era
considerato da loro impuro. Decisero che avrebbero cercato le montagne più alte
nel mondo e si sarebbero sistemati lì, in modo da essere sopraelevati rispetto
al mondo. Inviarono alcuni di loro a cercare le montagne più alte e le
trovarono. Tutti i residenti del paese si trasferirono lì: su ogni monte si era
sistemato un gruppo. Intorno a ogni monte costruirono fortificazioni e c’erano
tutt’intorno enormi scavi al punto che era impossibile raggiungere il passe,
dal momento che c’era solo un sentiero nascosto che conduceva alla cima del
monte e nessuno straniero poteva percorrerlo. Posero delle guardie a protezione
di ogni monte, in modo che nessuno di avvicinasse. Risiedevano quindi sui monti
e si comportavano come avevano sempre fatto. Avevano molte divinità, secondo la
quantità di denaro.
Siccome quello che
contava di più per loro era appunto il denaro, fino al punto che tramite esso
potevano divenire dèi, temevano molto gli omicidi e i furti in quanto ognuno
voleva essere una divinità grazie al denaro che poteva procurarsi. Ma dissero
che la loro divinità (il più ricco di tutti) li avrebbe protetti da tali
nefasti eventi. Compivano rituali e sacrifici dedicati a quella divinità.
Compivano anche sacrifici umani: si dedicavano alla divinità in modo da poter
divenire parte di essa e reincarnarsi ancora più ricchi. Tutto questo perchè il
centro della loro fede era il denaro. Avevano rituali, sacrifici e incensi per
mezzo dei quali onoravano la divinità ma nonostante ciò c’erano moltissimi casi
di omicidio e furto: colui che non partecipava a questi rituali uccideva e
rubava in modo da accumulare denaro e poter comprare cibo e vestiario. Così il
denaro era diventata la loro fede.
Cercavano di fare
in modo che non mancasse mai loro denaro, nucleo della loro fede e loro
divinità: anzi, dovevano fare in modo di aggiungere altro denaro a quello che
già avevano, portandolo da altri paesi. Dal paese partivano quindi commercianti
per guadagnare sempre di più e portare il denaro a casa. L’elemosina era
ovviamente una cosa ignobile e vietata presso di loro poiché diminuiva la
quantità di capitale che la divinità dava loro. Era assolutamente proibito
dunque fare donazioni e elemosina. C’erano anche dei responsabili che dovevano
controllare che ognuno possedeva veramente la quantità di denaro che dichiarava
di possedere, in quanto ognuno doveva dimostrare la propria ricchezza per poter
rimanere nel livello che gli garantiva quello che possedeva. Talvolta da
animale qualcuno diveniva uomo e viceversa – chi perdeva i propri beni da uomo
diveniva una bestia che non possedeva denaro, e così al contrario, chi
guadagnava di più diveniva da animale a uomo. Tutto questo valeva anche per le
altre qualità che venivano misurate in base al denaro. Tutti avevano statue e
ritratti della divinità che abbracciavano e baciavano – poiché questa era la
loro fede e osservanza.
I compagni del
cantore tornarono a casa loro e riferirono al cantore il mortale errore nel
quale viveva il paese: come i suoi residenti erano persi dietro all’amore per
il denaro e come volevano trasferirsi in un altro luogo per divenire stelle e
segni zodiacali. Il cantore rispose: “Ho la sensazione che cadranno sempre più
in errore!” – e gli raccontarono che si erano costruiti una divinità. Disse
loro che questa era la cosa che più temeva. Il cantore li compativa grandemente
e decise di recarsi lì in persona perché forse li avrebbe potuti rimettere
sulla retta via. Si mise in cammino e giunse presso le guardie che custodivano
il monte. Ovviamente, le guardie erano persone poco importanti e potevano
quindi essere immersi nell’aria del mondo in basso: quelli che invece avevano
tanto denaro, non potevano assolutamente confondersi con questo mondo e con la
sua aria in modo da non divenire impuri e non potevano nemmeno parlare con le
persone che avrebbero potuto renderli impuri tramite il respiro che usciva
dalla loro bocca.
Anche le guardie
avevano le statue della divinità che baciavano e abbracciavano poiché anche il
nucleo della loro fede era il denaro. Il cantore giunse presso una di esse e
iniziò a parlare del senso ultimo della vita, dicendo che esso era servire il
Signore, la Torah, la preghiera, le buone azioni e così via, e che i beni
materiali erano una sciocchezza senza senso. Ma la guardia non lo ascoltò
affatto perché era così radicato in essi il concetto che la cosa più importante
fosse il denaro. Andò quindi dalla seconda guardia, alla quale disse le stesse
cose senza però venir ascoltato. Passò da tutte le guardie, ma nessuna gli
prestò attenzione. Decise allora di entrare proprio dentro la città che stava
sul monte. Quando vi giunse si meravigliarono molto di come aveva fatto a
entrare poiché non era possibile per alcun uomo ‘normale’ giungere fin lì.
Disse loro: “Poiché sono già entrato – non importa come – perché mi chiedete
come ho fatto?” – e iniziò a parlare con uno di loro del senso della vita, ma
anch’egli non lo ascoltò. E così via con tutte le persone che incontrava – che
erano ormai immerse nella loro eresia. I residenti del paese si meravigliarono
molto del fatto che un uomo era giunto da loro e parlava con loro di cose
contrarie a quello che credevano e iniziarono a sospettare che egli fosse il famoso
cantore di cui si parlava. Avevano sentito parlare di lui infatti, ed era
conosciuto come il ‘cantore pio’, ma non avevano potuto riconoscerlo né
prenderlo perché egli era uso cambiare aspetto con tutte le persone che
incontrava: con qualcuno si mostrava come commerciante, con un altro povero, e
così via.
E immediatamente
riuscì a scappare anche di lì.
Nello stesso
tempo, c’era un eroe intorno al quale si erano stretti altri prodi e insieme
avevano conquistato diversi paesi. Egli non desiderava nient’altro che i
conquistati si arrendessero a lui e quando questo accadeva, li lasciava vivere
in pace. Ma se non lo facevano, li distruggeva. Non desiderava alcun
possedimento, ma solo che i suoi nemici si arrendessero. Il suo modo di fare
era questo: inviava i suoi emissari nel paese prescelto, mentre egli si trovava
ancora lontano, a circa 200 miglia, con la sua richiesta di capitolazione. E
così conquistava i paesi.
I commercianti che
vivevano nel paese in cima al monte tornarono alle loro case e raccontarono
quanto avevano sentito su questo conquistatore – e tutti erano terrorizzati
all’idea. Nonostante potessero essere d’accordo nell’arrendersi a esso, udirono
che egli non era interessato al denaro e questo era proprio il contrario di ciò
in cui credevano: era dunque impossibile per loro porsi sotto il suo comando
perché essi lo ritenevano un eretico, in quanto non aveva come loro fede nel
denaro. Lo temevano molto. Iniziarono a compiere rituali e offrire sacrifici
alla loro divinità: prendevano una bestia (ovvero chi aveva poco denaro ed era
considerato presso di loro una bestia) e la offrivano alla divinità insieme ad
altri rituali.
L’eroe si
avvicinava al paese e iniziò a inviare presso di loro alcuni dei suoi emissari
che riferissero quali erano le sue richieste – come era solito fare. Gli
abitanti del paese erano molto intimoriti e non sapevano cosa fare. Quelli fra
loro che si occupavano di commercio dissero questo: “Siamo stati in un paese
nel quale tutti sono forme di divinità e si accompagnano agli angeli. Tutte le
persone che abitano là sono molto ricche, al punto che il più povero fra loro è
anch’esso una forma di divinità. Procedono insieme agli angeli, cavalcando
destrieri ricoperti d’oro e materiali preziosi. La coperta di un cavallo vale
come un angelo: pertanto sembra che leghino tre coppie di angeli in fronte al
loro carro e così viaggiano. Il nostro consiglio è quello di inviare emissari
presso quel paese e sicuramente là potranno aiutarci poiché tutto il paese è
composto da forme di divinità”. Il loro intervento fu molto ben apprezzato,
poiché credevano che di lì sarebbe venuta la salvezza.
Il cantore decise
che sarebbe tornato nel paese in cima al monte: forse nonostante tutto sarebbe
riuscito a farli tornare sulla retta via. Si recò là e si presentò alle guardie
e iniziò, come era solito fare, a conversare con esse. Gli raccontarono la
storia dell’eroe che avanzava e del timore che incuteva negli abitanti. Il
cantore domandò: “Cosa intendete quindi fare?”. Gli dissero che intendevano chiedere
aiuto al paese dove tutti erano divinità. Egli rise sarcasticamente e disse
loro: “Ma questa è tutta un’enorme fesseria! Anche gli abitanti di quel paese
sono esseri umani come noi, così come voi e i vostri dei! Di Signore ce n’è
solo uno al mondo e lui è il Santo benedetto creatore del mondo e solo lui va
onorato e pregato. Questa è la sostanza di tutto!”. Tali furono le cose che
disse alle guardie. Ma non lo ascoltarono in quanto l’errore si era radicato in
loro da molto tempo. Nonostante ciò il cantore insisté, finché una guardia non
gli disse: “In ogni caso, cosa potrei fare io? Sono solo al mondo e ho contro
di me i molti abitanti del paese!”. Questa risposta fu una sorta di
consolazione per il cantore poiché comprese che in qualche modo le sue parole
stavano facendo presa sulla guardia. Le cose che la guardia aveva detto la
prima volta e quanto diceva invece adesso erano divenute una cosa sola, e
adesso davano l’impressione che la guardia fosse un po’ dubbiosa e tendesse
verso quello che il cantore gli aveva detto – o così almeno sembrava dalla sua
risposta. Così il cantore si rivolse alla seconda guardia e parlò anche con
essa; all’inizio non lo ascoltò ma alla fine gli rispose così: “Sono solo
contro tutti gli abitanti del paese!” – e così gli risposero progressivamente
tutte le altre guardie. Il cantore quindi entrò di nuovo in città e parlò alla
gente come era solito fare, spiegando loro che stavano commettendo un grande
errore e che non erano focalizzati sul senso ultimo della vita, che è quello di
occuparsi di Torah e preghiera. Ma nessuno lo ascoltava poiché da troppo tempo
si erano dimenticati di questa verità. Gli raccontarono dell’eroe e dissero che
volevano chiedere aiuto al paese dove tutti erano forme di divinità, ma lui si
prese gioco di loro. Disse che era una sciocchezza e che tutti erano esseri
umani che di sicuro non avrebbero potuto aiutarli poiché tutti erano semplici
esseri umani e nessuno di loro era divino. “C’è un solo Signore benedetto!”.
Per quanto riguardava l’eroe, disse loro con fare perplesso: “Si tratta forse
di quello stesso eroe che io conosco?” – ma non compresero quanto diceva a
proposito di esso. Così andava di casa in casa e parlava con la gente e sulla
questione dell’eroe poneva la stessa domanda, ma nessuno lo capiva.
Si diffuse in
città la voce che c’era qualcuno che parlava così, che si prendeva gioco della
loro fede e diceva che c’è un solo Dio e che – per quanto concerne l’eroe –
diceva quello che diceva. Compresero che si doveva trattare proprio del
cantore, in quanto già si era fatto un nome presso di loro. Ordinarono che lo
ricercassero e lo imprigionassero, anche se – come sapevano – ogni volta
cambiava aspetto per confonderli. Ordinarono di spiarlo e catturarlo. Lo
cercarono finché non riuscirono a prenderlo e lo condussero dai ministri.
Iniziarono a parlare con lui ed egli ripeté la sua versione dei fatti – che
tutti vivevano nell’inganno e non c’era alcun senso in quello in cui credevano
ma che il Signore benedetto era uno solo e via dicendo. Aggiunse inoltre che
gli abitanti di quel paese che ritenevano essere divinità non avrebbero potuto
aiutarli affatto in quanto si trattava di semplici esseri umani. Tutti
credevano che fosse pazzo poiché tutti erano così accecati dal fatto del denaro
che quando qualcuno proponeva qualcosa di diverso da quello in cui credevano,
era giudicato un folle.
Gli chiesero:
“Cosa intendi quando chiedi se si tratta di quell’eroe che tu conosci?”.
Rispose: “Mi trovai presso un re, nel cui regno andò smarrito un eroe. Se
quello di cui parlate è lo stesso che stava presso il re – lo conosco. E a
parte questo, il fatto che voi vi fidate del paese dove pensate che tutti siano
divinità, è una sciocchezza: essi non potranno affatto aiutarvi. A mio parere,
se vi fiderete di loro – questo sarà il motivo della vostra caduta”. Gli
risposero: “Come fai a essere così sicuro?” – “Quel re aveva una mano – ovvero,
un dipinto di una mano con cinque dita – con tutte le linee che ci sono sulla
mano. Essa era la mappa di tutti i mondi e tutto ciò che andava dalla creazione
del cielo e della terra fino alla fine del mondo – tutto era disegnato su
quella mano. Nelle linee della mano era dipinta la collocazione di ogni mondo
con tutti i suoi dettagli, come è disegnato su una mappa. Nelle linee c’erano
anche delle lettere, nello stesso modo in cui sulle mappe ci sono le
descrizioni in modo che chi le guarda sappia che qui si tratta di una certa
città, di un certo fiume e via dicendo. Nelle linee della mano c’erano quindi
delle vere e proprie lettere che indicavano ogni cosa nella sua specificità. E
anche i dettagli di ogni paese, città, fiumi, ponti e montagne e tutto il resto
– tutto era dipinto sulle linee di quella mano. Ogni cosa era indicata con
delle lettere. Anche tutti gli uomini di ogni paese e tutti gli avvenimenti che
li riguardano, tutto era scritto lì. Vi erano scritte anche le strade che
conducono da un paese all’altro e da un paese all’altro e grazie a ciò sapevo
come fare a entrare in questa città – cosa che nessun altro può fare. Allo
stesso modo, se vorrete mandarmi in un’altra città saprò come fare a
raggiungerla, tutto grazie alla mano. Vi era anche indicata la via da un mondo
all’altro poiché c’è una via e un sentiero tramite i quali si può salire dalla
terra al cielo e tutte queste strade che collegano fra i mondi sono lì
riportate: Elia è salito al cielo passando per una certa strada (e lì vi era
indicata), il nostro maestro Mosè è salito al cielo per la sua via, sempre
indicata sulla mano, e anche Hanoch è salito al cielo tramite la via lì disegnata.
Da un mondo all’altro, tutto era riportato sulle linee di quella mano. Vi era
anche scritto tutto ciò che era accaduto dalla creazione del mondo, al
presente, al futuro. Per esempio, Sodoma: era disegnato quello che succedeva lì
prima che la città fosse distrutta e c’era disegnata anche la sua rovina, come
essa avvenne, e c’era anche il disegno di Sodoma dopo la caduta poiché sulla
mano era riportato il passato, il presente e il futuro. Su quella mano vidi che
nel paese di cui parlate, dove pensate che tutti siano divinità e che possano
aiutarvi, tutti moriranno”.
Si meravigliarono
molto di questa storia perché sembrava che fosse proprio vera. Era risaputo
infatti che su quella mappa del mondo erano riportate tutte queste cose.
Compresero che le sue parole sembravano vere anche perché era possibile unire
insieme due linee della mano per produrre una lettera, ed era impossibile
inventare questa storia. Gli chiesero: “Dove si trova questo re? Forse ci
indicherà il modo di arricchirci” – “Siete ancora interessati al denaro? Non
parlate con me di questo argomento, affatto!” – “In ogni caso...dove si trova
questo re?” – “Io non so dove si trova, ma questa è la storia. C’erano un re e una regina e avevano una sola
figlia che si avvicinava all’età da marito. Organizzarono un consiglio per
stabilire chi fosse bene che si sposasse con lei e io presi parte a questo
consiglio, perché il re mi teneva in grande considerazione. La mia proposta fu
quella che si sposasse con l’eroe di cui abbiamo parlato, poiché egli aveva
conquistato diversi paesi e dunque era opportuno che gli dessero la figlia del
re in moglie. Essi accettarono favorevolmente la mia proposta e ci fu grande
gioia per il fatto che era stato trovato un promesso sposo per la principessa.
Si celebrarono le nozze ed essa partorì un figlio maschio. Il bimbo era
bellissimo, non c’era una bellezza simile al mondo. I suoi capelli erano d’oro
e avevano tutte le sfumature; il suo volto era come quello del sole, i suoi
occhi erano luci. Nacque con una saggezza completa. Immediatamente appena
nacque si vide che era un grande saggio: quando le persone parlavano accanto a
lui, rideva quando era opportuno ridere
e via dicendo. Riconobbero che era un grande saggio ma ancora non si
comportava come gli adulti – ovvero, non parlava etc. Presso il re c’era un
giullare, che parlava con il sovrano in modo scherzoso ma intelligente con
discorsi meravigliosi, lodi e canti. Il giullare aveva in sé molto talento, ma
il re gli mostrò come poter raggiungere la forza della saggezza nella retorica
e nel canto. Grazie a ciò era davvero qualcosa di particolare. Stava presso il
re anche un sapiente, di per sé molto di talento – ma il re gli mostrò come
migliorarsi sempre più e divenne un saggio eccezionale. Così, allo stesso modo,
anche l’eroe era eroico in sé ma il re lo aiutò a divenire sempre più forte per
cui divenne un eroe singolare in tutto e per tutto. Questo perché c’è una spada
che è appesa nell’aria del mondo e possiede tre qualità: quando la si solleva,
fuggono tutti i comandanti degli eserciti e dunque sono sconfitti – perché
quando i comandanti si ritirano non rimane nessuno a condurre la guerra. Ma
nonostante ciò i soldati rimasti possono continuare a combattere. Questa spada
ha due punte, ognuna delle quali possiede un potere particolare. Una punta ha
il potere di uccidere mentre la seconda quello di far ammalare: la carne di chi
viene colpito da questo potere marcisce e si scioglie. Come si sa, questo
malanno – Dio ci aiuti! – può essere causato solo dal movimento fatto con la
spada in un certo punto. E dunque, ognuna delle punte ha il suo potere. Il re
fece vedere all’eroe la strada per giungere a quella spada, dalla quale trasse
la sua forza. Il re mostrò anche a me la mia strada: da lì ottenni ciò di cui
avevo bisogno. Il re aveva anche un amico fedele, che amava moltissimo, tanto
che era impossibile che i due non si vedessero per più di un’ora: ovviamente
c’erano delle ore durante le quali dovevano stare separati. Ma avevano due
statue che li raffiguravano insieme e quando non erano insieme si consolavano
con queste sculture, che rappresentavano come il re e il suo fedele amico si
amavano, si abbracciavano e si baciavano con grande affetto. Le statue avevano
un potere particolare: chi le guardava, era travolto da sentimenti d’amore.
Anche l’amico fedele ricevette indicazioni dal sovrano su come migliorare se
stesso e c’era un tempo nel quale ognuno di essi si recò nel posto che gli era
stato indicato dal re per esprimere al meglio le proprie capacità: ovvero il
giullare e tutte le altre figure andarono nel ‘proprio’ posto per divenire
sempre più forte. Un giorno ci fu una enorme tempesta nel mondo, che lo
sconvolse e trasformò la terra in acqua e le acque in terra mentre il deserto
divenne un luogo abitato e le città divennero deserti. La tempesta arrivò anche
nel palazzo del re e lì non fece alcun danno ma quando entrò il vento portò via
con sé il figlio della principessa: nel grande trambusto, quando fu rapito il
piccolo principino, la principessa lo rincorse e così fecero anche il re e la
regina finché tutti non furono sparsi e non si potevano più trovare. Noi tutti
non fummo presenti a questo evento proprio perché eravamo andati a recuperare
le nostre forze ognuno nel suo posto: quando tornammo non trovammo nessuno a palazzo:
anche la mano era andata perduta. Da qual momento ci separammo tutti. Nessuno
poteva più andare nel luogo preposto a ricevere nuova forza, perché dopo che il
mondo era stato sconvolto e dopo che si erano scambiati tutti i posti nel mondo
(da terra a mare e così via)...è ovvio che le strade che usavamo un tempo non
sarebbero state più le stesse. Avremmo dovuto conoscere nuovi itinerari e
quindi non potemmo tornare ai vecchi luoghi per rafforzarci. Ma nonostante ciò,
la forza che era rimasta ad ognuno di noi era comunque notevole e se l’eroe di
cui parlate è davvero l’eroe che io conosco...allora si tratta di un
personaggio davvero straordinario”. Essi udirono le sue parole e si
meravigliarono molto. Volevano che il cantore rimanesse presso di loro e gli
impedirono di andare via, anche nel caso in cui l’eroe fosse giunto e avrebbe
così potuto riconoscere il vecchio conoscente.
L’eroe nel
frattempo si avvicinava e ogni volta inviava emissari finché non si avvicinò
alla città: gli abitanti tremavano di paura e chiesero al cantore di dare loro
un consiglio. Egli rispose gli bisognava cercare di comprendere come l’eroe si
comportava e agiva per poter capire se si trattava della stessa persona. Si
recò quindi da lui nel suo campo e iniziò a parlare con uno dei suoi
sottoposti, chiedendogli: “Cosa fate qui? E come vi siete riuniti sotto questo
eroe?” – “Ti racconterò una storia. Nelle nostre cronache è riportata la
tempesta che scosse il mondo nella sua interezza. Dopo quella confusione gli
esseri umani decisero che si sarebbero dati un sovrano e cercarono chi potesse
essere adatto al ruolo. Siccome la cosa più importante era il senso della vita,
colui il quale avrebbe fatto gli sforzi maggiori per raggiungerlo – egli
sarebbe stato re. Iniziarono quindi a cercare di capire quale fosse questo
senso ed erano divisi in gruppi. Uno di essi disse che l’obiettivo ultimo era
l’onore poiché esso è la cosa più importante in tutto il mondo. Quando non si
dà onore agli uomini dicendo qualcosa contro di esso, infatti, succedono casi
di omicidio. Persino dopo che qualcuno muore si cerca di dare al morto l’onore
che merita, seppellirlo con onore e via dicendo. Quindi anche se dopo che uno
muore le sue ricchezze o i suoi desideri non contano più – si preserva il suo
onore. E quindi esso è il senso della vita. Perciò pensavano che fosse
necessario trovare un uomo onorevole e che fosse interessato a cercare e
mantenere lo stesso onore, in quanto con le sue azioni avrebbe incoraggiato
l’onore che va dato al mondo. Ovvero, questo uomo avrebbe inseguito l’obiettivo
della vita e l’avrebbe raggiunto – e perciò avrebbe avuto le qualità per essere
re. Andarono a cercare un tale uomo e
scoprirono che c’erano 500 uomini, tutti zingari, che portavano in spalla un
vecchio mendicante. Anche lui era un gitano: era cieco, gobbo e muto e i 500
che lo seguivano erano tutti suoi familiari poiché aveva fratelli, sorelle e
moltissimi amici intimi – che si erano aggregati tutti insieme e lo seguivano.
Egli aveva molta considerazione del suo onore. Era una persona che si
arrabbiava facilmente e ogni volta si comportava male con tutti quello che lo
circondavano: pretendeva che lo portassero in spalla, ogni volta persone
diverse, e ogni volta si adirava con quelli che lo portavano. Si scoprì che il
vecchio mendicante era persona molto ambiziosa e voleva che lo ossequiassero
sempre – perciò a questo gruppo egli piacque molto e lo accettarono come re.
Trovarono anche un luogo adatto, poiché ci sono paesi che sono fatti per questo
e paesi che sono adatti a qualità diverse. Così il nostro gruppo si scelse una
terra adatta e si stabilì lì. Un altro gruppo disse che invece non è l’onore il
senso ultimo – quanto l’omicidio. Questo perché è evidente che ogni cosa
finisce e va perduta e tutto ciò che c’è nel mondo (piante, arbusti, uomini) –
tutto deve disintegrarsi e sparire. L’omicida, che uccide e fa svanire gli
uomini, è quello che può aiutare il mondo a arrivare al suo scopo finale:
l’assassinio. Cercarono quindi un candidato che fosse omicida, iroso e geloso perché
un uomo del genere sarebbe stato il più vicino possibile alle loro esigenze e
sarebbe stato re. Nella loro ricerca udirono delle grida e chiesero cosa
fossero: fu risposto loro che l’urlo era imputabile al fatto che qualcuno aveva
sgozzato suo padre e sua madre. Si dissero che non poteva esserci un omicida
più violento e iroso di quello che uccide i propri genitori e quindi egli
doveva essere colui il quale aveva raggiunto l’obiettivo. Così lo fecero re.
Cercarono un paese adatto agli assassini e si sistemarono in un posto di
montagne e colline, dove vivevano con il loro re. Un altro gruppo disse invece
che doveva regnare colui che aveva molto da mangiare e non aveva bisogno di
niente da nessuno, se non di poche cose quotidiane quali il latte. Un uomo così
sarebbe stato adatto a governare. Ma non trovarono immediatamente un uomo che
non necessitava di alcun alimento e quindi temporaneamente si scelsero un uomo
ricco che aveva molto da mangiare finché non avrebbero trovato proprio colui
che cercavano. Fecero quindi re il ricco, che avrebbe dovuto rinunciare al
regno nel momento in cui avessero trovato il candidato ideale. Scelsero anche
loro un paese adatto e si sistemarono lì. Un altro gruppo disse che era giusto
che regnasse una donna bellissima, perché la cosa più importante al mondo è che
ci siano esseri umani – perché in fondo questo è il motivo per cui il mondo è
stato creato. Dal momento che una bella donna può indurre la riproduzione, lei
avrebbe dovuto essere considerata adatta a regnare. Si scelsero così una regina
di bellissimo aspetto, si sistemarono in una terra opportuna e vissero lì. Un
altro gruppo decise che la cosa più importante era il parlare: perché ciò che
distingue l’uomo dalla bestia è la facoltà della parola e poiché questo è il vantaggio
principale dell’uomo, questa doveva essere la cosa più importante. Così si
scelsero un oratore che conoscesse molte lingue e amasse dialogare: un uomo
così sicuramente aveva raggiunto l’obiettivo della vita. Trovarono un pazzo,
francese, che parlava da solo: sapeva dialogare, conosceva lingue e parlava
moltissimo – persino con se stesso! Perciò lo scelsero come re e si sistemarono
con lui in un paese adatto. E si può dire che egli li guidava in modo retto. Un
altro gruppo decise che la cosa più importante è la gioia: quando nasce un
figlio, si gioisce; quando c’è un matrimonio, si gioisce; quando si conquista
un paese, si gioisce. Quindi la cosa più importante è la gioia. Perciò
cercarono qualcuno che fosse sempre contento e pertanto avesse già raggiunto
l’obiettivo – ed egli sarebbe stato loro re. Trovarono un incirconciso che
andava a giro con abiti sciatti e portava sempre con sé una piccola
bottiglietta d’alcool. Lo seguivano altri come lui, ed egli era sempre contento
in quanto era sempre ubriaco. Videro quest’uomo gioioso, senza preoccupazioni,
che piacque loro: lo fecero re e anche lui li governava in modo giusto. Si
stabilirono in una terra adatta alle loro esigenze, un luogo pieno di vigneti
dove poter fare vino e dagli acini alcool. Niente sarebbe andato sprecato
perché per loro la cosa più importante era bere, ubriacarsi e essere sempre
lieti anche se non c’era una motivazione specifica per la loro gioia perchè non
avevano niente per cui essere contenti. Ma questa era l’idea: essere felici sempre,
senza motivo. Trovarono una terra adatta e lì si sistemarono. Un altro gruppo
pensò che la cosa più importante fosse l’intelligenza, cercarono un sapiente da
nominare re e si stabilirono in un paese adatto. Un altro gruppo disse che la
cosa più importante era mangiare, bere e essere corpulenti. Cercarono una tale
persona, che mangiasse molto: a causa della sua grandezza egli occupava più
posto nel mondo e essendo vicino all’obiettivo finale avrebbe quindi dovuto
regnare. Trovarono un uomo molto corpulento e lo fecero re. Anche loro si
sistemarono in una terra adatta. Un altro gruppo disse che il senso ultimo
della vita, la cosa più importante era quella di pregare il Signore benedetto,
essere umile e remissivo. Cercarono un cantore e lo fecero re”.
Tutto questo lo
raccontò uno degli eroi al nostro cantore.
Gli raccontò che
loro facevano parte del gruppo che si era dato come re l’uomo corpulento. Un
giorno un gruppo di loro procedeva con i carri che contenevano tutto il loro
equipaggiamento e le persone li temevano poiché erano corpulenti e vigorosi e
colui che li incontrava sulla via faceva loro strada. Quando la colonna era
passata, davanti a loro si presentò il nostro eroe: egli non fece loro strada
ma entrò dentro la colonna e la sparpagliò. Si spaventarono molto. Entrò nei
carri e mangiò tutto quello che c’era: si stupirono di quello che aveva fatto,
più che altro perché non aveva avuto timore né di affrontare il gruppo né di
mangiare quanto avevano. Immediatamente si inginocchiarono di fronte a lui e dissero:
“Lunga vita al re!”. Sapevano infatti che un simile eroe avrebbe dovuto regnare
perché secondo loro la cosa più importante era essere corpulenti e di certo il
loro re avrebbe rinunciato al suo regno per far posto a qualcuno che era più
adatto di lui nel compito. E così fu: egli divenne re e si trattava proprio di
quell’eroe insieme al quale adesso essi andavano alla conquista del mondo.
L’eroe sosteneva che non avrebbe conquistato il mondo perché fosse sotto il suo
dominio, ma che la sua intenzione era un’altra.
Il cantore chiese
al suo interlocutore: “Cosa ha di così speciale, questo eroe, per essere il
vostro re?” – “In un paese non vollero arrendersi a lui e l’eroe prese la spada
che ha con sé: questa spada ha tre poteri. Quando la si solleva, tutti i
comandanti dell’esercito fuggono; quando si usa una delle sue punte....” – e
gli descrise i poteri della spada. Da ciò il cantore comprese che si trattava
dello stesso eroe che era andato perduto nella terra del re. Il cantore chiese
di poterlo incontrare di persona. Gli fu risposto che avrebbero chiesto
all’eroe se dava il permesso. Così fecero e egli acconsentì. Quando il cantore
approcciò l’eroe, si riconobbero a vicenda e furono molto lieti di essersi
ritrovati: risero e piansero insieme perché si ricordarono del grande re e di
tutti gli altri.
Si raccontarono
come erano giunti nello stesso luogo. L’eroe raccontò della tempesta, a causa
della quale tutti si erano sparpagliati, e disse che quando era tornato nel
luogo dove trovava la sua forza, non aveva ritrovato il re e tutti i suoi
consiglieri. Iniziò quindi a girovagare e comprese dove si trovava ognuno di
loro: comprese che era passato dal luogo di ciascuno di loro, che il re si
trovava lì – ma non poteva trovarlo. E quindi giunse in un altro posto, dove si
trovava la regina, ma non riuscì a trovarla. Così fu per tutti gli altri
consiglieri. “Ma” – disse – “nel luogo dove stavi tu non sono mai passato”. Il
cantore rispose: “Io sono riuscito a passare nel luogo dove si trovavano tutti
e anche in quello dove eri tu. Perché in uno di essi vidi la corona del re e
compresi che lì di certo si trovava il sovrano, ma non potei trovarlo. E così
continuai nel mio cammino, vidi un mare di sangue e compresi che era fatto
delle lacrime della regina che piangeva per tutto quello che era successo e
certamente la regina era lì, ma non riuscii a trovarla. Vidi poi un mare di
latte e compresi che era composto dal latte della principessa, il cui figlio
era andato perduto, e alla quale era rimasto tutto il latte da dare al suo
piccolo; certo si trovava là ma non poteva essere trovata. Passai oltre e vidi
i capelli d’oro del neonato, ma non li toccai. Sapevo che era lì, ma non poteva
essere trovato. Passai oltre un mare di vino e sapevo che esso era composto
dalle parole del giullare, che prestava le sue condoglianze al re e alla
regina, e poi alla principessa. Da quelle parole era nato un mare di vino, come
è scritto ‘Il tuo palato è vino buono (Cantico dei Cantici: 7,10)’ – ma non
trovai il giullare e continuai nel mio cammino. Vidi una pietra sulla quale era
incisa la figura della mano con le sue linee e compresi che qui doveva trovarsi
il sapiente che stava presso il re: lui doveva aver fatto quella incisione ma
non era possibile trovarlo. Continuai ad andare e vidi che su un monte erano
sistemati tavoli d’oro e cose preziose insieme a tutti i tesori del re e
compresi che lì si doveva trovare il ministro del tesoro – ma non poteva essere
trovato”. Gli rispose l’eroe: “Anche io sono passato in tutti quei posti. Presi
alcuni dei capelli d’oro del neonato: ne presi sette, che avevano tutte le
sfumature, e sono molto preziosi per me. Mi trovavo nel luogo dove mi ero
sistemato e mi nutrivo di quello che potevo – erba e cose simili – finché non
mi rimase niente da mangiare e mi incamminai senza una precisa meta. Quando
abbandonai la mia dimora, là dimenticai il mio arco”. Il cantore gli disse: “Ho
visto il tuo arco e sapevo che certamente ti apparteneva, ma non riuscii a
localizzarti”. L’eroe seguitò nel suo racconto e gli disse che quando se ne era
andato, si era messo in cammino finché non aveva trovato il gruppo degli uomini
corpulenti e li aveva affrontati in quanto era molto affamato e voleva
mangiare: “Quando mi feci avanti, mi scelsero come re! Adesso ho intenzione di
conquistare il mondo e spero di poter trovare il re con i suoi consiglieri”. Il
cantore chiese all’eroe cosa avrebbero fatto degli uomini abbagliati dalla
ricchezza, che erano giunti a credere in tali sciocchezze fino al punto che i
più abbienti erano diventati i loro dei e cose simili. L’eroe disse al cantore:
“Una volta sentii dire dal re che si può sempre recuperare qualcuno che cade
preda di un vizio: ma chi cade vittima del denaro e della ricchezza, non può
essere salvato. Non potrai quindi aiutarli in alcun modo”. Ma aveva sentito
dire dal re che grazie alla spada dalla quale traeva la sua forza era possibile
salvare chi era caduto vittima del fascino della ricchezza. Si trattennero lì
insieme. Per quanto riguardava gli uomini vittime della ricchezza che avevano
inviato il cantore dall’eroe – fu detto loro che avrebbero avuto un po’ più
tempo prima di doversi arrendere. Il cantore e l’eroe si dettero dei segnali in
modo da poter rimanere in contatto: e così, il cantore si rimise in cammino.
Sulla strada, vide
persone che pregavano e recitavano porzioni di orazioni: si spaventarono di lui
e anche lui si spaventò di loro. Si fermò a pregare insieme a loro e chiese:
“Chi siete?” – “Quando ci fu la tempesta, tutti gli esseri umani furono
sparpagliati secondo la loro tipologia: ognuno scelse quello in cui credeva e
noi scegliemmo di pregare sempre il Signore benedetto e cercammo un cantore da
eleggere a nostro re”. Quando il cantore udì le loro parole fu molto lieto,
poiché questo era ciò che desiderava. Iniziò a parlare e rivelò loro l’ordine
delle sue orazioni, delle preghiere e tutto ciò che conosceva. Quando udirono
le sue parole spalancarono gli occhi e presero atto della grandezza di
quest’uomo, che immediatamente elessero a loro sovrano. Il loro re aveva
infatti rinunciato al suo incarico quando aveva visto la grandezza spirituale
del nostro cantore, che iniziò a studiare con loro e aprì i loro occhi finché
non li rese dei grandissimi giusti. Essi erano già persone giuste, ma il
cantore li rese qualcosa di eccezionale. Inviò una missiva all’eroe e gli
scrisse che era stato benedetto nell’aver incontrato persone simili e essere
stato eletto loro re.
Gli abitanti del
paese anestetizzato dalla ricchezza nel frattempo erano sempre più occupati
nelle loro faccende e il tempo che l’eroe aveva concesso loro stava volgendo al
termine; per questo erano molto spaventati. Ma continuavano con le loro
pratiche: offrivano sacrifici e incenso e pregavano a loro modo i loro dei.
Decisero che avrebbero dovuto a tutti i costi inviare loro emissari nella terra
dove sapevano che tutti erano ricchissimi, e dove pensavano che tutti fossero
divinità, perché loro li avrebbero potuti certo salvare – in quanto erano tutti
divinità. E mandarono così i loro emissari.
Gli emissari persero
l’orientamento e trovarono un uomo che camminava con un bastone, il quale era
più prezioso di tutti i loro dei – ovvero, era ricoperto di pietre molto
preziose e da solo valeva più di tutta la ricchezza che avevano nel loro paese.
Aveva anche un cappello tempestato di pietre, che valeva moltissimo.
Immediatamente si inginocchiarono di fronte a lui poiché quest’uomo era la
divinità di tutti i loro dei. Ma l’uomo che avevano incontrato era in realtà il
ministro del tesoro del re. Disse loro: “Per questo vi meravigliate così tanto?
Venite con me e vi farò vedere cos’è la vera ricchezza!”. Li portò al monte
dove era disposto il tesoro del re e fece vedere loro di cosa si trattava:
caddero ai suoi piedi, perché lui doveva essere proprio la divinità sopra tutte
le altre. Ma lì non offrirono sacrifici, perché – siccome lui era una divinità
così elevata – avrebbero dovuto offrire se stessi, divenute bestie di fronte a
lui. Inoltre, quando si erano messi in cammino era stato detto loro di non fare
sacrifici, poiché temevano che se avessero voluto farlo non sarebbe rimasto
nessuno in vita. Avrebbero potuto trovare un tesoro sulla via, forse qualcuno
di loro sarebbe andato a fare i propri bisogni e avrebbe trovato un tesoro, e
così avrebbero iniziato a sacrificarsi a quella stessa ricchezza e non sarebbe
rimasto in vita alcuno di loro. Li avvertirono di non prestare sacrifici e
quindi essi non lo fecero nemmeno per il ministro del tesoro. Ma era loro
chiaro che lui era la divinità sopra tutte le altre, a causa della sua enorme
ricchezza.
Gli emissari
pensarono che non aveva molto senso arrivare al paese dove tutti erano divinità
grazie alla loro ricchezza, perché da questo individuo avrebbero ricevuto la
salvezza: lui era una divinità sopra tutte le altre, con tali possedimenti.
Perciò gli chiesero di recarsi con loro al loro paese; egli accettò e si misero
insieme in cammino. Tutti gioirono molto nell’aver trovato una simile divinità:
erano certi che così si sarebbero salvati. Il ministro del tesoro, divenuto
adesso la divinità, ordinò che prima di tutto ci fosse ordine nel paese e che
smettessero di offrire sacrifici. Egli era infatti parte di quei giusti
consiglieri del re e sapeva che solo così avrebbe potuto ricondurli sulla retta
via: passo per passo.
Gli abitanti del
paese gli chiesero se sapeva qualcosa sull’eroe che li minacciava. Rispose: “E’
possibile che sia l’eroe che conosco”. Andò incontro a lui e chiese ai suoi
uomini se poteva incontrarlo personalmente e risposero che sarebbero andati a
chiederglielo. L’eroe accettò e si incontrarono. Si riconobbero con grande
gioia e risero e piansero insieme. L’eroe disse al ministro: “Sappi che ho
incontrato anche il nostro valente cantore ed egli è divenuto re”. Il ministro
raccontò quindi di essere passato per tutti i luoghi del re e degli altri
consiglieri ma non in quelli dove erano finiti il cantore e lo stesso eroe.
Disquisirono sul paese della ricchezza e sul come gli abitanti avevano commesso
un enorme errore a credere a queste sciocchezze. L’eroe ripeté quello che aveva
già detto al cantore: che aveva sentito che era impossibile redimere chi cadeva
preda della brama di denaro, se non con la spada da cui egli traeva la sua
forza. Il ministro convinse l’eroe a dare al paese un po’ di tempo in più prima
di attaccarlo. Egli accettò e si scambiarono segni per riconoscersi. Il
ministro tornò quindi al paese. In questo tempo, egli cercò di mostrare agli
abitanti il grave errore che avevano commesso nelle loro credenze, ma senza
avere grande successo. Tuttavia, dal momento che anche il cantore aveva
iniziato a mettere loro la verità davanti agli occhi, essi si stavano piano
piano convincendo che fosse opportuno cambiare strada: e così avevano chiesto
al ministro di aiutarli a correggersi, anche se non desideravano questo cambiamento
dal profondo.
Egli disse loro:
“So qual è il segreto della forza dell’eroe”. Raccontò la storia della spada e
propose loro di recarsi al luogo dove la spada era posata: così avrebbero
potuto sconfiggerlo. L’intenzione del ministro era quella di condurli al luogo
della spada nella speranza che potessero salvarsi grazie ad essa, come gli
aveva spiegato l’eroe. Gli abitanti del paese accettarono la sua proposta. Egli
si incamminò e insieme a lui furono inviate le figure importanti del paese, le
divinità maggiori, che procedevano adornate di gioielli d’oro e argento –
ovvero le cose per loro più importanti.
Il ministro svelò
il suo piano all’eroe: disse che sarebbe andato a cercare la spada insieme a
loro e che forse avrebbe incontrato per strada anche il re e i suoi uomini.
L’eroe disse che sarebbe andato con lui. Si mascherò in modo da non essere
riconosciuto e partirono insieme. Decisero che avrebbero informato del loro
progetto anche il cantore: egli disse che si sarebbe unito a loro e ordinò ai suoi
sudditi di pregare perché il Signore illuminasse la loro strada e affinché
potessero trovare il re con i suoi consiglieri. Egli pregava sempre per questo
e componeva per i suoi uomini preghiere orientate in tal senso. Adesso li
implorò di pregare sempre per questo fine: perché potessero trovarli. Il
cantore si unì quindi all’eroe e al ministro: ovviamente l’incontro fu pieno di
gioia e emozioni. Si misero in cammino insieme alle divinità del paese.
Girovagarono a lungo finché non giunsero a un paese intorno al quale stavano a
guardia molti soldati: chiesero loro quale fosse l’occupazione del paese e chi
fosse il loro sovrano. Risposero: “Quando ci fu la tempesta che separò gli
esseri umani secondo le loro tipologie, noi decidemmo che la cosa più importante
era la saggezza e così nostro re divenne un uomo molto sapiente. Non molto
tempo fa abbiamo però incontrato qualcuno molto più saggio di lui per cui il
nostro re ha rinunciato al regno per darlo a quest’uomo più importante”. I tre
si dissero che secondo loro doveva trattarsi del sapiente che si trovava un
tempo presso il re e chiesero di poterlo incontrare di persona. Lui concedette
l’autorizzazione. Si riconobbero subito: in effetti si trattava proprio del
saggio che risiedeva a suo tempo presso il re. Gioirono e si emozionarono molto
ma erano intristiti perché non sapevano come avrebbero fatto a trovare il re e
il resto della compagnia. Chiesero al saggio se per caso poteva localizzarli
grazie all’aiuto della mano. Rispose: “La mano si trova qui con me, ma dal
momento in cui ci fu la tempesta non volli più guardarla perché essa
apparteneva al re. Però ho inciso il disegno su una pietra in modo da poterla
usare parzialmente, ma non intesi più guardare la mano nella sua interezza”.
Gli chiesero quindi come fosse giunto in quel luogo e spiegò loro che da quando
c’era stata la tempesta aveva vagato per il mondo, passando per tutti i luoghi
dove erano passati gli altri loro compagni, eccetto quelli dove erano stati i
tre amici ai quali si era adesso riunito. In seguito gli abitanti di questo
paese l’avevano voluto come loro re e per il momento li doveva governare
secondo le loro regole – cioè secondo la saggezza che loro ritenevano essere la
cosa più importante al mondo –, finché non li avrebbe riportati sulla retta
via.
Raccontarono al
saggio la storia del paese della ricchezza, di come i suoi abitanti si erano
fatti trascinare dall’abbaglio dei beni materiali. Si dissero: “C’è già
abbastanza lavoro da fare per riportare sulla retta via il paese della ricchezza!
Ci sarebbe bastato questo. Tutti gli altri gruppi sbagliano e il loro modo di
pensare e vivere va corretto: persino coloro i quali hanno scelto la sapienza
come cosa più importante devono essere ripresi e rettificati, perché hanno
scelto un tipo di saggezza superficiale e epicurea. Tra tutti coloro che hanno
commesso errori, loro sono i più facili da riportare alla verità. Ma quelli che
hanno commesso l’errore di venerare il denaro e sono stati così trasportati da
esso...è impossibile far sì che si ravvedano”. Anche il sapiente disse di aver
sentito dire dal re che tutti i peccati possono essere corretti ma quello che
riguarda la bramosia per il denaro è una cosa a sé, che può essere corretto
solo tramite la via che conduce alla spada. Tuttavia anche il saggio decise di
unirsi a loro e si misero insieme in cammino. Anche le ‘divinità’ del paese
della ricchezza continuarono con loro.
Giunsero ad un
paese e chiesero alle guardie quale fosse la loro occupazione e chi fosse il
loro re. Risposero che dal tempo della tempesta gli abitanti del paese avevano
scelto di unirsi sotto il segno dell’importanza del parlare e così avevano
scelto come re un oratore che conosceva molte lingue. In seguito trovarono un
uomo che sapeva parlare e anche dare intelligenti interpretazioni: un
eccellente oratore. L’avevano fatto re dopo che il loro sovrano aveva abdicato
di fronte alla straordinaria capacità
dialettica di quest’ultimo. Essi compresero che doveva trattarsi del
giullare del re e chiesero così un incontro personale con lui. Fu loro concesso
il permesso di vederlo e quando entrarono in città riconobbero che si trattava
proprio di lui – si riunirono, risero e piansero assieme. Anche il giullare si
unì a loro e procedettero nella ricerca del re e del resto della compagnia,
poiché videro che il Signore illuminava il loro percorso e faceva sì che ogni
volta trovassero i loro compagni. Pensavano che fosse grazie al cantore, il
quale pregava sempre per questo, e che proprio grazie alle sue preghiere
avrebbero trovato anche gli altri. Proseguirono, con la speranza di
incontrarli.
Giunsero in un
paese dove chiesero quale fosse la loro occupazione e chi fosse lì il sovrano.
Risposero che si trattava del gruppo che aveva scelto la gioia e il bere come
cosa più importante. Avevano scelto un ubriacone sempre gioioso come loro re ma
in seguito avevano trovato un uomo che stava seduto in un mare di vino e si
rallegrarono molto: questo doveva essere proprio un grande ubriaco! Lo vollero
quindi come sovrano. I cinque chiesero di poterlo incontrare personalmente:
ottennero il permesso e si presentarono da lui. Si trattava dell’amico fedele
del re, che sedeva nel mare di vino che era stato creato dalle parole di
consolazione del giullare! Si riconobbero, gioirono e si commossero – e anche l’amico
del re si unì agli altri. Giunsero assieme ad un altro paese, e si informarono
su chi fosse il re. Risposero che il loro re era una bella donna poiché essa
rappresentava la possibilità di ripopolare il mondo, secondo loro la cosa più
importante. All’inizio avevano come sovrana una bella donna, ma poi ne
trovarono un’altra che trascendeva tutte le altre e la accettarono come regina
al posto della prima. Fu chiaro quindi al gruppo dei sei che si doveva trattare
della figlia del re, e chiesero di incontrarla. Ricevettero il permesso e la
riconobbero – non si può descrivere la gioia che tutti provarono! Le chiesero
come era giunta lì e raccontò che quando la tempesta aveva portato via il
neonato dalla sua culla, era uscita per cercarlo ma senza riuscire a trovarlo.
Aveva ancora molto latte e da esso si era generato un mare. In seguito gli
abitanti di questo paese l’avevano voluta come sovrana. Gioirono e piansero
allo stesso tempo, per il neonato che era andato perduto e per il re e la
regina dei quali ancora ignoravano il destino. Ma in tutto questo era comunque
tornato suo marito – poiché il nostro eroe era in effetti il marito della
figlia del re. E quindi il paese aveva adesso un re e una regina. La figlia del
re chiese al cantore di recarsi al suo paese e ripulirlo dalla sua
degenerazione, dal momento che per loro la cosa più importante era la effimera
bellezza. Gli chiese di purificare i suoi sudditi in modo che non si
contaminassero troppo con questi valori, poiché oltre al fatto che correre
dietro alla bellezza serviva solo a aumentare la voluttà, per loro stava
diventando una forma di credenza.
Tutti insieme si
misero in cammino per cercare il re e gli altri. Giunsero a un paese dove anche
lì chiesero chi fosse il re e fu risposto loro che il sovrano era un bimbo di
un anno: essi erano parte del gruppo che aveva scelto di eleggere a proprio
sovrano colui che avesse molto cibo e non avesse bisogno del cibo di cui si
cibano tutti gli altri. All’inizio si scelsero come re un uomo ricco, ma dopo
trovarono qualcuno che stava seduto in un mare di latte e la cosa fu molto ben
vista: costui si nutriva solo di latte e non aveva bisogno di alcun altro
alimento, per cui lo scelsero come re. Perciò avevano detto che ‘aveva un anno’
– non perché effettivamente avesse un anno di vita ma perché viveva come un
bambino di quell’età. Essi compresero che si trattava del neonato e vollero
vederlo in volto. Fu dato loro il permesso e quando lo incontrarono si
riconobbero: nonostante il bambino fosse stato ancora un neonato quando era
andato perduto, grazie alla saggezza che aveva fin dalla nascita aveva potuto
riconoscerli. E certamente gli altri lo riconobbero...grandissima fu la gioia
che accompagnò quell’incontro, ma grande anche la tristezza quando pensarono al
re e alla regina che ancora non si trovavano. Gli chiesero come era giunto lì:
il bambino raccontò che quando il vento lo aveva rapito, lo aveva condotto in
un luogo dove aveva mangiato e bevuto quello che aveva potuto, finché non era
giunto a un mare di latte e aveva compreso che si doveva trattare del latte
della propria madre che di sicuro ne aveva avuto in eccesso. Si sedette in quel
mare di latte che lo nutriva integralmente, finché gli abitanti del paese lo
vollero come loro re.
In seguito
giunsero a un paese dove chiesero chi fosse il re: fu loro risposto che la cosa
più importante per loro era l’omicidio e avevano quindi scelto come sovrano un
assassino. Ma in seguito avevano trovato una donna che sedeva in un mare di
sangue e la vollero come regina, poiché furono certi che si dovesse trattare di
una grande omicida. Chiesero di vederla di persona, e quando la incontrarono si
accorsero che si trattava proprio della loro regina! Dalle sue lacrime continue
si era formato quel mare di sangue. Si riconobbero e gioirono grandemente, ma
erano ancora tristi per non aver trovato il re.
Infine giunsero ad
un paese dove gli abitanti dissero che si erano dati come sovrano un uomo molto
rispettabile, poiché questa era la cosa che per loro contava di più. In seguito
però avevano trovato un anziano signore seduto in un campo, che portava in
testa una corona: questo li portò a pensare che doveva trattarsi certamente di
un uomo onorevole, se stava così seduto in un campo e per di più era
incoronato. Così l’avevano fatto re. I membri della compagnia compresero quindi
che doveva trattarsi del loro vecchio re: chiesero il permesso di vederlo e fu
dato loro. Si riconobbero e non è possibile comprendere la gioia che ci fu.
Insieme alla compagnia si trovavano anche gli emissari del paese della
ricchezza: essi non compresero cosa fossero tutti questi incontri gioiosi.
Il gruppo si era
quindi ricostituito. Mandarono il cantore in tutti i paesi che avevano
conosciuto, in modo che potesse redimerli dai loro peccati e dalle perversioni
nelle quali credevano. Adesso certamente egli aveva il potere di farlo poiché
aveva ricevuto il potere e l’autorizzazione dai suoi compagni, che erano i
sovrani di ciascuno dei paesi. E così fece.
L’eroe parlò con
il re, con il quale si era appena ricongiunto, e gli raccontò del paese che era
caduto vittima dell’abbaglio della ricchezza. Gli disse che lo aveva sentito
dire che solo sulla via che conduceva alla spada si potevano redimere anche
coloro che così peccavano. Il re disse: “E’ proprio così”. E aggiunse: “Lungo
la via che conduce alla spada si trova un sentiero che corre di lato, che
conduce a un monte di fuoco. Su questo monte si trova un leone, il quale –
quando deve mangiare – attacca le sue prede. I pastori conoscono questa cosa e
stanno molto attenti a proteggere le loro greggi: ma il leone non si preoccupa
e quando vuole mangiare attacca le bestie liberamente. I pastori cercano di
farlo scappare ma il predatore non vi fa caso: attacca le greggi e sbrana le
bestie. Il monte di fuoco non è visibile. Su un altro lato c’è un secondo
sentiero, che porta a una cucina presso la quale si trovano tutti i tipi di
cibo. Ma non c’è alcun fuoco che brucia: i cibi sono cotti grazie al fuoco del
monte, anche se esso è lontano – ci sono
infatti molte condutture che portano il fuoco alla cucina e così vengono cotti
i cibi. Anche questa cucina è invisibile: la sola cosa che si sa è che ci sono
degli uccelli che stanno sopra di essa e così la si può localizzare. Questi
uccelli sbattono le ali e grazie a tale movimento controllano l’intensità del
fuoco: lo accendono ma fanno anche in modo che le fiamme non siano troppo alte
e quindi regolano il fuoco opportunamente secondo i cibi che devono essere
preparati. Conduci le ‘divinità’ di quel paese, gli emissari che si trovano
presso di voi, in quel luogo e mettili
in direzione del vento in modo che possano odorare i cibi che vengono
preparati. Darai loro da mangiare e così abbandoneranno la bramosia per la
ricchezza”.
Così fece l’eroe e
prese con sé gli emissari. Quando essi erano venuti via dal paese, gli altri
abitanti avevano deciso che tutto quello che loro avrebbero fatto durante il
viaggio, così come ogni decisione che avrebbero preso, sarebbe stata accettata
da tutti gli altri. L’eroe li condusse sulla via che gli aveva descritto il re,
fino alla cucina. All’inizio li conduceva controvento in modo che odorassero i
cibi: chiesero all’eroe di poter gustare i cibi il cui odore era così buono.
Egli poi li condusse nella direzione opposta ed essi si lamentarono del pessimo
odore che sentivano. Quando li condusse una seconda volta controvento,
sentirono nuovamente l’odore dei cibi ed essi chiesero nuovamente di poterli
assaggiare. Cambiarono ancora direzione e si lamentarono di nuovo della puzza.
L’eroe disse loro: “Vedete, qui non c’è niente che puzzi: questo terribile
odore deve venire da voi!”. Dette loro da mangiare e non appena essi si
cibarono di quelle pietanze iniziarono a liberarsi della ricchezza che
portavano con sé, oro e argenti. Ognuno di essi iniziò a scavarsi una fossa
nella quale si seppellì a causa della grande vergogna. Dopo che avevano
assaggiato quei cibi squisiti, avevano potuto sentire la puzza della ricchezza
che era simile a quella delle feci. Si buttarono in terra e si gettarono nelle
fosse senza potersi guardare l’un l’altro: ognuno provava vergogna per il
proprio compagno, perché in quel luogo la ricchezza era l’infamia più grande di
tutte e chi voleva offendere il proprio amico lo accusava di essere ricco.
Colui il quale aveva maggiore ricchezza era il più spregevole. Per questo si
gettarono nelle fosse senza potersi guardare in faccia e – ovviamente – senza
poter guardare l’eroe. Chi si trovava nelle tasche anche solo una moneta di
poco valore, immediatamente la gettava via il più lontano possibile.
In seguito l’eroe
li fece uscire dalle fosse nelle quali stavano e disse loro: “Venite con me:
adesso non dovete più temere quell’eroe che vi voleva attaccare – perché io
sono quell’eroe”. Gli chiesero di poter portare con sé, al loro paese, quei
cibi che avevano mangiato in modo che tutti i loro compagni potessero liberarsi
della bramosia per la ricchezza. Diede loro i cibi da portare con sé e non
appena li dettero da mangiare agli altri abitanti, tutti iniziarono a gettare
via la loro ricchezza e si coprirono sotto montagne di cenere per la grande
vergogna. I più ricchi, e le ‘divinità’ fra loro, furono quelli che provarono
la maggior vergogna: e persino i meno ricchi, le ‘bestie’, si vergognarono per
essersi considerati tali in quanto non avevano sufficienti possedimenti.
Scoprirono che la ricchezza era in realtà la cosa di cui maggiormente
vergognarsi perché i cibi che avevano mangiato avevano un potere: chi si cibava
di essi, detestava la ricchezza, che gli pareva puzzare come feci e spazzatura.
E così si liberarono di tutte le loro divinità fatte d’oro e d’argento. In
seguito mandarono presso di loro il cantore che li guidò nel ritorno sulla
retta via e li purificò. Il re, il re saggio che era stato ritrovato, divenne
sovrano su tutti i paesi: tutto il mondo tornò sulla via del Signore benedetto
e si occupò di Torà, preghiera e buone azioni. Amen, sia fatta la Sua volontà,
benedetto il Re del mondo, Amen e Amen!
I sette mendicanti
(questa storia è abbastanza
sconclusionata e ricca di rimandi non chiari ai testi sacri. Inoltre è
incompleta perché, come riportato dal narratore, Reb Nachman non finì di
raccontarla. Secondo il mio giudizio personale non dovrebbe essere inclusa in
una raccolta destinata a un pubblico generico)
C’era una volta un
re il quale aveva un unico figlio. Voleva che il regno passasse a lui mentre
egli era ancora in vita; offrì quindi un grande banchetto. Ogni volta che il re
faceva questo tipo di feste c’era sempre grande gioia e tanto più adesso che
intendeva abdicare era un’occasione molto festosa. Presero parte alla festa
tutti i ministri del regno e tutti i duchi. Anche i sudditi si rallegrarono
molto del fatto che il re passasse il proprio regno al figlio, perché si
trattava di un’azione molto onorevole. Tutti gioirono in ogni angolo del paese.
Del banchetto fecero parte anche cori, commedie e tutte le altre forme di
intrattenimento.
Nel colmo della
gioia il re si presentò da suo figlio e disse: “Dal momento che so interpretare
le stelle, posso vedere che un giorno perderai il regno. Fai in modo che nel
momento in cui dovrai lasciare tu possa essere felice, e non intristirti. Se tu
sarai contento, anche io lo sarò. Ma anche se sarai triste, io sarò comunque
felice se non sarai più re: perché non saresti adatto a regnare se non riuscissi
ad essere felice nel momento in cui dovessi rinunciare al tuo regno. E quando
sarai contento, io lo sarò ancora di più”.
Il principe
accettò il regnò e iniziò a governare con vigore e nominò ministri e duchi,
comandanti e esercito. Era saggio e stimava molto l’intelligenza, per cui si
circondò di uomini sapienti. Chiunque si presentava da lui con discorsi
intelligenti veniva considerato molto importante. Accordava alle persone onore
e ricchezza in virtù della loro sensatezza – ognuno secondo ciò che desiderava:
chi voleva possedimenti materiali, li riceveva, mentre chi preferiva onoranze
di altro tipo, le riceveva. Tutto in virtù della propria saggezza. Poiché essa
era così importante per lui, tutti i sudditi si comportavano in modo adeguato e
tutto il paese era composto da studiosi. C’era chi lo faceva con lo scopo di
arricchirsi, chi per l’onore e l’importanza. Poiché tutti si dedicavano agli
studi, nel paese fu dimenticata l’arte della guerra. Tutti gli abitanti erano
sapienti al punto che il meno arguto di loro sarebbe stato considerato in un
altro paese un grandissimo saggio. I saggi di questo paese erano quindi davvero
qualcosa di straordinario: ma dal momento che si studiavano così tante cose
diverse, i più sapienti divennero epicurei – finendo con il coinvolgere in ciò
anche il figlio del re. Ma gli altri non andarono incontro allo stesso destino
poiché – non avendo raggiunto il livello di sapienza dei loro compagni– non
potevano nemmeno andare incontro alle possibili derive di una tale erudizione.
Ma i sapienti maggiori e il figlio del re divennero epicurei.
Dal momento che il
principe era di fondo una buona persona e aveva molte ottime qualità, talvolta
si ricordava dove si trovava nel mondo e quale fosse la sua occupazione e
sospirava amaramente per essere caduto vittima di tali errori e aver perso la
sua strada. Ma non appena si metteva a riflettere, tornava all’epicureismo del
quale si lamentava. E così succedeva ciclicamente.
Un giorno ci fu
una fuga generale da un paese. I fuggiaschi passarono per una foresta e lì si
persero un maschio e una femmina, due bambini di 4 e 5 anni. Non avevano di che
cibarsi e piangevano per la fame. Nel frattempo li avvicinò un mendicante, che
portava un sacco nel quale aveva del pane. I bambini si avvicinarono a lui e lo
seguirono. Dette loro del pane da mangiare e essi si nutrirono. Chiese loro:
“Come siete arrivati qui?” – “Non lo sappiamo!”, perché erano infatti solo
bambini. Gli chiesero di poter andare con lui, ma il mendicante disse che non
voleva. I bambini, che erano piccoli ma saggi, si accorsero che era cieco e si
meravigliarono di come riuscisse a trovare la strada. Il mendicante cieco li
benedisse, augurando loro di divenire anziani come lui e lasciò loro dell’altro
pane da magiare prima di andarsene. I bambini compresero che il Signore
benedetto li proteggeva e aveva messo a loro disposizione un mendicante cieco
che li nutrisse.
Quando finirono il
pane, iniziarono di nuovo a piangere per la fame: si fece notte e dormirono
nella foresta. Di mattino non avevano cosa mangiare e piangevano tristemente.
Si avvicinò a loro un mendicante sordo: iniziarono a parlare con lui ma egli
segnalò loro che non poteva sentire quanto dicevano. Dette loro del pane da
mangiare e se ne andò. Volevano seguirlo, ma lui non fu d’accordo. Anche lui
però li benedisse augurandogli di divenire come lui, lasciò loro del pane e se
ne andò.
Il pane di nuovo
finì e tornarono a piangere. Giunse un mendicante balbuziente e iniziarono a
parlare con lui, ma non potevano capire quello che diceva a causa del suo
difetto di parola. Ma egli poteva comprendere quello che i bambini dicevano.
Come gli altri, li benedisse e dette loro del pane.
Giunse poi un
mendicante che aveva il collo storto – e anche con lui successe la stessa cosa.
Poi ne giunsero uno gobbo, uno senza mani e uno senza gambe: ognuno li
benedisse, augurando loro di essere come lui, dette loro del pane e si
allontanò.
Il pane finì di
nuovo. I bambini si misero in cammino, finché non raggiunsero un villaggio.
Entrarono in una casa i cui abitanti ebbero compassione di loro e dettero loro
del pane; entrarono poi in un’altra casa dove ricevettero altro cibo e così si
misero a mendicare cibo di casa in casa. Videro che era una cosa positiva e
concordarono di rimanere sempre insieme. Si prepararono dei grandi sacchi e
passarono di porta in porta: entrarono in tutti i posti dove si festeggiava,
una circoncisione o un matrimonio, e andarono in altri villaggi sempre passando
di porta in porta. Passarono per mercati e si sedettero insieme ai mendicanti
sul ciglio della strada, reggendo un piatto per le offerte. Quei bambini nel
tempo divennero famosi presso tutti i mendicanti, poiché sapevano che si
trattava dei bambini che si erano persi nella foresta.
Una volta, in una
città importante, si tenne una grande fiera alla quale andarono sia i
mendicanti che i ragazzi. I mendicanti pensarono che sarebbe stata una buona
idea che i due ragazzi si sposassero: quando iniziarono a parlarne, sembrò a
tutti un’ottima idea e così fu combinato il matrimonio. Ma come si potevano
celebrare le nozze? Pensarono che in un certo giorno, quando ci sarebbe stato
il banchetto per il compleanno del re, sarebbero andati lì tutti insieme e da
quello che avrebbero ricevuto in offerta – pane e carne – avrebbero organizzato
il banchetto nuziale. Così fecero: nel giorno del compleanno del sovrano, tutti
i mendicanti andarono lì e chiesero in offerta il pane della festa e la carne e
raccolsero anche tutto ciò che era rimasto del pranzo. Scavarono una grande
fossa, nella quale potevano entrare fino a cento persone, e la coprirono con
canne di bambù, terra e rifiuti. Entrarono nella fossa e organizzarono il
matrimonio dei ragazzi. Ci fu grande gioia per tutti, compresi ovviamente i due
sposi.
I ragazzi si
ricordarono della misericordia che il Signore benedetto aveva avuto nei loro
confronti nel periodo in cui erano stati nella foresta. Avevano grande
nostalgia di quel tempo e piangevano – come sarebbe stato possibile far
giungere alla festa il primo mendicante cieco che aveva offerto loro del pane
nella foresta? Immediatamente, mentre erano presi da quei sentimenti di
nostalgia, il mendicante cieco si alzò e disse: “Sono qui! Sono giunto al
vostro matrimonio e come regalo voglio darvi l’augurio di essere anziani come
me: all’inizio vi benedissi così ma adesso vi do questo augurio proprio come
regalo – che possiate vivere una vita lunga come la mia. Voi pensate che io sia
cieco? Non lo sono affatto. Ma tutto il tempo del mondo è per me come un
battito di ciglia,[19] sono
molto anziano ma sono allo stesso tempo all’inizio del mio cammino e non ho
ancora iniziato a vivere. Nonostante ciò sono vecchio: non sono io a dirlo, ma
è la grande aquila che me lo ha detto. Vi racconterò una storia: una volta
c’erano molte persone che navigavano in mare. Venne una tempesta che distrusse
le imbarcazioni ma le persone si salvarono. Giunsero a una torre e vi salirono
sopra: là trovarono tutti i vestiti, i cibi e le bevande di cui avevano
bisogno. Decisero che ognuno avrebbe raccontato una storia, il ricordo più
vecchio che aveva. Il gruppo era composto di giovani e vecchi e concessero al
più anziano di iniziare il racconto. Egli disse: ‘Cosa posso raccontarvi? Mi
ricordo di quando tagliarono la mela dall’albero’ – e nessuno comprese di cosa
stava parlando. Ma c’erano lì persone sagge che dissero che sicuramente doveva
trattarsi di una storia molto vecchia. Così passarono al secondo più vecchio.
Egli, che non era vecchio come il primo, disse: ‘Questa è una vecchia storia?
Questa cosa me la ricordo perfino io, ma io ricordo quando la candela era
ancora accesa!’. Il pubblico si convinse che questa doveva essere una storia
ancora più vecchia della prima e sembrava loro strano che il più giovane tra i
due si ricordasse qualcosa più indietro nel tempo. Si fece avanti il terzo, che
era ancora più giovane e disse: ‘Mi ricordo della nascita della frutta: ovvero
quando la frutta iniziò ad esistere’. Tutti pensarono che questa storia fosse
ancora più vecchia. Il quarto, ancora più giovane, disse: ‘Io ricordo di quando
presero il seme per piantarlo!’ e il quinto, ancor più giovane, rispose: ‘Io
ricordo i saggi quando pensavano a inventare il seme!’. Il sesto disse che
ricordava il sapore del frutto prima che fosse nel frutto, e il settimo disse
che ricordava persino l’odore del frutto prima che fosse nel frutto! L’ottavo
ricordava la sembianza del frutto prima che il frutto divenisse tale...! Io
allora ero solo un neonato ma ero là e dissi: ‘Io ricordo tutte le storie che
hanno raccontato ma non ricordo niente’. E tutti dissero che questa era la
storia più vecchia di tutte! E si meravigliarono molto del fatto che un neonato
potesse essere colui che ricordava più di tutti. Nel frattempo giunse una
grande aquila che bussò alla porta della torre e disse: ‘Smettete di essere
poveri: tornate ai vostri tesori e fatene uso’. Disse di uscire dalla torre
secondo l’ordine di vecchiaia: dal più vecchio al più giovane. Così uscirono:
per primo l’aquila fece uscire il neonato, perché egli era il più vecchio di
tutti. Quindi fece uscire i più giovani per primi, mentre il più anziano lasciò
la torre per ultimo.[20]
L’aquila disse: ‘Vi spiegherò tutte le storie che sono state narrate finora.
Colui che ricorda quando tagliarono la mela dall’albero, in realtà ricorda
quando tagliarono il suo cordone ombelicale. Il secondo, che ricorda la candela
accesa, ricorda quando era nell’utero e una candela era accesa sulla sua testa.
Il terzo, che ricorda quando iniziò la creazione del frutto, ricorda quando il
corpo iniziò a formarsi – ovvero il momento
in cui l’embrione iniziò a formarsi. Colui che ricorda il seme che veniva
piantato, ricorda lo spermatozoo che uscì nel tempo della copulazione. Colui
che ricorda i saggi che inventavano il seme, ricorda quando quello spermatozoo
era ancora nella mente. Colui che ricorda il gusto del frutto, ricorda l’anima
inferiore. Colui che ricorda l’odore, ricorda lo spirito. Colui che ricorda la
sembianza del frutto, ricorda l’anima superiore. Il neonato che ha detto di non
ricordare niente, è sopra a tutto e ricorda persino ciò che si trova prima dei
tre livelli dell’anima e dello spirito, che è considerato il vuoto’. L’aquila
aggiunse: ‘Tornate alle vostre navi, che sono poi i vostri corpi che si sono
deteriorati, in modo che si possano rinnovare. Tornate lì adesso!’ – e benedì
tutti. E a me l’aquila disse: ‘Tu vieni con me perché sei come me. Sei molto
anziano ma allo stesso tempo sei molto giovane e non hai ancora iniziato a
vivere. Ma nonostante ciò, sei molto anziano. Anche io sono così’. Così ho il
consenso della grande aquila. Adesso vi dono la mia lunga vita in regalo come
benedizione”. Ci fu grande gioia al matrimonio.
Nel secondo giorno
dei festeggiamenti, la coppia si ricordò del secondo mendicante – il sordo che
li aveva aiutati dando loro del pane. Piansero e si chiesero come avrebbero
potuto far giungere lì anche lui. Ma nel frattempo egli si alzò e disse: “Sono
qui!”. Andò da loro, li baciò e disse: “Il mio regalo è quello di augurarvi una
vita bella come la mia. All’inizio vi detti solo una benedizione, ma adesso vi
do la mia vita in regalo. Voi pensate che io sia sordo, ma non lo sono affatto.
Ma il mondo non arriva al punto che io senta qualche mancanza: tutte le voci
del mondo vengono infatti da mancanze. Tutti si lamentano di ciò che non hanno
e persino le occasioni di gioia derivano da una mancanza – chi gioisce infatti
è lieto perché così ha riempito un vuoto che prima aveva. Io invece non sento
la mancanza di niente. Perchè ho una bella vita, nella quale non manca nulla.
Su questo, ho il consenso del paese della ricchezza”. La vita di questo
mendicante era una bella vita in quanto si nutriva di pane e beveva acqua. E
iniziò a raccontare: “C’è un paese molto ricco, il quale ha molti tesori. Un
giorno gli abitanti si incontrarono e iniziarono a vantarsi delle loro belle
vite. Ognuno di essi raccontò i dettagli della propria vita. Io dissi loro: ‘La
vita che faccio io, non la fa nessuno! Ed è migliore di quella di tutti gli
altri. Prova ne è il fatto che se voi avete una bella vita, voglio proprio vedere
se potrete salvare quel certo paese. C’è infatti un paese nel quale c’era un
giardino pieno di frutta, con tutti i sapori, i colori, gli odori e i fiori del
mondo. Nel giardino stava un giardiniere. Gli abitanti di quel paese avevano
una bella vita, grazie a quel giardiniere. Ma egli andò perduto e tutto ciò che
c’era nel giardino si rovinò perché non c’era più chi si occupasse di esso. Ma
nonostante ciò potevano vivere delle poche erbacce che vi crescevano. Venne un
re crudele ma non poteva far loro niente di male: per questo maledisse la bella
vita che avevano grazie a quel giardino. Non maledisse il giardino, ma lasciò
nel paese tre gruppi di schiavi e ordinò loro di fare quello che lui comandava.
Così rovinò il gusto: grazie a quello che fecero nel giardino, ogni cosa prese
il sapore delle carogne. Rovinarono anche l’odore: ogni cosa puzzava.
Rovinarono anche l’aspetto delle cose, perché crearono un’oscurità come data
dalle nuvole. E adesso, se voi avete davvero una bella vita, voglio vedere se
potrete aiutarli! E vi dico che se non ce la farete – le maledizioni di quel
paese colpiranno anche voi’. Gli abitanti del paese della ricchezza andarono
quindi in quel paese e io mi unii a loro. Per strada mantennero un buon tenore
di vita in quanto avevano tesori che avevano portato con sé. Quando si
avvicinarono al paese iniziarono però a perdere il senso del gusto e le altre
cose. Dissi loro: ‘Se adesso, che non siete ancora giunti da loro, vi si è
alterato il gusto e tutto il resto...cosa succederà quando entrerete in quel
paese? E, ancor più, come potrete salvarli?’. Presi del mio pane e della mia
acqua e ne detti anche a loro. Nel mio pane e nella mia acqua sentirono tutti i
sapori e gli odori che avevano perduto. Gli abitanti del paese con il giardino
volevano rimediare a quello che era andato perduto. Pensarono che dal momento
che c’era un paese ricco e il loro giardiniere – grazie al quale avevano una
buona vita – veniva da lì, sarebbe stata una buona idea mandare degli emissari
in quel paese in modo che da lì potesse venire qualcuno a salvarli. Così
fecero: mandarono i loro emissari nel paese della ricchezza. Quando essi si
misero in cammino incontrarono quelli che dal paese erano già usciti, insieme a
me. Essi chiesero: ‘Dove state andando?’. Risposero: ‘Stiamo andando nel paese
della ricchezza per cercare aiuto’ – ‘Ma noi veniamo da quel paese e stiamo
proprio venendo da voi!’. Io dissi a coloro che venivano dal paese con il
giardino che avevano bisogno di me poiché gli altri non avrebbero potuto aiutarli.
Dissi a coloro che venivano dal paese della ricchezza di rimanere lì e che io
sarei andato con gli emissari ad aiutare gli altri. Mi misi in cammino con loro
e giunsi a una città: vidi che le persone là dicevano sciocchezze e a loro si
aggiungevano sempre più persone, che scherzavano e dicevano fandonie. Ascoltai
attentamente e mi resi conto che dicevano parolacce e tutti se la ridevano alla
grande. Andai quindi in un’altra città e vidi due persone che litigavano per
concludere un affare: si presentarono davanti al tribunale, il quale decretò
che uno era colpevole e l’altro innocente. Appena usciti dal tribunale,
iniziarono di nuovo a discutere, sostenendo che il giudizio che avevano
ricevuto non aveva valore e che volevano essere giudicati da un altro tribunale.
Si recarono in un secondo tribunale, ma anche dopo questo tornarono a litigare:
e così con un terzo, un quarto e altri – finché tutta la città non divenne un
tribunale! Compresi che era perché là non avevano il concetto di verità:
talvolta veniva decretato un giudizio non proporzionato, perché il giudice
favoriva uno degli imputati con l’intento poi di ricevere un favore in cambio
in futuro. Tutti ricevevano tangenti e non seguivano la verità. Poi vidi che
compivano adulterio: era diventata per loro una pratica di fatto accettata.
Dissi loro che a causa di ciò avevano rovinato il senso del gusto, dell’odore e
della vista. Infatti, il re crudele aveva lasciato presso di loro tre gruppi di
schiavi che guastassero il paese: essi bestemmiavano e facevano sì che anche
gli altri abitanti parlassero male – e per questo si era rovinato il loro senso
del gusto, e ogni cosa che assaggiavano sapeva di carogna. Poi portarono la
corruzione nel paese e così gli abitanti persero la vista, la quale si oscurò
all’improvviso: perché «il prezzo della corruzione acceca gli occhi dei saggi».
E allo stesso modo portarono nel paese l’adulterio e così si rovinò l’odorato.
Perciò, cercate di correggere il paese da questi tre peccati e trovate le
persone corrotte per cacciarle dal paese: quando avrete corretto queste cose,
non solo recupererete il senso del gusto, della vista e dell’olfatto ma
ritroverete anche il giardiniere che avete perduto. E così fecero: iniziarono a
recuperare il paese dalle sue nefandezze e cercarono i tre gruppi di schiavi.
Chiedevano a ogni persona che incontravano: ‘Come sei giunto qui?’ – questo
finché non trovarono tutti gli uomini lasciati lì dal re e li cacciarono via.
Nel frattempo iniziò ad esserci una grande confusione: era possibile che quel pazzo
che andava a giro dicendo di essere il giardiniere, che tutti prendevano per
folle e al quale tiravano sassi per cacciarlo, fosse davvero il giardiniere? Lo
andarono a prendere e lo portarono di fronte al consiglio degli uomini deputati
a ‘correggere’ il paese e io dissi: ‘Certo che lui è il giardiniere!’.[21] E
quindi vedete che ho il consenso del paese della ricchezza sul fatto che io
vivo una bella vita: perché io ho potuto aiutarli! E adesso vi do in dono
questa mia bella vita”. Ci fu grande gioia al matrimonio. Il primo aveva dato
loro in regalo una lunga vita e il secondo una vita bella.
Il terzo giorno i
due giovani si ricordarono del terzo mendicante, il balbuziente. Piangevano al
pensiero di non poterlo avere lì con loro. Ma nel frattempo egli si alzò e
disse: “Sono qui!” – andò da loro, li baciò e disse: “All’inizio vi benedissi
augurandovi di essere come me. Ma adesso la benedizione di essere come me ve la
voglio offrire come regalo. Voi pensate che io balbetti...ma non è così! Le
conversazioni del mondo che non sono lodi per il Signore benedetto non sono
parole complete, e per questo sembra che io balbetti. Ma a dire il vero io non
balbetto affatto, anzi: sono un grande oratore e sono in grado di inventare
indovinelli e comporre poesie meravigliose al punto che tutte le creature del
mondo vogliono udirle. Nei miei indovinelli e nei miei componimenti c’è tutta
la saggezza. E ho il consenso di quell’uomo importante che si chiama l’uomo della vera grazia. Su questo c’è
un’intera storia. Una volta tutti i saggi stavano seduti insieme e ognuno di
essi si vantava della propria sapienza: uno diceva che aveva inventato l’arte
della lavorazione del ferro, un altro la lavorazione di altri metalli, un altro
quella dell’argento, un altro quella dell’oro, un altro quella degli strumenti
bellici, un altro diceva che sapeva creare i metalli da altre cose, un altro si
vantava di altre sapienze – poiché ci sono molte cose che sono state inventate
grazie all’intelligenza: materie prime, esplosivi e via dicendo. E ognuno si
vantava delle proprie competenze. Uno di loro si alzò e disse: ‘Sono saggio più
di voi perché sono saggio come il giorno’. Non compresero cosa intendesse. Si
spiegò: ‘Tutte le vostre conoscenze possono essere unite insieme e forse
sommeranno a un’ora solamente. Nonostante tutte le saggezze derivino dai vari
giorni in conformità con quello che in ognuno di essi è stato creato, tramite
l’intelligenza esse possono essere sommate nello spazio di un’ora: ma io sono
saggio come un intero giorno’. Gli risposi: ‘Come quale giorno?’ – ‘Lui è più
saggio di me, perché chiede come quale
giorno. Ma io sono saggio come qualsiasi giorno vogliate’. E adesso ci si
può domandare come mai io ero più saggio di lui, se lui poteva essere saggio
come qualsiasi giorno si volesse! Anche qui c’è un’intera storia. L’uomo della
vera grazia era davvero un uomo importante e io raccoglievo tutti gli atti
misericordiosi e per portarli a lui. La maggior parte della formazione del
tempo avveniva grazie a questa misericordia che io portavo. C’era un monte, sul
quale si trovava una pietra dalla quale sgorgava una sorgente: ogni cosa ha un
cuore e anche il mondo stesso ha un cuore. Il cuore del mondo è un intero
piano, con volto, mani, gambe etc. Ma l’unghia del piede del cuore del mondo è più
amorosa di ogni altro cuore. Questo stesso monte è collocato a un angolo del
mondo e il cuore del mondo si trova al polo opposto. Il cuore si trova di
fronte alla sorgente, desidera ardentemente giungere ad essa e grida che la
vuole raggiungere: anche la fonte brama raggiungere il cuore. Il cuore ha due
punti deboli: uno è il fatto che il sole lo insegue e lo brucia, perché lui
vuole raggiungere la sorgente. Il secondo è tutta questa nostalgia che esso
prova per la sorgente e la sua volontà disperata di raggiungerla: infatti sta
davanti ad essa e grida ‘Oh povero me!’ e vuole andare là. Quando deve
riposarsi un po’, giunge un grande uccello che spiega le sue ali su di esso e
lo protegge dal sole: ma anche nell’ora del riposo egli guarda alla fonte e sente
la sua mancanza. Ma perché non va alla fonte, se tanta è la nostalgia? Quando
desidera avvicinarsi al monte vede la sua pendenza e non può più quindi vedere
la fonte: ma se non riuscisse a vedere la fonte morirebbe, perché egli vive
grazie ad essa. Quando si trova di fronte al monte riesce a vederla, ma se
prova ad avvicinarsi ad esso, la fonte scompare dalla sua vista e così – Dio
non voglia! – morirebbe! E se questo cuore morisse, il mondo scomparirebbe
perché il cuore è la fonte di vita di ogni cosa e niente può esistere senza di
esso. Per questo non può raggiungere la fonte, ma sta solo davanti ad essa e
urla di nostalgia. La fonte non ha tempo poiché non si trova affatto nel tempo.
Il senso del tempo della fonte è ciò che il cuore le dà in regalo nello spazio
di un giorno. Se il giorno finisse, la fonte non avrebbe più tempo e – Dio non
voglia! – morirebbe. E così morirebbe anche il cuore e di conseguenza il mondo
intero! Quindi quando il giorno volge alla fine, iniziano a dedicarsi dei
bellissimi e poetici addii: lo stesso uomo della vera grazia supervisiona tutto
questo processo e prima che il giorno finisca egli dona al cuore un altro
giorno ed egli a sua volta lo dà alla fonte che così può continuare a
sussistere. Quando questo giorno arriva, viene accompagnato da canti e
bellissime poesie che contengono tutte le sapienze. Ci sono differenze tra i
vari giorni: c’è il primo giorno della settimana, il secondo e via dicendo –
così come ci sono i capimese e i giorni festivi. E tutto il tempo che ha l’uomo
della grazia – è grazie a me. Perché io raccolgo tutte le azioni misericordiose
dalle quali si fa il tempo.[22] Quindi,
ho il consenso dell’uomo della vera grazia: posso dire indovinelli e comporre
poesie che contengono tutte le sapienze – e vi voglio dare in dono la
benedizione che siate come me”. Ci fu grande gioia e contentezza.
Quando terminarono
i festeggiamenti del terzo giorno, andarono a dormire. La mattina al risveglio
pensarono con tristezza al mendicante dal collo storto. Ma anch’egli giunse e
disse: “Sono qui! All’inizio vi benedissi augurandovi di essere come me, ma
adesso questa benedizione ve la voglio dare in regalo e non solo come augurio.
Pensate che abbia il collo storto? Non lo è affatto! Anzi: ho un collo molto
bello. Solo che nel mondo si dicono tante sciocchezze e io non voglio avere
niente a che fare con tutto ciò.[23] Ho
anche una bellissima voce: tutte le voci del mondo che non sono parole, le
posso riprendere con la mia voce. E ho il consenso di quel paese! C’è infatti
un paese nel quale tutti conoscono molto bene la musica, persino i bambini più
piccoli. Non esiste un bambino che non sappia suonare qualche strumento e il
più semplice nel paese sarebbe un enorme sapiente in campo musicale in
qualsiasi altro posto. I saggi e il re di quel paese, così come coloro che
compongono i cori, sono assolutamente esperti in materia. Un giorno i sapienti
stavano seduti insieme e si vantavano delle loro competenze: uno diceva che
sapeva suonare un certo strumento, un altro che ne sapeva suonare un altro, un
altro si vantava di essere esperto di un terzo strumento, un altro diceva che
ne sapeva suonare molti diversi, un altro che li sapeva suonare addirittura
tutti, un altro che poteva imitare con la sua voce uno strumento, un altro che
poteva imitare più strumenti diversi, un altro che poteva imitare le
percussioni e infine un altro diceva di poter imitare con la voce lo sparo dei
cannoni. Anche io mi trovavo lì e dissi: ‘La mia voce è migliore delle vostre,
e questa ne è la prova. Se voi siete così esperti di suoni – venite a salvare
questi due paesi!’. I due paesi distavano l’uno dall’altro circa 4.000 miglia.
Quando lì giungeva la notte, gli abitanti non potevano dormire perchè con il
sopraggiungere dell’oscurità tutti iniziavano a ululare – uomini, donne e
bambini. Le pietre si sgretolavano a causa di questo rumore stridente. Di notte
sentivano un forte ululato e così tutti lo ripetevano. Così era per entrambi i
paesi: si sentivano a vicenda, nonostante fossero distanti 4.000 miglia.
Perciò, se siete così esperti di musica, vediamo se riuscirete a salvare questi
due paesi o se potrete imitare le voci che fanno’. I saggi mi dissero: ‘Portaci
in quei paesi’ – e così ci mettemmo in cammino. Giungemmo in uno dei due paesi
e quando si fece notte tutti iniziarono a ululare: anche i saggi si unirono a
loro – e così compresero che certo non potevano salvarli, se anche loro si
univano a quel coro! Dissi loro: ‘Potete dirmi da dove viene questa voce
stridente?’ – ‘Tu lo sai?’ – ‘Ovviamente lo so...Ci sono due uccelli, un
maschio e una femmina. Sono una coppia unica al mondo: la femmina si perse e il
maschio la cercava, così come lei cercava lui. Si cercarono a lungo finché non
si allontanarono così tanto che non avrebbero più potuto ritrovarsi. Si
sistemarono ciascuno in un luogo diverso e prepararono il nido: il maschio fece
il suo nido vicino a uno dei due paesi – non così vicino, ma gli abitanti
potevano sentire il suo cinguettio. La stessa cosa fece anche la femmina,
vicino al secondo paese. Quando giungeva la notte, ciascuno dei due iniziava a
stridere fortemente poiché cercava il suo compagno. E questo è l’ululato che si
sente nei due paesi e fa sì che tutti ululino senza poter dormire’. Ma non
vollero credermi e mi chiesero di portarli là. Risposi: ‘Posso accompagnarvi,
ma quando vi avvicinerete al luogo non potrete sopportare la forza di quello
stridere. Già qui non riuscite a sopportarla e iniziate a produrre anche voi
suoni...certo non potrete avvicinarvi di più!’. Durante il giorno non era
possibile andare in quel luogo perché non si poteva sopportare l’enorme gioia
che c’era nell’aria: di giorno, infatti, si riunivano tantissimi uccelli sia
presso il maschio sia presso la femmina della coppia e si consolavano e
cercavano di rallegrare ognuno dei due. Cercavano di consolarli dicendo loro
che forse un giorno si sarebbero riuniti e pertanto durante il giorno non si
poteva sopportare tutto questo far festa. Questa gioia non si può udire dalla
distanza ma solamente quando ci si avvicina ai due paesi: solo lo stridere
della coppia può essere udito anche da lontano. Dissi loro che per questo non
potevo andare lì insieme a loro. Mi chiesero: ‘E tu puoi fare in modo di
risolvere questa situazione?’ – ‘Posso, perché sono in grado di imitare tutti
suoni che esistono al mondo. E posso anche gettare
dei suoni, ovvero far sì che siano uditi non nel momento in cui io li esprimo
ma solo nel luogo ove sono indirizzati. Posso far sì che il cinguettio della
femmina giunga al maschio, e viceversa, e così fare in modo che si attraggano
l’un l’altro’. Ma nessuno mi credette. Li condussi attraverso una foresta e i
sapienti udirono un rumore come di una porta che si apre, poi si chiude e viene
allucchettata: sentirono il suono della serratura, un suono di sparo, quello di
un cane al quale viene comandato di riportare la preda, il rumore di un cane
che corre nella neve. Sentivano tutte queste cose ma guardandosi intorno non
vedevano niente. E non sentivano nemmeno alcun suono uscire dalla mia bocca.[24] E
quindi ho il consenso di quel paese sul fatto che la mia voce è qualcosa di
straordinario e che posso imitare tutti i suoni del mondo – e adesso voglio
darvi questa mia capacità in dono: che possiate essere come me!”. Tutti
gioirono enormemente.
Nel quinto giorno
continuarono i festeggiamenti e la coppia si ricordò del mendicante gobbo.
Furono entrambi presi da grande nostalgia perché avrebbero voluto molto averlo
con sé per prendere parte alla loro gioia. Ma ecco che all’improvviso il
mendicante giunse e disse: “Sono qui! Sono venuto per il matrimonio!” – li
abbracciò e li baciò affettuosamente. Disse loro: “All’inizio vi benedissi
augurandovi di essere come me, mentre oggi l’augurio di essere come me ve lo
voglio proprio dare in regalo. E sappiate che io non sono affatto gobbo: ho
spalle piccole ma in grado di reggere grandi pesi. E ho l’approvazione di ciò!
Una volta alcune persone dialogavano tra loro vantandosi di avere la capacità
di poter fare molto pur essendo piccoli. Prendevano in giro uno di loro mentre
gli altri si facevano complimenti. Ma la capacità che ho io, di far molto pur
essendo piccolo, è certo la migliore al mondo. Una delle persone che prendeva
parte al dialogo si vantava che la sua mente avesse questa capacità: si
ricordava decine di migliaia di persone con tutti i loro bisogni, i loro
comportamenti, il loro modo di essere, i loro movimenti. Perciò aveva questa
capacità di ‘far molto pur essendo piccolo’ – in quanto la sua mente ricordava
così tante cose. Ma lo presero in giro. Dissero che le persone che lui
ricordava, come del resto lui, non valevano niente. Uno dei partecipanti disse:
‘Ho visto il poco da cui si produce molto: una volta vidi un monte sul quale
era stata gettata molta spazzatura e per me era una cosa del tutto nuova. Mi
chiesi: come ha fatto a giungere qui così tanta sporcizia? C’era sul monte un
uomo il quale disse che era stato lui ad aver portato lì tutta quella
immondizia, in quanto viveva su quel monte e gettava sempre lì i suoi rifiuti,
quello che gli avanzava dal bere e dal mangiare e faceva lì anche i suoi
bisogni. A causa sua si era creato quell’enorme ammasso. Quell’uomo era quindi
in grado di produrre il molto dal poco – infatti a causa di una sola persona si
era prodotta così tanta sporcizia’. Un altro si vantò di avere la qualità di
ricavare il molto dal poco perchè aveva una piccola porzione di terreno dalla
quale otteneva molta frutta. Quando si contava quanta frutta produceva quel
terreno, era facile vedere che non c’era spazio per tutta la frutta prodotta! E
quindi certo aveva questa capacità. Tutti furono d’accordo con quanto aveva
detto. Un altro disse che aveva un bellissimo frutteto dove andavano molte
persone importanti in quanto si trattava proprio di un bel luogo. Durante
l’estate molte persone andavano lì a fare passeggiate, nonostante non ci fosse
posto per contenerle tutte. Certo questa era la capacità di ottenere il molto
dal poco! E così anche lui fu lodato per questo. Un altro disse che il suo
parlare rifletteva questa capacità, in quanto era segretario presso un grande
re: si presentavano da lui tantissime persone, alcune delle quali lodavano il
re e altre che invece avevano delle richieste – e certamente il sovrano non
poteva dare ascolto a tutti. Ma il segretario era in grado di concentrare tutte
le cose che venivano dette e riassumerle in poche frasi che contenessero tutto
quanto: questo era certo un ottimo esempio della stessa capacità di estrarre il
molto dal poco! Un altro disse che la sua capacità di rimanere in silenzio
indicava questa capacità: c’erano molte persone che parlavano male di lui e lo
maledicevano. Ma per quanto potessero dire, lui reagiva rimanendo in silenzio:
perciò con il suo mutismo conteneva tutte le cose che venivano dette. Un altro
disse che aveva questa capacità: c’era un povero, cieco, una persona molto
corpulenta, che lui – di piccola statura – aiutava a camminare. Per cui
certamente traeva il molto dal poco: il cieco avrebbe potuto scivolare, ma lui
lo teneva stretto mentre camminava per evitare che succedesse. Così il piccolo
reggeva il grande. Anche io presi parte a quel dialogo. Dissi: ‘A dire il vero,
avete tutti questa capacità e comprendo tutto quello che avete detto. L’ultimo
che ha parlato, colui che aiuta il cieco a camminare, è superiore agli altri.
Ma io sono superiore a tutti voi. Chi aiuta il cieco a camminare intende dire
che aiuta la luna nel suo percorso: essa è infatti considerata cieca in quanto
non produce luce di per sé. E lui la aiuta a procedere nonostante egli sia
piccolo e la luna sia grande: grazie a lui il mondo esiste, perché il mondo ha
bisogno della luce. Pertanto lui certamente ha questa capacità di ottenere il
grande dal piccolo, ma quello che ho io è davvero qualcosa di molto superiore.
Questa è la prova: una volta c’era una setta di ricercatori. Essi si accorsero
che ogni animale suole riposare in un certo luogo ombreggiato che predilige:
così è anche per i volatili, ognuno dei quali si sceglie il proprio ramo ove
riposare. Studiarono il modo per trovare un unico albero dove tutti gli animali
e i volatili volessero ristorarsi. Scoprirono che esisteva un albero del genere
e intendevano cercarlo: non era certo possibile stimare la comodità speciale
che quell’albero offriva. Lì stavano infatti tutti gli animali e i volatili, e
nessuno dava fastidio all’altro. Tutti si trovavano lì insieme e certamente
sarebbe stata un’ottima cosa trovare quella pianta speciale. Cercarono di
capire quale strada fare per raggiungerla ma non riuscirono a trovare un
accordo fra di loro: uno diceva ‘A est!’, l’altro ‘A ovest!’ e così via. E non potettero
arrivare a un accordo. Un saggio disse loro: ‘Perché vi preoccupate della
direzione nella quale andare? Prima dovreste capire chi sono fra voi quelli che
possono raggiungere l’albero. Non tutti infatti possono farlo, ma solo chi
possiede le qualità di quella pianta. Essa ha infatti tre radici: una è la
fede, un’altra è il timore, la terza è l’umiltà. La verità è il tronco e da lì
si sviluppano i rami: quindi può arrivare all’albero solo chi possiede queste
qualità’. Il gruppo dei ricercatori era molto unito fra loro e non erano pronti
a separarsi in modo che alcuni andassero alla pianta e altri no; ma non tutti
erano degni di presentarsi ad essa, perché solo una piccola parte di loro aveva
tutte le qualità. Quindi presero tempo e fecero in modo che tutti
raggiungessero le qualità necessarie, in modo da poter andare tutti insieme.
Lavorarono duramente finché non ottennero tutte le qualità e quando le
raggiunsero tutti furono della stessa idea per quanto riguardava la direzione
da prendere – e così si incamminarono insieme. Marciarono per un certo periodo
di tempo, finché non videro l’albero da lontano: si accorsero che l’albero non
era piantato in alcun luogo. Non aveva un posto fisso e dunque non lo si poteva
raggiungere. Io ero lì con loro e li informai che potevo portarli dalla
pianta. Essa è infatti sollevata da
terra e grazie alla mia capacità di trarre il molto dal piccolo posso arrivare
al posto dove si trova: la mia capacità sta infatti a metà strada fra l’albero
e la terra e perciò posso sollevarvi tutti e condurvi a destinazione. Li
condussi quindi all’albero. E quindi questa storia mi ha dato l’approvazione di
avere la capacità di trarre il molto dal poco! Per questo sembro gobbo: perchè
porto così tante cose ma non sono gobbo affatto. Adesso vi offro questo dono:
che possiate essere come me!” – e ci fu grande gioia.
Il sesto giorno
continuarono i festeggiamenti ma i due sposi si chiedevano come fare a portare
lì il mendicante senza mani. Ma ecco che anch’egli giunse e disse: “Sono qui,
sono venuto al vostro matrimonio!”. Ripeté loro le cose che anche gli altri
avevano detto riguardo alle benedizioni date in passato, li baciò e disse:
“Pensate che abbia un difetto nelle mani? Non è affatto vero! La realtà è che
ho grande forza nelle mani, ma non la utilizzo in questo mondo: ho bisogno
della forza per altre cose. La fortezza dell’acqua mi ha dato l’approvazione di
ciò. Una volta mi trovavo insieme ad altre persone e ognuno si vantava della
forza che aveva nelle mani. Uno disse che quando scoccava una freccia la poteva
raggiungere e farla tornare indietro: nonostante avesse già scoccato il colpo,
poteva raggiungere l’arma e riportarla. Gli chiesi: ‘Quale freccia puoi
riportare?’ Perché ci sono dieci tipi di frecce secondo dieci tipi di droghe:
ovvero, quando si vuol tirare una freccia, la si ricopre con un particolare
unguento. Ce ne sono dieci tipi, ognuno dei quali ha un proprio effetto
dannoso, dal meno velenoso al più velenoso. C’è solo un tipo di freccia, ma
poiché le varie frecce vengono ricoperte con i dieci tipi di veleno, finisce
che ci sono dieci tipi di frecce. Gli chiesi anche: ‘Puoi riportare indietro la
freccia sia quando è in aria sia quando ha già raggiunto il suo obiettivo?’. Mi
rispose: ‘Persino quando la freccia è già giunta a destinazione, posso ancora
riportarla indietro’. Alla domanda su quale tipo di freccia poteva riportare,
mi disse che si trattava di un certo tipo. Gli dissi che se era così non poteva
certo guarire la figlia della regina – perché poteva riportare indietro solo un
certo tipo di freccia. Un altro si vantava si avere così tanta forza nelle mani
che quando riceveva qualcosa da qualcuno in realtà era come se glielo desse,
perchè il suo ricevere è come dare. Perciò era una persona che compiva molti
atti di misericordia. Gli chiesi: ‘Che tipo di atti caritatevoli compi?’:
perché ci sono dieci tipi di atti del genere. Mi disse che lui compiva il
decimo. ‘Ma’, gli dissi, ‘se è così, non puoi guarire la figlia della regina
perché non puoi nemmeno raggiungere il luogo dove essa si trova. Perché puoi
passare solo attraverso una delle mura e quindi non puoi arrivare al luogo dove
ella sta’. Un altro disse che la forza nelle sue mani era questa: ci sono al
mondo delle persone con posizioni di responsabilità, ognuna delle quali deve
essere intelligente. Lui aveva una forza in grado di infondere in loro, con il
contatto delle mani, la saggezza. Gli chiesi: ‘Che tipo di saggezza sai dare?’,
in quanto ci sono dieci tipi di saggezza. Rispose che ne poteva dare un certo
tipo e così anche a lui dissi che non avrebbe potuto guarire la figlia della
regina perché non poteva misurare il suo battito in quanto ne conosceva solo
uno, mentre ci sono dieci tipi di pulsazioni. Ma lui con la sua forza poteva
infondere solo un tipo di saggezza...! Un altro disse che la sua forza era tale
che nel momento in cui ci fosse stata una tempesta avrebbe potuto arrestarla
con le mani, influenzando il peso del vento. Gli chiesi: ‘Quale vento puoi
influenzare con le tue mani?’: perché ci sono dieci tipi di vento. Mi disse che
sapeva gestire un certo vento. Gli dissi che non avrebbe potuto guarire la
figlia della regina perché avrebbe potuto suonare per lei solamente una
melodia: ci sono infatti dieci tipi di suoni e la melodia è la sua terapia, ma
lui poteva suonarne solo una. Gli altri mi chiesero quindi quale fosse la mia
capacità e risposi che io potevo fare quello che loro non erano in grado di
fare: le nove parti che mancavano a ciascuno di loro – io le avevo. C’è una
storia dietro questo: una volta un re desiderava una principessa e provò a
catturarla con degli inganni finché non vi riuscì. Una volta il re sognò che
lei lo uccideva: si svegliò terrorizzato e chiamò tutti gli aùguri che aveva e
loro dissero che l’interpretazione era chiara – ovvero che lei l’avrebbe ucciso
come aveva sognato. Il re non poteva decidersi su cosa farle. Se l’avesse
uccisa, sarebbe stato triste; se l’avesse cacciata via, si sarebbe dispiaciuto
perché qualcun altro l’avrebbe presa con sé, dopo tutto quello che aveva fatto
per ottenerla; inoltre, se l’avesse mandata da qualcun altro lei avrebbe ancora
potuto ucciderlo; se l’avesse tenuta con sé avrebbe continuato a temere per il
suo destino – e quindi, non sapeva proprio cosa fare. Nel frattempo iniziò ad
essere sempre meno legato a lei, a causa di questo sogno. E anche lei lo amava
sempre meno, fino al punto che iniziò a odiarlo e fuggì. Il re mandò i suoi
emissari a cercarla: gli dissero che si trovava nella fortezza dell’acqua. Tale
fortezza era composta da dieci mura tutte d’acqua e anche il suo pavimento è
fatto d’acqua; ci sono anche alberi da frutto fatti d’acqua ed è inutile
elogiare la bellezza e la peculiarità di questa fortezza. Entrarvi dentro è
impossibile perché colui che si avvicinasse affogherebbe subito. La figlia della
regina giunse proprio a questa fortezza e si aggirava intorno ad essa. Dissero
al re che l’avevano vista lì nei paraggi per cui il sovrano si mise in marcia
con il suo esercito per riportarla indietro. Quando la principessa lo vide,
decise di correre dentro la fortezza, in quanto preferiva affogare che dover
tornare indietro con lui. E chissà, forse avrebbe potuto riuscire ad entrare
nell’acqua. Quando il re vide che fuggiva, dette ordine di colpirla. Le
scagliarono contro tutti i dieci tipi di frecce, coperte dai dieci tipi di
veleno. Ma lei fuggì nella fortezza e superò i cancelli delle mura d’acqua.
Entrò dentro tutti i dieci tipi di mura finché non giunse al suo interno e
svenne. Rimase senza forze. Io la posso guarire! Chi non possiede i dieci tipi di
misericordia non può superare le dieci mura perché affogherebbe nell’acqua.
Infatti il re e il suo esercito finirono così. Io posso superare le dieci mura
d’acqua, che sono composte da onde del mare a guisa di gigantesco muro, mentre
i venti sono quelli che fanno stare su le onde del mare e le sollevano in alto.
Quelle onde sono sempre lì, ma io posso passare le dieci mura e togliere dal
corpo della regina tutti i dieci tipi di freccia. Posso riconoscere anche tutti
i dieci tipi di pulsazioni con le mie dieci dita: con ognuna di esse infatti
posso sentire uno dei dieci battiti, e la posso curare tramite i dieci tipi di
melodia. Quindi, ho questa enorme forza nelle mani...e adesso ve la do in
regalo!”. E ci fu enorme gioia.
Mi è molto
difficile raccontare questa storia, ma poiché avevo iniziato, devo completare.
In questo racconto
ogni piccolo dettaglio è basato su qualcosa e chi conosce i testi potrà capire
questi rimandi. Per esempio, abbiamo ricordato la questione delle frecce e il
mendicante che aveva la forza nelle mani per trattenerle: la citazione viene da
“(...) prenderò in mia mano la giustizia” (Deuteronomio 32,41); Rashi
interpreta la cosa come “carne e sangue (ovvero l’uomo) possono scoccare frecce
ma non farle tornare indietro, mentre il Signore benedetto può compiere
entrambe le azioni”.
La questione
dell’elemosina, in riferimento alle dieci mura composte da onde, riprende Isaia
48,18: “E la tua giustizia come le onde del mare”.
Il vento che il
mendicante può trattenere con le proprie mai riprende quello che è scritto in
Proverbi 30,4: “Chi ha raccolto il vento nelle sue mani” (la si cita anche in
un altro luogo, in Likutei Moharan siman
54).
La questione dei
dieci tipi di melodie e di pulsazioni è già stata interpretata: vedi in Likutei Tiniana siman 24, p. 32. Tutto
questo l’abbiamo udito, con il commento. Ma il resto, ovvero il come, il cosa e
il quando è questione molto complessa. Il nucleo del racconto, chi sono i
personaggi, cosa è il racconto stesso e quando è successa la storia – è una cosa
troppo profonda per essere compresa.
La fine del
racconto, ovvero quello successe il settimo giorno con il mendicante senza
gambe, così come la conclusione della storia iniziale (quella del re che voleva
abdicare in favore del figlio), non avemmo la grazia di sentirla e il Rabbi
disse che non avrebbe continuato a raccontarla. E’ certo una grande perdita
perché non potremo ascoltarla fin quando giungerà il Messia, amen!
Aggiunse anche:
“Anche se non conoscessi niente altro ma solo questo racconto sarebbe
sufficiente poiché qui vi sono contenute così tante cose...”.
Così disse: questa
storia è una novità immensa e contiene moltissimi elementi di etica e di Torah.
Si parla qui anche di alcuni saggi di grande statura, come per esempio il re
Davide – possa la pace essere su di lui – che dagli angoli della terra gridò
alla fonte che usciva dalla pietra sul monte: “Dall’estremità della terra io Ti
invoco, quando il mio cuore è depresso conducimi ad una rupe troppo alta per
me”, (Salmi 61,3).
Tutto questo lo sentimmo dalla bocca del
Rabbi. Quello che comprendemmo dalle sue parole era che il re Davide – possa
essere la pace su di lui – è un cuore e quando si parla del ‘cuore del mondo’
si fa riferimento a lui, che sta all’angolo della terra di fronte alla sorgente
e grida sempre verso di essa, ma ancora le cose non sono chiare. Beato chi
riuscirà a comprendere i segreti del racconto!
La questione del
re Davide e dell’angolo della terra, cui si fa riferimento nella storia, è
collegata al terzo giorno – poiché lì si parla della questione del cuore e
della sorgente. Si può fare riferimento a quel punto per accorgersi di come in
ogni piccola parte ci sono riferimenti a cose meravigliose e la grandezza di
questo racconto è talmente maggiore di quella di tutti gli altri che non se ne
può parlare affatto. Beati coloro che persino nel mondo a venire avranno la
grazia di conoscere un po’ di questa storia! A chi è intelligente si
drizzeranno i peli del corpo e quando egli guarderà bene dentro questo racconto
comprenderà qualcosa della grandezza del Signore benedetto e dei veri giusti.
La questione
dell’angolo della terra ricordata nel terzo giorno – tutto questo l’ho sentito
interpretato dalla sua bocca santa e maestosa, il suo ricordo sia in
benedizione! In seguito ho scoperto che nella maggior parte delle parole del
Salmo che parla di questo argomento (il 61) compaiono indizi sui segreti
irraggiungibili nel racconto del terzo giorno: “Aggiungi altri giorni ai giorni
che hai destinato al re” (Salmi 61,7) – perché aveva bisogno che aggiungessero
altri giorni a quelli che aveva. “Disponi per lui bontà e fedeltà che lo
custodiscano” (Salmi 61,8) – questo è l’uomo della vera grazia: poiché il tempo
e i giorni sono formati grazie al grande uomo che è l’uomo della vera grazia,
come è riportato nel racconto. Egli consegna e aggiunge ogni volta altri giorni
a quelli del re, che poi – di fatto – è il cuore. Bisogna quindi proteggerlo in
quanto egli è colui che custodisce e garantisce la continuità: non appena il
giorno si avvicina alla fine – e quindi la sorgente, il cuore e tutto il mondo
rischiano di smettere di esistere – allora l’uomo della vera grazia interviene
e concede un altro giorno alla fonte e al cuore. Questo si vede in Salmi 61,9:
“Così io potrò salmeggiare al Tuo nome per sempre e sciogliere i miei voti
giorno per giorno”, poiché ogni giorno che lui concede è accompagnato da canti
e lodi. “Rifugiarmi nel segreto delle tue ali, sela!” (Salmi 61,4) – perché quando il cuore deve riposare arriva
un grande uccello che spiega le sue ali su di lui.
Quello che abbiamo
visto nel primo giorno, ovvero la questione degli anziani che decantavano i
loro racconti, tra i quali compariva quello che si vantava di quando li
tagliarono il cordone ombelicale e che di fatto era il meno anziano di tutti,
il nostro Rabbi, il suo ricordo sia in benedizione, disse che nel Talmud di
Gerusalemme si parla di una cosa simile: Shmuel si ricordava del dolore della
circoncisione.
Quindi si può
andare a vedere nel testo per riferimento.
Chi potrà
raccontare, chi potrà decantare, chi potrà valutare, chi potrà immaginare una
piccolissima parte, tra le migliaia di migliaia che ci sono, degli indizi
meravigliosi sui segreti irraggiungibili contenuti in questo racconto
straordinario! Esso è infatti colmo di misteri dall’inizio alla fine e chi lo
approfondirà troverà il bene da queste scintille di segreti, ognuno secondo la
propria capacità.
Questa è la fine e il completamento, lodate il
Signore, il Creatore del mondo!
Benedetto colui che dà la forza allo stanco e al
debole moltiplica la vitalità!
N.B.
Le note che compaiono a fondo pagina sono note che fanno parte del testo
originale dei racconti e che si è ritenuto opportuno riportare per avere
maggior chiarezza nel testo. Le note che invece traducono termini lasciati in
yiddish nel testo, e che quindi sono opera del traduttore, sono state
evidenziate come N.d.T
[1]
Un’altra condizione che la giovane gli aveva imposto era quella che non gli
avrebbe raccontato chi era veramente fino al matrimonio.
[2]
I ministri pensavano infatti che la figlia dell’imperatore e le sue compagne
fossero uomini poiché così erano vestite.
[3]
Nella barca c’era la merce iniziale più tutto ciò che lei aveva accumulato
prendendolo ai ladri.
[4]
Si trattava della famiglia del vecchio che si era sistemata nel deserto.
[5]
Tutta questa era la storia che la nuvola raccontò all’emissario che era andato
da lei.
[6]
Dal momento in cui si dice ‘i prigionieri che aveva condotto con sé fino alla
conclusione, la storia non è stata scritta bene come egli l’aveva raccontata.
[7]
Pesante e semplice giaccone invernale di pelliccia (N.d.T).
[8]
Giacca di pelliccia mediamente elegante (N.d.T).
[9]
Giacca elegante generalmente portata in sinagoga (N.d.T).
[10]
Giacca molto elegante, per occasioni speciali (N.d.T).
[11]
Si tratta dello strato interposto fra i due livelli di cuoio nella calzatura
(N.d.T).
[12]
In effetti così era l’uso: il re si faceva vedere solo in rare occasioni.
[13]
Ancora non si erano convinti dell’esistenza del diavolo e pensavano che ci
fossero persone che li torturavano così per tedio.
[14]
Grande commerciante.
[15]
Luogo di raccolta di acqua corrente utilizzato per l’immersione rituale
(N.d.T).
[16]
In fondo anche gli altri re avevano addotto scuse sul perché non avevano con sé
la lettera e quindi lei aveva deciso di non dar peso ai racconti.
[17]
Da adesso in poi nella storia si parlerà della figlia dell’imperatore a volte
al maschile e a volte al femminile, poiché così raccontò la storia il rebbe, il
suo ricordo sia in benedizione.
[18]
Per ‘figlio del re’ qui si intende colui che si pensava fosse il figlio del re.
Nella storia, quando si parla del figlio del re si intende in realtà il figlio
della schiava (chiamato figlio del re in quanto crebbe in casa del sovrano) e
viceversa il figlio della schiava sarà quello che crebbe nella di lei casa ma
in realtà era figlio del re e della regina. Solo dove sarà detto ‘il vero
figlio del re’ o ‘il vero figlio della schiava’ allora il riferimento sarà alla
realtà.
[19]
Egli sembrava cieco perché non guardava al mondo, dal momento che tutto del
tempo del mondo gli sembrava come un battito di ciglia – per questo non vedeva
il mondo.
[20]
Ovvero, i più giovani erano considerati i più anziani mentre gli anziani erano
considerati i più giovani.
[21]
Così il mendicante riuscì a recuperare il paese.
[22]
Per questo motivo il mendicante era più saggio di colui che era ‘saggio come
qualsiasi giorno volessero’, perché il tempo e i giorni dipendevano da lui, il
quale raccoglie le azioni misericordiose e le porta all’uomo della vera grazia.
Egli così può dare il giorno al cuore, il quale a sua volta lo dà alla fonte: e
così esiste tutto il mondo. Quindi, il fatto che il tempo venga ad essere con
indovinelli e canti che contengono tutte le sapienze....tutto è grazie al
mendicante balbuziente!
[23]
Per questo il suo collo sembrava storto, in quanto faceva spallucce per non
essere contaminato dalle sciocchezze del mondo.
[24]
Il mendicante con il collo storto gettava
i suoni che emetteva. Per questo essi udivano tutti i diversi rumori. Così
compresero che poteva imitare alla perfezione tutti i suoni e gettarli e che quindi avrebbe potuto
risolvere la situazione dei due paesi. Il rabbi non raccontò altro su questa
cosa, ma andò oltre.
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